Interessante scoperta tra le mura sacre della chiesa medievale di Santa Margherita di Maddaloni.

IMG_7990Interessante scoperta tra le mura sacre della chiesa medievale di Santa Margherita di Maddaloni.

Un prezioso dipinto raffigurante la Madonna del Rosario tra San Domenico e Santa Caterina con le anime purganti, reca nel retro l’iscrizione Jova Ang Pat Ner Terre Pontis L.FI Pincerat A.D.: DCXXXXVIII. Non è stato difficile per gli esperti d’arte assegnare, a questo punto, la paternità dell’opera, datata 1648, all’artista dell’epoca Giovan Angelo Pater Noster o Paternostro o Patris Nostri nato a Pontis Landulfi (Pontelandolfo) il 29 giugno 1602 ed ivi deceduto durante la peste del 1656 il 20 di agosto. Risalire con certezza all’autore è stato possibile soprattutto grazie alla sensibilità, allo studio, all’approfondimento del Direttore del Museo Civico della comunità casertana Maria Rosaria Rienzo, che con il supporto delle evolute tecnologie della moderna fotografia digitale ha reso comprensibile la scritta, altrimenti difficilmente leggibile ad occhio nudo per l’usura del tempo trascorso, e grazie alla consueta, inappuntabile, qualificata ricerca storica tra i documenti agli atti dell’Archivio Parrocchiale di Pontelandolfo dello studioso Antimo Albini vice presidente dell’Archeoclub d’Italia Sezione di Pontelandolfo e Morcone. La pregevole tavola fu commissionata da “Salvatore De Airola et Camilla De Erico sua moglie” alla Madonna devoti, come si evince dalla dedica che appare in basso a sinistra del dipinto, in questo caso chiaramente leggibile,. Oltre a rappresentare la Madonna del Rosario, la prima immagine sacra entrata nel culto cristiano di Pontelandolfo e tanto venerata dagli insorgenti partigiani pontelandolfesi nel corso degli anni roventi dell’Unità d’Italia, il capolavoro artistico, secondo la scheda storica curata dalla critica d’arte Giovanna Sarnella nella “Storia Artistica di Maddaloni – Il catalogo del Museo Civico”, racconta, tra le raffigurazioni che completano la sua straordinaria bellezza, attorno alla “cona” i quindici misteri del Rosario, nella “predella” la predica di San Domenico, e sullo sfondo le vicissitudini della città di Maddaloni culminate con l’incendio del castello nel 1460 da parte di Ferrante d’Aragona a causa della ribellione del feudatario Pietro de Mondrago. Maddaloni e Pontelandolfo, dunque, ancora una volta incrociano le loro storie nel corso dei secoli. Il 1° novembre 1462, infatti, il detto Ferrante I d’Aragona assedia e riserva uguale sorte del castello di Maddaloni a quello di Pontelandolfo e ne toglie la feudalità al conte Niccolò Monforte da Gambatesa (CB), reo di essersi schierato dalla parte degli Angioini, per affidarla a Diomede Carafa, Cavaliere Napolitano, Conte di Maddaloni, eminente rappresentante della corte aragonese. Con Diomede Carafa, primogenito di una lunga dinastia, ha inizio il lungo periodo di feudalità aragonese-spagnola e di altri dominatori, e termina con l’estinzione definitiva della feudalità nell’anno 1808, quando muore Francesco Carafa, Principe di Colubrano, ultimo feudatario di Pontelandolfo. La straordinaria scoperta è motivo di orgoglio per la comunità di Pontelandolfo, il paese per antonomasia del folclore e delle tradizioni, generosa terra della rinomata scuola degli scalpellini, dei maestri artigiani della caratteristica tessitura, dei geni dell’arte pittorica. Un interessante manoscritto anonimo del 1860, che racconta, con dovizia di particolari caratteristiche, aspetti peculiari della singolare vita socio economica della Pontelandolfo di quel tempo, viene custodito oggi presso l’Archivio di Stato di Benevento. Dal raro documento storico si desume un quadro sociale preciso della popolazione del paese, che nel 1857 si componeva di 5561 abitanti, di cui, e non è un caso, a conferma della vocazione artistica tramandata nei secoli di generazione in generazione, ben 208 figuravano, nella puntuale suddivisione in classi, come artisti artigiani e 55 come impiegati in arti liberali. Tanti se si pensa ad un paese a forte connotazione agro-pastorale, rappresentato, all’epoca di riferimento del manoscritto, da 4311 contadini, 922 possidenti, 27 mulattieri e 7 trainanti. Sono fatti inconfutabili della straordinaria storia infinita di Pontelandolfo destinata a riservarci in futuro ancora tante piacevoli sorprese.

Gabriele Palladino
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