Lettera di Massimo d’Azeglio

COPERTINARICERCA EFFETTUATA SU “GOOGLE LIBRI” DAL LIBRO “LA CIVILTA’ CATTOLICA ANNO DUODECIMO” VOL.XI DELLA SERIE QUARTA – ROMA 1861-

da pag.614 a 620

REGNO DELLE DUE SICILIE. 5. Eccidii d’Auletta, di Spinelli, di Pontelandolfo e di Casalduni – 6. Lettera di Massimo d’Azeglio sopra la violenta annessione del -Regno al Piemonte –

5. In questo frattempo cinque altre grosse terre del Regno venivan barbaramente messe a fuoco e sangue, poi diroccate e distrutte dal furore piemontese, per vendicare i danni ivi sofferti dalla reazione. I diarii eziandio italianissimi usarono parole di ribrezzo e di orrore al racconto di tanta nefandezza e crudeltà. In Auletta e Spinelli i reazionarii aveano osato tener testa ai masnadieri del Cialdini, cui davano mano gli scherani ungheresi al soldo del Piemonte. Colle artiglierie vi si gettò la morte e l’incendio; poi le soldatesche vi si scagliarono a baionette spianate, uccidendo senza pietà chi era stato tardo a fuggire. Il saccheggio e la distruzione di quelle borgate compierono l’opera italiana. I soldati del Pinelli aveano fieramente manomesse alcune terre a breve distanza da Pontclandolfo, commettendovi atrocità orribili contro pacifici abitanti designati loro come reazionarii. Mossero quindi una quarantina di essi a Pontelandolfo. La voce della loro scelleratezza ve li avea precorsi e un furore di vendetta sospinse loro addosso la popolazione che tutti li scerpò, salvandosi un solo sergente che ne reoò la notizia a’Piemontesi. II Cialdini avviò subito colà il Colonnello Negri, con un battaglione di bersaglieri ed altra milizia con artiglierie; si trassero bombe e granate, poi si venne all’ assalto. I più degli abitanti e gli uomini capaci di portare le armi già erano fuggiti, e andavano raminghi per le compagne e i monti. Soli rimanevano, con qualche prete, una trentina di malati, o di innooenti che, sicuri della loro innocenza, non erano fuggiti. Furono tutti senza misericordia trucidati. Poi dato il sacco e messo il fuoco alle case, tutte furono arse, restandone una sola spettante ad un italianissimo. Di lì mossero codesti barbari a Casalduni, e vi ripeterono la stessa tragedia, perchè gli abitanti di essa furono incolpati d’aver dato mano al fatto di Pontelandolfo. Montefalcione, San Marco e Rignano sono anch’essi un mucchio di rovine fumanti e sanguinose, che gridano vendetta. Se si traesse il novero dei fucilati, dei morti nelle zuffe, dé banditi, de’carceratî dal Piemonte per soggiogare il regno di Napoli, senza fallo si troverebbe assai maggiore di quello dei voti pel plebiscito, strappati colla punta del pugnale e colle minacce del moschetto. E si osa parlare ancora del suffragio universale come di titolo legittimo dell’usurpazione piemontese? E gli ipocriti sostenitori del non intervento coprono col loro patrocinio codesto sterminato assassinio di tutto un popolo!

6. Non passa giorno in cui i diarii degli stessi usurpatori non rechino il racconto di qualche eccidio, di zuffe accanite, di assalti feroci, di fucilazioni sommarie-di 10 e 15 insorti; ne’soli fatti di Pontelandolfo e Casalduni furono morte da codesti carnefici non meno di 164 vittime; quali si fossero questo lo dice il Popolo d’Italia, avvertendo che i veri briganti erano fuggiti. Furono dunque macellati 164 innocenti in ecatombe alla vendetta piemontese! Nè per questa macellare ed opprimere si spietato vien meno l’indensita resistenza dei popoli alla tirannia piemontese. Il fatto è così evidente che ormai persino la Patrie se ne mostra impensierita, dubbiosa delle sorti d’Italia e inorridita. Ma qui citeremo la testimonianza d’un tale che non può essere sospetto di parteggiare per la reazione. Massimo d’Azeglio scrisse al Senatore Matteucci la lettera seguente, a cui si accenna nella nostra corrispondenza di Torino.

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” 2 Agosto 1861. Carissimo amico. Ho ricevuto e letto con molto interesse la vostra lettera, e vi ringrazio delle belle cose che voi mi dite e delle quali, Demine, non sum dignus. La quistione di tenere o non tenere Napoli deve, a quanto mi sembra, dipendere sopratutto dai Napoletani; a meno che non vogliamo, secondo il nostro comodo, cambiare i principii che noi fin qui abbiamo proclamato. Noi siamo andati avanti dicendo che i governi non consentiti dai popoli erano illegittimi, e con queste massime, che io credo e crederò sempre vere, noi abbiamo mandato a farsi benedire parecchi principi italiani. I loro sudditi, non avendo protestato in alcuna maniera, si son mostrati contenti della nostra opera, e si potè vedere:che, se eessi non davano il loro consenso ai governi procedenti, lo davano a quello che succedeva. Così i nostri atti furono d’accordo coi nostri principii, e nessuno può averci a ridire. A Napoli noi abbiamo altresì cacciato il sovrano per istabilire un Governo fondato sul consenso universale. Ma ci vogliono, e sembra che ciò non basti, per contenere il regno, sessanta battaglioni; ed è notorio che, briganti e non briganti, niuno vuole saperne.
Ma si dirà: e il suffragio universale? Io non so nulla di suffragio; ma so che al di qua dei Tronto non sono necessari battaglioni, e che al di là sono necessari. Dunque vi fu qualche errore; e bisogna cangiare atti o principii. Bisogna sapere dai Napoletani, un’altra volta per tutte, se ci vogliono si o no. Capisco che gl’Italiani hanno il diritto di far la guerra a coloro che volessero mantenere i tedeschi in Italia; ma agli Italiani, che restando Italiani non volessero unirsi a noi, credo che noi non abbiamo il diritto di dare delle archibugiate; salvo che si concedesse che, per tagliar corto, noi adottiamo il principio in cui nome Bomba bombardava Palermo, Messina ecc. Credo bene che in generale non si pensa in questo modo; ma siccome io non intendo di rinunciare al diritto di ragionare, così dico ciò ch’io penso ed io resto a Cannero. A queste parole si potrebbero fare grandi commenti; ma intelligenti pauca, e poi a che scopo? Gradite ecc. Massimo d’Azeglio. ».

Gli italianissimi coprirono di fango e di maledizioni, l’Azeglio che in confidenza si era lasciata sfuggire qualche verità, benchè la temperasse con contumelie ai Principi, assassinati dal Piemonte nell’opera di rifare l’Italia. Egli si dolse che si fosse abusato della sua confidenza, e si risentì degli sdegni liberaleschi e conchiuse una sua seconda lettera al Matteucci, sotto il di 16 Agosto (Armonia n.105 del 21 agosto), con queste parole. “Finchè in Italia le quistioni pubbliche non si potranno trattare sotto tutte le forme, sarà la libertà pei giornali frementi (cioè per quelli che avevano inferocito contro l’Azeglio) ma per la nazione, no. Sarà come in America: o far la corte alla piazza o legge Lynch…” La rivoluzione, se ne ricordi l’Azeglio, divora i suoi figli. ‘