L’Italia di oggi è figlia di quella del Risorgimento

L’Italia di oggi è figlia di quella del Risorgimento, ed è quindi in questo periodo che ne vanno cercati i caratteri e le malformazioni. Se siamo fatti in un certo modo è perché il Risorgimento si fece in un certo modo. Per me la storia non è che la ricerca nel passato dei perché del presente e per questo, sul Risorgimento, ho sentito il dovere di spingere lo scandaglio più a fondo.
(Indro Montanelli, L’Italia del Risorgimento, Rizzoli 1972)
Gigi Di Fiore

 


 

 

 

Nascita di una nazione
Montanelli, l’Italia diventa bestseller
Così nacque la storia del nostro Paese. Libri snobbati da molti accademici, ma elogiati da Jemolo, Valiani, Eco

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«Chi fu quel colossale coglione che ti sconsigliò di accettare le mie proposte, a suo tempo? E perché i coglioni seguiti a tenerteli intorno?». Così si esprimeva Montanelli nel dicembre del ’57, in risposta a un dolce-amaro telegramma ricevuto dall’amico Arnoldo Mondadori: «Congratulazioni per tua Storia di Roma col dispiacere vivissimo di non esserne l’editore».

montanelli-foto-200-202--200x202La Storia di Roma era uscita a puntate sulla «Domenica del Corriere», per poi essere edita in volume da Longanesi, con un’accoglienza straordinaria da parte del pubblico. Era la prima vera prova del Montanelli «storico». Pare fosse stato Dino Buzzati a suggerirgli di lanciarsi nell’esperimento. Ma lasciamo ancora la parola a Indro, sempre nella sua lettera ad Arnoldo: «D’ora in poi, chi vorrà leggere una storia di Roma svelta, chiara, facile e piacevole, leggerà la mia. Non perché sia la migliore, ma perché è l’unica scritta in maniera non scolastica. Non è un capolavoro né storico né letterario. Ma è una volgarizzazione ben fatta: proprio quella di cui c’era bisogno». Così il suo stesso autore spiegava pregi e difetti della futura Storia d’Italia.
Leo Longanesi, da poco scomparso (27 settembre ’57), era stato estromesso un anno prima dalla sua casa editrice. Perciò Montanelli si sentiva del tutto libero libero di trasferirsi altrove. Onde le trattative con Mondadori, che tuttavia non erano andate a buon fine. Arnoldo aveva mostrato un interesse piuttosto tiepido. Forse era stato sviato da ben tre pareri «interni» sfavorevoli sulle prime sei puntate della Storia di Roma.

 

150 anni vissuti insieme

Roberto Cantini giudicava il racconto «un po’ opaco, appesantito da confronti non indispensabili, scarso di coloritura e di accenti». L’ex collaboratore di «Critica Fascista », Mario Rivoire, dipingeva il testo come «una via di mezzo fra il pastiche e il pamphlet». Infine, l’intellettuale antifascista Bruno Maffi esprimeva forti riserve sulla «filosofia» montanelliana: la sua «visione scettica, disincantata, della vita e della storia impronta tutta la narrazione, col risultato che tutto si appiana e si spiana, tutto è grigio ed uniforme, proprio nello stile semplificatorio del giornalismo corrente, che non si preoccupa mai di approfondire e giustifica questo mancato sforzo con i dettami della saggezza millenaria». La conclusione di Maffi era stata drastica: «Che questo metodo aiuti a capire la storia, sia pur semplificandola, lo nego: potrà aiutare la cultura generale come l’aiuta… Lascia o raddoppia. Per me, il tentativo di Montanelli è squallido, falsamente geniale e banalmente umoristico».

Nell’insieme, dunque, i tre lettori mondadoriani erano approdati ad una quasi stroncatura, pur intuendo che il nome di Montanelli fosse di per sé una «garanzia sicura» (Cantini) da un punto di vista commerciale.
Nel ’59, due anni dopo la Storia di Roma, il giornalista affidava il suo secondo lavoro, la Storia dei Greci, a Rizzoli. Prima di firmare in via definitiva con la nuova casa editrice, Montanelli aveva avuto un altro «pourparler» con Mondadori. Si arrivò sino alla bozza di un contratto, che impegnava il primo per cinque anni con la casa di via Bianca di Savoia. Ma non se ne fece nulla, questa volta a causa della burocrazia mondadoriana: «Caro Presidente, quando uno esce, caldo di entusiasmo e di gratitudine, dalla Tua stanza per entrare in quella di un qualunque Tuo collaboratore e mettere nero su bianco gli accordi fissati con Te, rischia sempre di prendere la polmonite per le ventate di aria ghiaccia che lo investono da tutte le parti». I cavilli sollevati avevano urtato la sua «natura di contadino toscano avvezzo alla bottega artigiana e refrattario alla grande organizzazione industriale» (21 ottobre 1958).
Il mancato accordo si rivelerà per Mondadori una grande occasione perduta. Dopo aver pubblicato i due libri sui Romani e sui Greci, Indro dava alle stampe — sempre con Rizzoli — una biografia di Garibaldi (1962, coautore Marco Nozza) e un volume dedicato a Dante e il suo secolo (1964). Ma sarà soltanto con L’Italia dei secoli bui, del ’65, che Montanelli comincerà a pensare ad una «ricostruzione» organica, in più «volumi a catena», delle «vicende del nostro Paese e della nostra civiltà da Omero (…) a Mussolini». Trent’anni dopo, nel ’97, pubblicherà L’Italia dell’Ulivo, ultimo capitolo di una storia d’Italia in oltre venti tomi. Ad affiancarlo nell’impresa — a parte cinque volumi che negli anni Settanta scriverà da solo —, Montanelli aveva chiamato due colleghi giornalisti: il giovane Roberto Gervaso, dal 1965 al 1970, e lo sperimentato Mario Cervi, dal 1979 sino alla fine. Così avrebbe spiegato il proprio metodo di lavoro a un lettore del «Giornale» (nel ’78): «Io faccio con Cervi un bozzone in cui, alla documentazione storica cui provvede lui, aggiungo i miei personali ricordi. Poi lui scrive. Poi io rivedo la scrittura di Cervi aggiungendovi del mio. E ne viene fuori quello che Lei legge ».

Impressionante la diffusione. Come ha accertato la studiosa Emanuela Scarpellini, al 31 dicembre 2004 delle opere storiche di Montanelli erano state vendute più di 7 milioni di copie in libreria e 6 milioni nelle edicole (speciali edizioni riproposte da Fabbri). Inoltre, nel 2003-04 la Storia d’Italia, abbinata al «Corriere della Sera», ha avuto 4 milioni e mezzo di acquirenti. Impietosi i raffronti con i libri scritti da storici accademici. Come la biografia mussoliniana di Renzo De Felice (Einaudi, in otto tomi), che ha venduto nelle sue varie edizioni 435 mila esemplari, ossia un quindicesimo di Montanelli. Per non parlare dei volumi più specialistici, destinati al mondo universitario, che hanno di norma una tiratura inferiore alle mille copie.
Al contrario della massa dei lettori, la reazione degli addetti ai lavori sarà nel complesso molto severa. Con poche, ma significative eccezioni: Paolo Alatri, Gioacchino Volpe, Arturo Carlo Jemolo, Alessandro Galante Garrone, Leo Valiani e persino Umberto Eco, il quale, dopo aver letteralmente divorato L’Italia dei secoli bui (1966), scriveva sull’ «Espresso»: «Verso le quattro di mattina avevo dimenticato i propositi critici e attendevo, per addormentarmi, di aver finito l’ultima pagina di questo affascinante romanzo, dove l’invenzione è sostituita da un ritmo serrato di racconto e da un’agile capacità di dare volti ai personaggi e immediatezza ai fatti». Però la maggior parte degli storici di professione, sempre più rabbiosi e sprezzanti per il successo riscosso dal giornalista, non perdoneranno mai all’outsider di essere stato il più seguito divulgatore di storia patria che abbia avuto l’Italia contemporanea.
Montanelli, serafico, «tutto quel chiasso» non degnerà «d’un guardo» e proseguirà indefesso la sua opera fino alle soglie della più stretta attualità

Sandro Gerbi

15 marzo 2011(ultima modifica: 16 marzo 2011)
https://www.corriere.it/unita-italia-150/11_marzo_15/italia-bestseller_b969feb6-4f23-11e0-9fbe-81b04f5e425c.shtml

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