ISOLA DI CAPRAIA:il domicilio coatto dal 1863 al 1869

Gentilissimi sottoscrittori, il nostro Testimonial Dott. Loreto Giovannone, esperto ricercatore e nostro Testimonial, avrebbe la necessità di attenzionare il Sindaco di Livorno sulla questione del Domicilio Coatto che funestò l’intero Sud d’Italia a valle dell’emanazione della Legge Pica (1863). In quegli anni lo stesso Cesare Lombroso, provvedeva a certificare scientificamente la minorità razziale delle genti del Sud Italia con i risvolti che voi conoscete. Chi avesse volontà e tempo è pregato di inviare una mail al Sindaco e Vicesindaco della Città di Livorno: f.nogarin@comune.livorno.it / s.sorgente@comune.livorno.it Dal Comitato Tecnico Scientifico No Lombroso Gentile Sindaco Dott. FIlippo Nogarin Da quanto emerso nei documenti d’archivio e ricerche storiche pubblicate, la città di Livorno dal 1863, fu luogo di arrivo e crocevia per l’invio al “domicilio coatto” in molte località di una enorme quantità di civili deportati provenienti dalle province dell’ex Regno delle due Sicilie. A Livorno, i civili, furono concentrati nel Lazzaretto di S. Jacopo e carceri sotto il controllo della Prefettura di Livorno poi smistati nelle le isole maggiori dell’arcipelago toscano, Sardegna e molte altre località. Chiediamo al Sindaco di Livorno Dott. Nogarin il riconoscimento della tragedia della deportazione e il ricordo della memoria in forma ufficiale, portavoce della istanza è Loreto Giovannone (storia.italia@yahoo.it). Distinti saluti. Comitato Tecnico Scientifico No Lombroso (www.nolombroso.org), Via Bernardino Verro, 12 – 20141 Milano Domenico Iannantuoni


copertina-libroUNA STORIA INEDITA DELL’ISOLA DI CAPRAIA: IL DOMICILIO COATTO DAL 1863 AL 1869 di Giuseppe Santeusanio
Pubblicato il 08/04/2013 di Roberto Moresco
Sono lieto di accogliere come collaboratore l’amico Giuseppe Santeusanio.
Dalla natia Irpinia, Giuseppe Santeusanio, nel 1938 si trasferisce, con la famiglia, a Livorno. In un breve soggiorno estivo all’isola di Capraia nel 1953 si innamora del luogo, incominciando una campagna di studi e ricerche sul territorio ed in tutta l’area circostante che non ha eguali. Come subacqueo ha indagato tra i fondali, mentre come tecnico ha avuto diversi incarichi che lo hanno portato ad una collaborazione con l’amministrazione comunale dell’isola. Per cinque anni ha ricoperto la carica di consigliere comunale, compreso un breve periodo come Assessore Anziano. Fine ricercatore di cose antiche ed abile tecnico, il geometra Santeusanio collabora oggi come ricercatore volontario presso l’Archivio di Stato di Livorno.
Il presente articolo è tratto da Un’isola “superba” – Genova e Capraia alla riscoperta di una storia comune – Atti della giornata di studi 21 giugno 2011, Genova 2012, pp. 86-107.

UNA STORIA INEDITA DELL’ISOLA DI CAPRAIA:IL DOMICILIO COATTO DAL 1863 AL 1869
Giuseppe Santeusanio

Questo articolo trae origine da alcune precise motivazioni che sono state determinanti per la scelta del tema trattato: la prima consiste nel fatto che la storia del domicilio coatto in Capraia non è mai stata storicizzata nella sua completezza di episodi, il che fa ritenere si tratti di eventi sconosciuti o non divulgati per scelta della storiografia ufficiale; la seconda coincide con la constatazione che questa “storia” non è solo di Capraia ma è una “Storia Italiana”, riferibile all’intero nostro Paese che proprio quest’anno celebra i suoi 150 anni dall’Unità. Nel primo periodo post-unitario, dal 1863 al 1869, l’isola di Capraia offrì il suo contributo di collaborazione alle Istituzioni della nascente Nazione e riservò umana accoglienza, non sempre riconosciuta, a chi loro malgrado nel bene e nel male, divennero vittime di un duro e repressivo conflitto conseguente, ad una degenerazione degli ideali risorgimentali, in special modo dopo la partenza di Garibaldi per l’isola di Caprera e lo scioglimento dell’esercito dei volontari garibaldini. In questo contesto storico si svolge la mia ricerca, le cui cause ed effetti si richiamano alla Legge N° 1409 promulgata il 15 agosto 1863 per la “REPRESSIONE DEL BRIGANTAGGIO“, dagli storici inteso come Brigantaggio politico post-unitario. Tale Legge è comunemente conosciuta come “ Legge Pica “, dal nome del Deputato Giuseppe Pica che la propose. E’ necessaria una breve esposizione di questa Legge per comprenderne la portata sul piano storico-politico. Si arriva ad essa dopo oltre due anni dalla proclamazione dell’Unità d’Italia e ben tre mesi di stato d’assedio delle città di Palermo e Napoli[1] con tutte le loro province e con le truppe pronte sul “piede di guerra”[2]. Dei nove articoli della legge ne evidenziamo tre.
Art. 1. “I componenti comitiva o banda armata, composta almeno di tre persone, la quale vada scorrendo le campagne per commettere crimini o delitti, ed i loro complici, saranno giudicati dai Tribunali Militari con la procedura del Codice Penale Militare”. Art.2 “ I colpevoli del reato di Brigantaggio, i quali armata mano opporranno resistenza, saranno puniti colla fucilazione o co’ lavori forzati a vita, concorrendovi circostanze attenuanti. A coloro che non oppongono resistenza, nonché ai ricettatori e somministratori di viveri, notizie ed ajuti di ogni maniera, sarà applicata la pena dei lavori forzati a vita, e concorrendovi circostanze attenuati il maximum de’ lavori forzati a tempo.” Art.5 “Il Governo avrà inoltre facoltà di assegnare per un tempo non maggiore di un anno un Domicilio Coatto agli oziosi, a’ vagabondi, alle persone sospette, secondo la designazione del Codice Penale, nonché ai camorristi e sospetti manutengoli, dietro parere di Giunta composta del Prefetto, del Presidente del Tribunale, del Procuratore del Re e di due Consiglieri Provinciali.”
Nel corso della discussione parlamentare l’opposizione di sinistra, capeggiata da Crispi, contestava l’attribuzione di giudizio ai Tribunali Militari in base al Codice Penale Militare senza che venisse accordato il diritto alla difesa, esautorando così il potere giudiziario, violando l’Art. 71 dello Statuto: “Niuno può essere distolto dai suoi giudici naturali.” Stessa cosa può dirsi per l’Art. 5 dove il parere è dato da una Giunta composta da funzionari del nuovo assetto politico-amministrativo e non da un Tribunale. Successivamente, in data 20 agosto 1863, viene pubblicato un Decreto Reale, in un unico articolo, che indica le Province sottoposte alla Legge Pica: Abruzzo Citeriore, Abruzzo Ulteriore, Basilicata, Benevento, Calabria Citeriore e Calabria Ulteriore, Capitanata, Molise, Principato Citeriore, Principato Ulteriore e Terra di Lavoro. Seguono altri due “Regolamenti”[3] sempre riferiti alla Legge Pica ed, infine, in data 27 settembre 1863, il Ministero dell’Interno pubblica le “Istruzioni pegli Ufficiali Governativi incaricati della sorveglianza degli individui sottoposti a domicilio coatto nelle Isole dell’Elba, Giglio, Capraia e Gorgona.”Le quattro Isole indicate dipendevano da tre diverse Prefetture, il Giglio da Grosseto, la Capraia da Genova mentre l’Elba e la Gorgona dipendevano da Livorno. Il Ministero, nelle Istruzioni di cui sopra, indica che i “ Delegati corrisponderanno direttamente col Ministero dell’Interno” e “ in tutto quanto poi ha rapporto ad amministrazione, contabilità, provvista d’oggetti ecc., corrisponderanno colla Prefettura di Livorno, e deferiranno agli ordini della medesima secondo le istruzioni datele da questo Ministero.” Quindi Livorno, per la sua centralità territoriale e amministrativa, si presentava come base ideale per il coordinamento di quanti erano sottoposti a domicilio coatto. È Prefetto della Città il Senatore Conte Michele Amari, uomo politico siciliano, già Deputato al Parlamento siciliano nel I848 e Ministro delle Finanze nel Governo rivoluzionario del 1849. Esule a Genova nel 1860 costituì un comitato di aiuto per l’impresa dei Mille.
HOMEF.M. Accinelli, Isola di Capraia, 1768 ( Archivio Storico del Comune di Genova)

DALLA PETIZIONE ALL’ISTITUZIONE DEL DOMICILIO COATTO ALL’ISOLA DI CAPRAIA
Prima ancora che venissero pubblicate dal Ministero dell’Interno le Istruzioni di cui sopra, nell’Isola si era già venuti a conoscenza che l’Arcipelago sarebbe stato luogo di domicilio coatto come conseguenza della Legge Pica. Il Sindaco, Cav. Gio Matteo Cuneo, senza indugi, trasmetteva in data 27 agosto 1863, una “Petizione” al Ministero dell’Interno, tramite la Provincia di Genova, “perché a questa povera e miserabile popolazione, possa esserle accordato questo grande e così urgente beneficio.” Perché tanta prostrazione da parte del Sindaco ? Al 31 dicembre 1861, primo censimento della popolazione del Regno, l’isola di Capraia contava 862 residenti di cui 684 presenti. Questo divario presumo sia derivato dall’assenza di molti uomini: naviganti di professione, che si allontanavano anche per lunghi periodi, altri che lavoravano a Genova o Livorno oppure militari di Leva e qualche emigrante. La poca agricoltura ed allevamento di bestiame erano praticati dalle donne, per lo stretto fabbisogno familiare. L’unica attività industriale, se così può chiamarsi, era la Manifattura dei Sigari ( agevolata dall’esenzione del servizio doganale ), stabilita ad esperimento e definitivamente costituita il 18 dicembre 1862.[4]
Il clima che si viveva nell’isola in quegli anni è espresso dalla lettera del sindaco G.M.Cuneo, che in modo accorato descrive i bisogni e le necessità della gente per la scarsità di lavoro e i modesti salari. L’auspicata soluzione è in arrivo il 7 settembre dal Ministro, che comunica al Prefetto di Genova di aver accolta l’istanza ed “avere a tale oggetto già mandato sul luogo un ispettore per riconoscere di quali locali si sarebbe potuto disporre e studiare, nel medesimo tempo, le condizioni dell’Isola. Interessando ora di predisporre i locali occorrenti per gli individui suddetti, il sottoscritto prega la S.V. d’incaricare il Sindaco di Capraia a stipulare i contratti d’affittamento delle abitazioni indicate nel foglio, sulle basi in esso stabilito ed a condizioni migliori, se si possono ottenere, riservando però l’approvazione del Ministero.” Infatti, a conferma del favorevole indirizzo del Ministro, la mattina del 31 agosto 1863 dette fondo, nella rada antistante il porticciolo dell’Isola, la Corvetta “ Tukery “[5] dalla quale scese il Cav. Carduna, Capo Divisione del Ministero dell’Interno, che fu accolto dal Vice Console dì Marina[6] Amos Bosano, che lo guidò in un lungo percorso, a piedi, dal Porto al Paese e nelle zone limitrofe. Questo Vice Console, il giorno successivo alla partenza dell’alto funzionario, gli consegnò una dettagliata relazione magnificando le diverse caratteristiche dell’Isola e la disponibilità di abitazioni private oltre alla presenza di un Forte e di un Convento dei Frati MM. OO. (Minori Osservanti) che, con alcuni interventi, sarebbe potuto servire da alloggi per gli impiegati dello stabilimento nonché dei domiciliati. Il Signor Bosano inoltre, riferendosi all’isola di Capraia, ha modo di esprimere un elogio “ai pochi abitanti di quest’ Isola, io che da quasi tre anni vi dimoro ed ebbi il tempo a conoscerne e studiarne l’indole, le opinioni, le virtù ed i difetti, sono in grado di poter asserire, a lode degli stessi, che in nessuna circostanza farebbero coalizione, ne aiuterebbero i deportati, ma che piuttosto servirebbero d’ajuto a tenerli soggetti”. A seguito di questi avvenimenti il Sindaco si adoperò per la stipula dei contratti d’affitto. Dal 18 al 23 di settembre ne regolarizzò otto per un totale di 31 vani con un affitto complessivo mensile di lire 67,00. Successivamente furono stipulati altri sei contratti. Con un telegramma, in data 26 settembre 1863, il Ministro dell’Interno comunica al Prefetto di Livorno che “il numero presumibile dei domiciliati coatti destinati a Capraia sarà di 300 individui”. Tale numero viene portato a 335 nelle “Istruzioni per i Delegati Governativi” del successivo 27 settembre. In queste “Istruzioni” s’informava che il “ Ministero ha già in corso una pratica, con il Ministero della Marina per la cessione del Forte, dove si calcola possono alloggiarvi altri 140 coatti. Per i restauri occorrenti si prevede una spesa di 1.850 lire”. Inoltre con lo stesso Ministero sono state fatte le pratiche perché sia conservato il Medico attuale che dovrebbe essere trasferito. Queste “Istruzioni” si concludono con la sollecitazione a definire i preparativi perché entro 15 giorni inizieranno le spedizioni dei domiciliati coatti. II giorno 3 ottobre, con il Regio Piroscafo “ Plebiscito “, il Delegato Governativo Cesare Gallo parte da Livorno destinato a fare da responsabile del domicilio coatto di Capraia. Egli, giunto sull’isola, si presenta al Sindaco ed al Giudice per consegnare un plico inviato dal Prefetto e poi si reca dal Vice Console di Marina per avere in consegna il Forte. La cosa però trova delle difficoltà perché non era ancora arrivato l’ordine scritto e allora il delegato si limitò, al momento, a visitare la fortezza ed il giorno 8 ottobre fu redatta la formale consegna. Resta inteso che a parte la consegna del Forte, rimane la data del 3 ottobre 1863 come il momento della costituzione dello “Stabilimento del Domicilio Coatto nell’Isola di Capraia.” C’è fermento nell’Isola per assecondare la richiesta puntualità del Ministero all’imminente arrivo dei coatti. Così la VIa Legione Carabinieri Reali costituisce una Stazione che si insedia in un fabbricato di proprietà di Giuseppe Cuneo, per il canone annuo di Lire 300,00. Con l’arrivo di una Compagnia del 51.mo Reggimento di Linea del Regio Esercito si completa l’assetto di controllo e sicurezza del Domicilio Coatto e dell’Isola. Il Nucleo di Polizia arriverà con la prima traduzione dei coatti.
ARRIVO DEI DOMICILIATI COATTI
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Il 21 ottobre 1863, con il Vapore “Elba” della Società Raffaele Rubattino & C. di Genova, che svolgeva il Servizio Postale per l’Arcipelago Toscano, arrivarono, prelevati dal Carcere di Livorno, i primi 25 individui destinati al domicilio coatto con la scorta di 12 Guardie di Sicurezza Pubblica che formarono il primo drappello di Polizia. I coatti, una volta sbarcati, vennero lasciati liberi e non si verificarono inconvenienti. Non avviene così il successivo 3 novembre a causa di un increscioso episodio. I sei coatti arrivati furono portati, dalla loro scorta, dallo sbarco al Paese legati ai ferri due a due, esposti così allo scherno degli abitanti e dei loro stessi colleghi. Il Delegato Gallo fece denuncia al Sig. Prefetto che con sollecitudine diramò a tutti i Delegati questa nota: “ Si tenga norma, per dare disposizioni qualora occorrerà tradurre domiciliati nelle Isole, perché vengano disbarcati senza ferri.” Il 22 ottobre 1863, nell’Ufficio della Delegazione della Pubblica Sicurezza, si erano riuniti il Sig. Cav. Giovanni Matteo Cuneo Sindaco di Capraia, il Sig. Pietro Parisi Capitano della 14.a Compagnia del 51° Reggimento di Linea e Comandante eventuale di questa Piazza, il Sig. Amos Bosano Vice Console di Marina ed il Sig. Cesare Gallo Delegato Governativo, per integrare le Istruzioni e Regolamenti di Legge con “Particolari misure credute necessarie a garantire l’ordine e la Pubblica Sicurezza in quest’Isola.”:
l°. Onde impedire le possibili evasioni dei condannati al domicilio coatto, e assicurare l’esecuzione di quanto è prescritto dal suddetto Regolamento, sarà stabilito un Corpo di Guardia a questo Porto, di quella forza che sarà creduta conveniente dal Sig. Comandante sullodato dal quale sarà data per iscritto una regolare consegna. 2°. Saranno ordinate dal sullodato Sig. Comandante e dalla Delegazione Governativa, per quanto riguarda la Guardia di Sicurezza e dei Reali Carabinieri, delle Pattuglie con lo scopo di assicurare la libertà degli abitanti e di devenire all’arresto di chi fosse trovato in contravvenzione al disposto del suddetto Regolamento. 3°. Dette Pattuglie avranno speciale incarico di sorvegliare fino a che non siano stabiliti appositi Corpi di Guardia, qualora per l’aumentarsi dei domiciliati coatti si rendono necessari, la linea di limite che risulterà dai sotto descritti punti : Torre del Porto, Cappella detta di San Leonardo, I chiossi d’areIli[7], Cappella detta di San Rocco, la Pietrera, la Fica, Nessun legno né grande, né piccolo potrà sortire dal Porto senza previa autorizzazione del Vice Console di Marina.
Altri arrivi di coatti : il 7 dicembre I863 da Napoli con il Postale “Adriatico” in n° di 12 ed il 25 dicembre da Livorno con il Vapore “Elba” in n° di 13. II 25 dicembre il Ministro dell’Interno comunicava al Prefetto di Livorno che il giorno 5 gennaio 1864 sarebbe partito da Napoli col trasporto militare, Regio Piroscafo “Plebiscito”, un gruppo di 241 coatti destinati ; 8 a Portoferraio, 5 a Gorgona, 181 a Capraia e 47 per le Province di Cagliari, Porto Torres e alcune città della Toscana. A Portoferraio, Capraia e Gorgona il “Plebiscito” farà sosta diretta. Per le Città Toscane, a cura del Prefetto di Livorno, dovranno essere trasferiti col mezzo delle vie ferrate e per la Sardegna mediante i Postali ordinari in partenza da Livorno. Un così numeroso arrivo di coatti nell’Isola costituì un serio problema di accoglienza, sistemazione e sicurezza. Al termine del I863 si prospetta un caso singolare, che merita essere menzionato per dare un’idea di quale fosse il clima politico che si respirava sull’Isola. A seguito di una relazione che il Delegato trasmette al Prefetto, in data 26 dicembre, propone di affiancare al Parroco, Arciprete Giobatta Sanguineti di Chiavari, il domiciliato coatto Sacerdote Don Giacinto Martone da Vasto (Chieti), arrivato con l’ultima traduzione. Questi ha buonissime relazioni, essendo venuto raccomandato da lettere, potrebbe servire di non poco sollievo nelle faccende di Chiesa e promuovere dal Ministero la destinazione a Capraia di altro Prete condannato al domicilio coatto. Il Prefetto nel passare all’attenzione del Consigliere Fracassi tale richiesta, soffermandosi su quanto riguarda la proposta del Delegato di servire agli uffici di Chiesa dei coatti, anche se Sacerdoti, aggiunge di suo pugno : “Per me questo è un errore. I coatti sono sospetti di disattenzione al Governo, e sono briganti o loro amici. Non è convenevole di mettere nelle loro mani il secreto delle coscenze, sarebbe lo stesso che fare custodire dal lupo le pecore.” Il Sacerdote Don Martone non affiancherà l’Arciprete Sanguineti e, forse per le sue relazioni, lascerà Capraia l’8 aprile I864.

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OCCUPAZIONE DEL CONVENTO DEI FRATI M.M. O.O

Il Delegato Governativo Gallo, da circa un mese residente nell’Isola, notò con interesse il Convento sotto il titolo di Sant’Antonio Abate. Una bella costruzione che ebbe come artefice Frà Giorgio della Bastia M.O, di San Francesco, Economo dal febbraio 1655 al 1658 in un periodo di interregno della Parrocchia di Capraia. L’opera, Convento e Chiesa di Sant’Antonio, terminò nel 1662 sotto il Pievano Don Vittorio Battistini di Brando (Corsica), che fu il più longevo Pievano dell’Isola (dal 1658 al 1706). Tale costruzione presentava un’ampia superficie nella quale vivevano, all’epoca, solo 3 Frati dell’Ordine dei Minori Osservanti. La visita fu un vero sopralluogo assieme ad un Assistente del Genio Civile onde redigere, una perizia per i restauri da farsi, in special modo per il tetto. Il Convento era composto da 22 ambienti che avrebbero potuto ospitare fino a 300 domiciliati coatti. Il convento possedeva una Cisterna d’acqua che “misura una larghezza in circonferenza di metri dieci ed una profondità di metri sette e cinquanta” .Qualora non fosse sufficiente, l’acqua potrà essere somministrata dal Sig. Germi di Capraia a centesimi 30 al giorno. Il Delegato stese poi un’ampia relazione e la inviò, sotto forma di proposta, al Ministero dell’Interno che l’accolse favorevolmente ed avviò la pratica di acquisizione. Trattandosi di una Casa Religiosa soppressa con la Legge 29 maggio 1855, non era soggetta ad alcun Decreto Reale ; pertanto il Ministero di Giustizia e Culti si affrettava a partecipare che, con Decreto emesso il 14 novembre 1863, “si è di già determinato che i Minori Osservanti dell’Isola di Capraia nel termine di giorni dieci, dalla notificazione del Decreto, vengano concentrati nel Convento del loro Ordine in Bolano.” Tra la Delegazione, la Prefettura ed il Ministero vi fu uno scambio di opinioni se fosse opportuno lasciare un frate per i servizi spirituali della Chiesa anche perché ivi si tumulavano i defunti perché il Comune, nonostante la Legge e le superiori Autorità lo imponessero e lo sollecitassero, non aveva ancora provveduto alla costruzione di un Cimitero. Vi fu altresì una Delibera Comunale di Giunta, in data 26.11.1863, sulla necessità di lasciare uno o due Frati ed un’altra precedente, dell’8 aprile l863, che dimostrava esistere un titolo di possesso materiale ed affettivo in quella Chiesa.
Il 23 novembre I863 il Giudice di Capraia notificava, ai Frati MM. OO. del Convento, il Decreto Ministeriale che intimava l’abbandono del Convento e della Chiesa e trasferirsi a Bolano. Esaurite ogni formalità, il giorno 7 dicembre 1863 veniva redatto il Verbale di Consegna del Convento e della Chiesa con lo Stato di fatto e l’Inventario dei mobili ed arredi preziosi trovati nel già Convento e Chiesa dei MM. OO. Il tutto sottoscritto dai Signori: Bosano Amos, Vice Console di Marina facente funzione di Ricevitore del Registro, Zanini Nicola, segretario di questa Regia Giudicatura, Fuelle Domenico, Assistente del Genio Civile, Gallo Cesare, Delegato Governativo. Il Sig. Bosano consegna le chiavi al Sig. Gallo che ne rilascia ampia ricevuta. Lo stesso giorno i Frati, esattamente dopo 200 anni lasciano il loro Convento e la Capraia.

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Lettera di trasmissione della copia dell’inventario degli oggetti esistenti nel convento di S. Antonio Abate in Capraia. (ASLi)
Per notizia, i lavori di restauro costarono 627,00 lire, furono collaudati dall’Ing. Adriano Giani del Genio Civile di Pisa ed eseguiti dall’Impresa Cuneo Stefano di Capraia. Il Regio Piroscafo “Plebiscito” arrivò a Capraia l’8 gennaio 1864 e, contrariamente a quanto preavvisato, sbarcò 156 coatti invece di 181 che vennero tutti raccolti nel Convento. Il Delegato scriveva al Prefetto che “con questo massiccio arrivo, occorrono (se altri verranno) altra paglia per i sacconi e coperte di lana, giacché a molti si dovette distribuire una sola coperta di canapa delle ultime spedite”. Da questa data il Convento fu sempre occupato dai domiciliati coatti fino al 20 settembre 1868 quando, nella notte tra il 20 ed il 21, un uragano di vento troncò il grosso trave di sostegno al tetto che provocò il cedimento dello stesso per circa sette metri. Questo danno, unito a quelli dei condannati palermitani ed alla vetustà, rendeva ormai nulla la capacità di ospitare i domiciliati coatti anche perché in fase di dismissione dello Stabilimento, iniziarono le trattative di restituzione che avvenne il 30 gennaio 1869 con la consegna al Demanio, previo Verbale testimoniale di Stato, Inventario e consegna chiavi del Convento e Chiesa di Sant’Antonio Abate in Capraia, sottoscritto dai Sigg. Ermindo Castagnoli, Delegato Governativo, Giuseppe Celesti, Capo Ufficio di Porto e facente funzione di Ricevitore del Registro, Pietro Ferdinando Mairone, Pretore e Stefano Del Grosso, Medico Militare.

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IL FORTE SAN GIORGIO

Riproduzione da cartolina datata 03 ottobre 1919 ( collezione privata dell’ autore)
Questa Fortezza Genovese, eretta nel 1540 dal Banco San Giorgio a difesa delle scorrerie barbaresche, si erge maestoso a picco sul mare a guardia del paese, ed è simbolo araldico assunto nello stemma del comune stesso di Capraia Isola. Recenti lavori di ristrutturazioni hanno restituite antiche strutture e reperti della sua gloriosa storia. Dal 25 al 27 novembre 1863, il Consigliere di Prefettura Sig. Giuseppe Fracassi, visitò l’Isola e contattò l’Assistente Ingegnere del Genio Civile per la redazione di una perizia quantitativa e di spesa per interventi di manutenzione edilizia e falegnameria da eseguirsi con urgenza. I lavori furono collaudati il 31 maggio del I864 per un importo di lire 979,00. Gli esecutori furono il muratore Giuseppe Ceccarelli ed il falegname Giò Sardi, entrambi capraiesi. Per tutto il periodo del domicilio coatto, il Forte fu destinato a Caserma dei militari di Guarnigione e per alloggi Ufficiali. A disposizione della Delegazione Governativa fu riservata una stanza predisposta a Carcere, per trattenere gli arrestati e i puniti in attesa di consegnarli all’Autorità Giudiziaria. Altro simile locale e con le stesse finalità fu messo a disposizione del Mandamento. Il Forte non fu mai utilizzato per alloggio dei domiciliati coatti. Con la cessazione di questo stabilimento, il Forte, tornò nella piena disponibilità del Ministero della Guerra.

I DOMICILIATI COATTI ALL’ISOLA DI CAPRAJA
Per avere una quantificazione sul numero dei coatti della Capraia è necessario fare una distinzione:
• Dati forniti dalle Autorità Governative.
• Dati ricavati in un giorno determinato, perché variavano settimanalmente ad ogni “giro” di Vapore per innumerevoli ragioni.
• dato complessivo di chi è “transitato” dall’Isola dal 21 ottobre 1863 al 18 agosto 1869.
Il Governo fece due previsioni nel settembre 1863 :n°300 e 335 e nel gennaio 1864: n° 374. L’11 giugno la Prefettura di Livorno comunica al Delegato di Capraia, che il governo intende portare a 660 il numero di coatti nell’Isola. Il Delegato, fatti i dovuti controlli sulla disponibilità degli alloggi in affitto e delle strutture demaniali, si affretta a replicare, con molta determinazione, che “resta assolutamente impossibile il ricovero di tanta gente”. A tale risposta, il Prefetto, in data 4 luglio, scrive al Ministro che non è possibile allocare 660 individui nell’Isola di Capraia. Non si comprende come si potesse, solo pensare, di inviare 660 individui coatti in una piccola località che contava poco più di 600 abitanti! Comunque dopo tale data non si sono trovati altri precisi riferimenti numerici perché il numero dei coatti veniva inviato secondo molteplici esigenze contingenti. Le presenze giornaliere hanno un’ampia variabilità per i seguenti motivi: inviati a disposizione dell’Autorità Giudiziale per procedimenti in corso, trasferimenti ad altri Stabilimenti per richiesta Governativa o del coatto per motivi di lavoro, trasferimenti per motivi disciplinari, rilascio per fine pena ecc. Ciò precisato, si propongono le seguenti rilevazioni delle presenze giornaliere :

31.12.1863: n°56 03.01.1864: n°212 01.01.1865: n°319
01.04.1866: n°262 14.06.1867: n°318 31.10.1867: n° 85
25.07.l868: n°105 20.07.1869: n° 56 18.8.1869: n° 44

Incerto, per la difficoltà di documentazione, l’effettivo numero di coatti trasferiti da Palermo nell’ottobre 1866 perché, in quella data, viene indicata una presenza totale di n° 362 individui.
Il numero complessivo di domiciliati coatti “transitati” da Capraia, si stima potrebbe avvicinarsi intorno alle 600 unità. Ma chi erano questi individui mandati a scontare una pena coatta, anche se non eccessivamente punitiva, che etichettava un individuo e ne insidiava la propria dignità? Dalla ricerca documentaria fatta nel fondo “Prefettura di Livorno” dell’Archivio di Stato di Livorno, ho constatato che nelle 4 Isole dell’Arcipelago Toscano si erano individuati tipi di reati, e professione simili, per potere avviare i coatti ad un lavoro. Questo era un ritorno economico per il Governo perché chi lavorava e percepiva un salario non era più a totale carico dello Stato, perché “pagava” vitto, alloggio, vestiario e quant’altro in base ad un parametro stabilito. All’Isola del Giglio furono avviate solo donne, alcune anche con figli al seguito. Il reato ascritto: Manutengola o supposta manutengola di Briganti, (ossia complice). Erano madri, moglie, figlie, sorelle o compagne di Briganti o supposti tali. All’Isola di Gorgona: contadini, braccianti agricoli, stradini, pastori e simili con il reato di supposti manutengoli o manutengoli di Briganti. Il Governo pensava già di installare in quest’Isola una Colonia Penale Agricola simile a quella di Pianosa. All’Isola d’Elba, Rio e Portoferraio, contadini, operai, artigiani. Con i reati di supposti manutengoli o manutengoli di Briganti, camorristi o supposti camorristi. Ed a Capraia ? Escluso un modesto numero di supposti manutengoli di Briganti o di camorristi, il resto: in maggioranza camorristi, ladro campestre, sospetto in genere, persona sospetta, sospetto di connivenza con bande armate fautori di Brigantaggio, diffamato per furto e sospetto manutengolo, e un poco dedito all’ubriachezza, ecc. ecc. Da alcune informative nelle località di provenienza, per il 90% si legge: povero, impossidente, senza lavoro né casa, lavora con la forze delle proprie braccia, vive d’elemosina, giornaliero, ecc.., insomma disgraziati. Alcuni di questi coatti si dimostrarono volenterosi, trovarono lavoro, si ravvidero e furono bene accolti. Due di essi ebbero un prestito dal Governo, che restituirono a rate, e iniziarono l’attività autonoma di barbiere. Un’altro faceva il calzolaio ed era tanto bene avviato che quando cessò la pena chiese di restare ancora una ventina di giorni per poter portare a termine alcuni lavori già avviati. Il Delegato Governativo tentò di occuparli presso la Manifattura dei Sigari ma la Direzione spiegò che non era possibile in quanto Ente di Stato. Dodici coatti trovarono lavoro con la Ditta che eseguiva l’escavazione del Porto e furono addetti allo “scavafango”. Quando poi si ventilò la chiusura del domicilio coatto nel 1866, cinque coatti, che avevano acquistato la fiducia tra i locali, chiesero di restare nell’Isola per lavorare presso alcuni facoltosi. Lo Stato acconsenti ma con precisi obblighi di responsabilità da parte del datore di lavoro. Per finire con una nota rosea e di speranza, la comunicazione al Delegato da parte di un giovane coatto che stava preparando “le carte” per unirsi in matrimonio con una fanciulla capraiese. Tutti i coatti transitati da Capraia provenivano dalle Province Meridionali con l’eccezione di un gruppo di 42 milanesi, trasferiti nel febbraio I864 dalle Murate di Firenze con l’imputazione di: oziosi, persone sospette e turbatori dell’ordine pubblico. Restarono a Capraia per oltre tre anni, su di loro non si hanno particolari notizie.
TENTATA COSPIRAZIONE DI COATTI IN CAPRAIA ISOLA – 1864
Ottobre si avvicina, questo mese segna il termine del primo anno di domicilio coatto, come previsto dalla Legge Pica. A Capraia molti relegati attendono la data che li riporterà alla loro casa e nella loro società. Ma su questa attesa cala l’ombra della beffa. Infatti nel febbraio l864,[8], viene pubblicata una nuova legge che, pur annullando la Legge Pica, è molto simile ma con due piccole e significative varianti. La prima è che vengono “ammessi però alla difesa degli accusati anche i patrocinanti non militari”. La seconda e che “Il Governo avrà facoltà di assegnare, per un tempo non maggiore di due anni un domicilio coatto … dietro parere conforme di una Giunta composta ecc.” Nascono da qui i malumori e le reazioni degli interessati che lo fanno apertamente, anche in presenza degli abitanti.

Il proprietario del Bar nella Piazza del paese, tale Cuneo Giuseppe Maria Amabile, riferisce che il coatto D’Andrea Gennaro aveva dimostrato sinistri intendimenti, se alla scadenza dell’anno non veniva rilasciato. Ancora un coatto calabrese asserì che un altro coatto, tale Frucillo Cesare, lo invitava sovente a cantare per le vie del paese l’inno dei garibaldini assicurandolo che per poco tempo ancora sarebbero rimasti soggetti al domicilio coatto. Un ultimo coatto tale Memiti Gioacchino affermò che intese dire da diversi coatti, che non conosce, pel breve tempo dacché si trova qui, che i camorristi napoletani volevano commettere gravi disordini. In tutto questo il Delegato ed i suoi uomini sono all’erta. Una mattina viene rinvenuta abbandonata in mare una barca, per cui sospettando che qualche coatto se ne fosse servito, il Delegato fece un appello generale di tutti i coatti, ma non mancava nessuno. La barca fu lasciata, dal proprietario Domenico Pisani, alla Grotta la notte prima, ed il Vice Console di Marina lo ammonì e gli ordinò di portare la barca in Porto. Furono comunque rinforzati controlli e pattuglie. Il Delegato informò il Prefetto, il Sindaco, il vice Console di Marina ed il Comando Militare, a quest’ultimo con molto fermezza, denunciando che il Distaccamento di Capraia da 90 uomini si era ridotto a 52 dopo il ritorno dalle esercitazioni. In tutta questa tensione, le paure trovarono la loro fondatezza al punto che il Delegato sollecita il Prefetto all’invio, da tempo richiesto, di 3 “revolver” per gli impiegati della Delegazione, anch’essi dipendenti della Pubblica Sicurezza
Lo stesso giorno, da un “confidente”, venne rimesso alla Delegazione un foglio trovato in una casa diroccata, ove sembra che il possessore Cajazzo Giuseppe, cui era diretto, l’abbia inavvertitamente smarrito “nel mentre forse che ivi dava sfogo ai suoi bisogni naturali”. Detto foglio, pienamente confermando i sospetti, parla dell’esistenza di un’associazione di 47 camorristi e 25 picciotti per assassinare la Delegazione Governativa, il Sindaco e gli altri impiegati, formando indi la rivolta per facilitarsi la fuga.Le investigazioni minuziose condotte dal Delegato Boniva si conclusero con la individuazione di un gruppo di 25 camorristi, tra i più indisciplinati, che segnalò al Ministero degli Interni che con rapida determinazione deliberò di traslocarne 12 all’Isola di Pantelleria e gli altri 13 all’Isola di San Pietro. Questi lasciarono Capraia il 22 settembre. Tutto questo si collega con il rapporto della Guardia di P.S. Camerani Carlo, che verso le tre del pomeriggio del giorno 19 scorso, vide tale Assuino Raffaele di anni 40 da Resina (NA), marinaio mercantile a bordo della barca napoletana di Cataldo Carlo, anch’egli di Resina che, in via del Cricco, era a stretto colloquio col coatto D’Ambrosio. La Guardia, sospettando macchinassero qualcosa, si approssimò loro ed intese che il D’Ambrosio pregava caldamente il marinaio a voler differire la partenza da Capraia e dicendo che non temesse di nulla e gli prometteva in compenso, mille lire ed anche millecinquecento. La barca era quella che i cospiratori aspettavano per regolarsi sull’azione da farsi e che doveva servire poi per la fuga, come era scritto nel “papello” trovato. Finisce così con niente di fatto e la tranquillità torna nell’Isola grazie al fiuto investigativo del Delegato che scongiurò imprevedibili e sterminati guai. Infatti il capo dei cospiratori Cajazzo Giuseppe e l’altro organizzatore Padello Luigi erano già in viaggio verso Pantelleria ed altri due organizzatori Bolognese Paolo e Sisto Giovanni navigavano verso l’Isola di San Pietro. Con i riferimenti della citata lettera, tutti i cospiratori, furono individuati e tradotti in altri luoghi.
Per facilitare l’interpretazione della lettera avanti riprodotta:
Si viene a conoscere l’identità del capo della cospirazione nel coatto Giuseppe Cajazzo ed i nomi di alcuni suoi principali collaboratori nei coatti Mazza, Izzo, Paciello, Fergoletti detto (Didichinchio) Sisto, Rocco, Bolognese ed un certo Carlo lo Svizzero. I cospiratori erano costituiti da 47 camorristi e 25 picciotti. I coatti calabresi e siciliani si erano dissociati negando ogni partecipazione alla rivolta. I rivoltosi avrebbero ricevuto le armi da Carlo lo Svizzero che era distaccato al Forte. Erano anche stati scelti gli individui che avrebbero ucciso il Delegato di Governo ed il Sindaco. Contemporaneamente avrebbe avuto inizio la rivolta e quindi sarebbero evasi.

EVASIONE DI QUATTRO COATTI DALL’ ISOLA DI CAPRAJA 1868
Già da tempo il Delegato Governativo di Capraia aveva avuto notizie che alcuni coatti meditavano una evasione e, per i pochi uomini a disposizione, chiese al Comandante il Distaccamento Militare di fornirgli ogni giorno tre uomini che, con le tre Guardie di P.S., poteva essere sufficiente per una continua perlustrazione del Porto onde evitare furto di natanti e arrestare i coatti che si recassero al Porto senza il prescritto permesso. Il Comandante acconsentì in via provvisoria in attesa di informarne il Comando. Purtroppo, nonostante questa precauzione, alle ore nove di sera, del 10 luglio avvenne il furto di una barca da parte di tale Domenico Martiradonna di Bari, marinaro di anni 48, il quale, ben pratico del Porto lavorando saltuariamente con il capraiese Nicola Olivieri per la pesca, collocò la barca in un posto nascosto fuori dal Porto tanto che gli altri evasi si imbarcarono in pieno giorno 11 luglio dopo essersi mostrati a giro per il paese nelle prime ore del mattino. Verso le 10 si sparse la voce in tutto il paese che al Porto era scomparsa la barca di Giuseppe Frangioni. Era un bel gozzo tinto di verde, attrezzatissimo di albero, pennone e spigone, due vele, 4 scalmi di legno e quattro remi e tanti accessori. Da un immediato controllo risultarono mancanti questi 4 coatti: Sabatini Alessandro di Lettere (NA),guardiano di armenti e calzolaio di anni 32, Rossi Antonio di Falciano (Terra di Lavoro), contadino di anni 38, Brasiello Luigi di Gruno Nevaro (NA), pizzicagnolo di anni 38, Martiradonna Domenico, marinaro di anni 48, di Bari. La Sottoprefettura di Portoferraio comunicò che i quattro evasi, meno il Sabatini, sono gli stessi che evasero da Portoferraio nel settembre 1866 e che ripresi, vennero traslocati a Capraia.Il 26 luglio, il Giornale “Il Popolo Italiano” di Genova pubblicò questo articolo :
“ Scrivono da Civitavecchia, che il Battello a Vapore della Marina Pontificia, il “San Pietro”, catturò ultimamente nelle acque di Terracina una imbarcazione al cui bordo erano quattro individui. Si credeva che questi fossero Garibaldini e che volessero introdurre nello Stato Pontificio, clandestinamente delle armi; ma vennero riconosciuti per quattro Napolitani i quali erano evasi dal domicilio coatto dell’Isola di Capraia, il loro scopo era solamente di raggiungere sulle coste napoletane i loro compagni. Con essi fu anche reperita la barca rubata per fuggire in danno del capraiese Frangioni Giuseppe.”
Il 5 settembre la sottoprefettura di Rieti comunicò alla prefettura di Livorno che, sul confine del circondario, furono arrestati quattro individui espulsi dallo Stato Pontificio in quanto ritenute persone sospette. Da informazioni assunte alla questura di Genova, risultò che questi erano stati colpiti da mandato di cattura dalla R. Procura di Genova perché evasi dal domicilio coatto dell’Isola di Capraia che, se pur appartenente al circondario di Genova, dipendeva dalla Prefettura di Livorno per quanto competeva all’amministrazione di questo istituto. Non si sa a quale destino andarono incontro i quattro evasi, mentre la barca divenne un affare internazionale. Il proprietario Giuseppe Frangioni dovette fare domanda al consolato di Spagna in Livorno. Purtroppo non era l’iter giusto, sarebbe stato troppo facile. Dovette intervenire il Ministero dell’Interno, poi il Ministero degli Esteri che incaricò il consolato di S.M. Britannica in Roma, questo la R. Prefettura di Livorno che, finalmente, intavolò le trattative con il Consolato Spagnolo di Livorno il quale in data 8 novembre risponde che “saranno quanto prima inoltrate alle Autorità Pontificie quelle pratiche necessarie ad ottenere la restituzione al Sig. Giuseppe Frangioni della barca che fu catturata dal Vapore Pontificio “San Pietro”. Il 4 dicembre il Consolato Spagnolo scrisse al Prefetto di Livorno che “la barca di Frangioni era stata caricata dal Piroscafo Pontificio “Sofia” ed era giunta quella mattina a Livorno, siccome il Piroscafo Pontificio ha dovuto proseguire subito il viaggio, ho fatto consegnare la barca ed il tutto al Sig. Comandante del Porto di Livorno”. Il Frangioni delega al ritiro il Sig. Cuneo Domenico, negoziante con dimora a Livorno a “sicuro recapito” alla Farmacia e Drogheria Somigli in via Sant’Antonio. Il 28 dicembre la Capitaneria di Porto del Compartimento Marittimo di Livorno comunica al Prefetto di Livorno che la barca affidata alla Capitaneria dal Console di Spagna è stata consegnata, coi relativi attrezzi, al proprietario Giuseppe Frangioni di Capraia. A questa lettera è allegato l’Inventario del gozzo e suoi attrezzi.

ANCORA PROROGA AL DOMICILIO COATTO
L’abrogazione della legge Pica nel febbraio 1864, sembrava dover esaurire, con la nuova legge, l’istituto del domicilio coatto con il 1865. Non fu così, perché nel maggio 1866 furono introdotti: una nuova legge, due R.D. e una nuova istruzione riguardante sia una nuova disciplina sulla stampa che una proroga del domicilio coatto esteso, si guardi bene, anche alle province toscane. (In questa maniera ai briganti e camorristi si aggiungono i condannati per “ associazione de’ malfattori).[9] È interessante infine porre l’accento sull’ingenuità di alcuni tra i tradotti a domicilio coatto e citare quanto è emerso da uno dei documenti consultati. Il coatto Fogliano Domenico, camorrista, incurante ingenuamente della censura, scrive in data 11 agosto 1868, alla moglie di contattare altre mogli di camorristi coatti e partire da Napoli per Firenze “ed ivi giunta con le altre donne, osservino quando sorte dal Palazzo S.M. il Re e quindi si gettino avanti la sua carrozza, urlando e chiedendo grazia e così commettere uno scandalo”. Inutile dire che questa dimostrazione svanì sul nascere.

ALLARME COLERA E PROPOSTA DI SOSPENSIONE DEL DOMICILIO COATTO
Il 6 giugno del 1867 il Prefetto, Barone Giulio Alessandro De Rolland, ricorda al Ministro dell’Interno le difficoltà di ogni genere e gli imbarazzi che cagionò al Governo l’allarme per un’epidemia di colera, nell’ottobre 1866, con l’arrivo in Capraia di un imprecisato numero di coatti siciliani. Alla sconfitta del morbo, che si presentava in un aspetto ”muto”, contribui oltre alla fortuna, anche l’opera di valenti medici: il Dott. Vincenzo Silvio, medico di Reggimento inviato da Livorno ed il Dott. Emanuele Antinori trasferito momentaneamente da Gorgona, ove disimpegnava il servizio sanitario a quel domicilio coatto. Sperando non si ripeta un tale infortunio, ma se malauguratamente accadesse e venissero sospesi i collegamenti tra l’Isola e la terraferma, si andrebbe incontro a gravi inconvenienti. All’Isola di Capraia le provviste per la popolazione non basterebbero al di là dei 15-20 giorni e così pure per il domicilio coatto. Non vi è medico condotto né medicamenti e c’è penuria d’acqua in tutte le stagioni, specie in estate. Il Prefetto chiede, pertanto, se forse non converrebbe col prossimo luglio chiudere questo domicilio coatto. Il Ministro, pur apprezzando la premura del Sig. Prefetto, si rammarica di dover obbiettare le gravi difficoltà economiche che presenterebbe la chiusura di questo domicilio coatto, per i trasferimenti in altri luoghi e le difficoltà organizzative, ritenuto che ad oggi (14 giugno 1867) sono ivi presenti 318 coatti. Contrariamente allo scorso anno presente nell’Isola è già quel Medico Militare, il Dott. Vincenzo Silvio, che allora operò con molto sacrificio dimostrando esperienza e capacità in quella emergenza. Cadeva così la proposta di soppressione del domicilio coatto. Però, dopo circa due mesi, un fulmine a ciel sereno scosse la comunità capraiese, il 7 agosto 1867, dopo due ore dall’arrivo del Postale da Livorno, un giovane capraiese, Gallettini Domenico fu Domenico, presentava gravi sintomi colerici. In quel periodo si andava sviluppando a Livorno una grave epidemia di colera (1264 casi con 83I morti) ed il Medico Militare lo fece ricoverare immediatamente nel Lazzaretto che “ assai distante dall’abitato, in luogo arioso e ventilato e nulla v’ha da temere per la salute degli abitanti, essendo buona.” Il Lazzaretto era sicuramente l’ex Oratorio di San Rocco, nell’omonima località, che fu a tale scopo attrezzato l’anno prima e che il giovane Gallettini, penso ne sia stato l’unico ospite. Il giorno nove agosto il Sindaco fece questo comunicato : “L’ammalato è isolato affatto da ogni contatto, ed in questo momento, che sono le nove e mezzo di mattina, trovasi in via di sensibile miglioramento.” Ancora una volta viene scongiurato un grave pericolo, non vi furono rivolte ne decessi tra i coatti. A tale proposito dirò che nei sei anni del domicilio coatto a Capraia, ove transitarono circa seicento coatti, si verificarono solo 9 casi di decessi, dei quali 8 per cause di malattie ed 1 per incidente (scivolò da uno scoglio, lato terra, in località Fica). Tutti furono tumulati nella chiesa di S. Antonio. L’ultimo decesso avvenne l’11 febbraio 1866, dieci mesi prima dei supposti colerosi arrivati da Palermo.

DISMISSIONE DEL DOMICILIO COATTO ALL’ISOLA DI CAPRAIA
L’Istituto del Domicilio Coatto stava sgretolandosi. Costi elevati, burocrazia, sicurezza e personale impegnato da parte di diversi Enti Civili e Militari. Come già in programma da tempo, il Domicilio Coatto alla Gorgona fu dismesso il 15 agosto 1868 quando fu redatto il Verbale di consegna e trapasso dell’Isola dall’Amministrazione del Domicilio Coatto a quello della Colonia Agricola Penale. Il 20 luglio del 1869 il Prefetto di Livorno Cav. Costantino de Magny, comunica al Ministero dell’Interno che il Ministero della Guerra intende ritirare il Distaccamento Militare in Capraia per il 15 agosto prossimo, anche considerando che i coatti presenti in Capraia sono oggi ridotti a soli 56. Ritiene, il Prefetto, che si potrebbe lasciare il Vice Brigadiere con le relative Guardie di P.S., anche perché la popolazione dell’Isola é molto diminuita, i giovani hanno dovuto in gran parte trasferirsi altrove in cerca di lavoro e sono rimasti, vecchi, donne e fanciulli. Però ritiene che questa risoluzione è un po’ rischiosa in caso di contestazioni dei coatti. Sarebbe a rischio la tranquillità di questi abitanti. Dopo altre considerazioni, anche di carattere economico, giudica che si potrebbe chiudere definitivamente questo domicilio coatto a Capraia e trasferirlo parte a Portoferraio e parte a Gorgona. Il Ministro condivide il suggerimento del Prefetto e con nota n° 1315 del 16 luglio ordina la soppressione del Domicilio Coatto nell’Isola di Capraia. Non appena la notizia circolò in Capraia la popolazione si preoccupò e non poco, specie perché, con la partenza della Truppa e della struttura del domicilio coatto, abbandonava Capraia anche il Medico Militare che era stato di grande vantaggio alla popolazione e le finanze del Comune non potevano far fronte per una diversa soluzione. Il 13 agosto 1869 il Sindaco Domenico Chiama scriveva al Sig. Prefetto pregandolo “per ottenere la continuazione in Capraia del Domicilio Coatto per le condizioni miserabili ed infelici di questi abitanti ecc,ecc. . .”. Ma non ci fu seguito a questa lettera. Il 18 agosto,con il Postale “Elba”, venivano trasferiti gli ultimi 44 coatti destinati a Portoferraio. Il giorno 19 successivo partì il Distaccamento Militare e le Guardie di P.S. Rimarranno nel carcere di Capraia, a disposizione del Pretore, tre coatti che verranno dimessi allorché sconteranno la pena, il Delegato Governativo ed un assistente per la disdetta dei contratti e per riunire ed imballare tutto il materiale che apparteneva all’Amministrazione del Domicilio Coatto. L’Isola piombò nella sua solitudine e nelle sue ristrettezze ma con la dignità di una comunità accogliente, rispettosa degli altrui travagli, ma pur sempre dignitosa delle sue modeste condizioni. Siamo giunti così alla conclusione di un percorso storico di questa “nostra” Isola , mi dispiace che il limitato spazio a disposizione non mi consenta di parlare in modo più ampio e citare altri episodi, alcuni sconcertanti,. Mi auguro che questa sia l’occasione per dare inizio a nuovi interventi che mettano in luce la vita di questa comunità e poter in tal senso dare il mio semplice contributo.
Giuseppe Santeusanio 2011
Fonti documentarie:
Archivio di Stato di Livorno: Fondo Prefettura, Fondo Capitaneria di Porto
Raccolta ufficiale delle leggi e decreti del Regno d’Italia
Archivio di Stato di Genova: Fondo Prefettura
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[1] R.D. n° 764 del 17 agosto 1862 che dichiara lo stato di assedio la città di Palermo e tutte le Provincie della Sicilia. R.D. n° 775 del 20 agosto 1862 col quale la città di Napoli e tutte le Provincie Napolitane sono dichiarate in stato di assedio.
[2] R.D. n° 789 del 22 agosto 1862 che dichiara mobilizzate e sul piede di guerra le truppe stanziate e spedite in Sicilia durante lo stato di assedio. R.D. n° 792 del 24 agosto 1862 col quale si dichiara che le truppe attive che si trovino o siano mandate nelle Provincie Napoletane durante lo stato di assedio, potranno essere poste sul piede di guerra. R.D. n° 954 del 16 novembre 1862 col quale viene tolto lo stato d’assedio nelle Provincie Napolitane e Siciliane.
[3] Legge n° 1424 del 25 agosto 1863 per l’esecuzione dell’art. 5 della legge 15 agosto 1863. Legge n° 1433 del 30 agosto 1863 per l’esecuzione dell’art. 7 della legge 15 agosto 1863.
[4] R.D. n° 1099 del 18 dicembre 1862 col quale è definitivamente costituita la manifattura di sigari nell’Isola di Capraia.
[5] Ex “Veloce” della Marina Borbonica. Al passaggio dei ranghi della Marina Italiana fu denominata “Tukery”, in memoria del volontario garibaldino ungherese morto a Palermo il 27 maggio 1860
[6] R.D. n° 170 del 30 giugno 1861 con cui il litorale marittimo dello stato è diviso in Circondari marittimi, ed è stabilito in ciascuno di essi un consolato di Marina. Nell’allegata tabella n° 1 di detta legge, il circondario marittimo di Livorno si estende dalla Magra a Torre Mozza inclusa l’Isola di Capraia ove ha sede un Vice Consolato di Marina.
[7] Tale località mi è del tutto sconosciuta, in una vecchia scrittura privata per cessione di beni è indicata la località “chiusarello o chiusarelli” trova assonanza con “chiossi d’arelli” che, se pronunciato come unica parola “chiossarelli”, dal vecchio aggettivo capraiese “u chiusu”, chiuso, recinto entro il quale si tenevano gli animali domestici, la mucca o qualche capretta. Quindi chiusarello era un piccolo recinto fuori dall’abitato. La località “i chiossi d’arelli” può essere individuata oggi alla “piscina”.
[8] Legge 7 febbraio 1864 nº 1161. nuova legge sul brigantaggio che abroga la legge del 15 agosto 1863 nº 1409. R.D. del 11 febbraio 1864. Regolamento per l’esecuzione dell’art 10 della legge 7 febbraio 1864 nº 1661.
[9] Legge 17 maggio 1866 nº 2907. R.D. 17 maggio nº 2908. R.D. 20 maggio 1866 nº 2918 Istruzioni Ministeriali 20 maggio 1866 nº 6071, per l’applicazione della legge e decreto sul domicilio coatto.

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La parabola del “Figliol prodigo” in dialetto capraieseIn “L’Ottocento”
1748 – Un organo per la chiesa di S. Antonio del convento francescano di CapraiaIn “Il Settecento”
1979 – L’erbario di LydiaIn “Il Novecento”
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