Naufragare in mezzo ai libri

𝗡𝗮𝘂𝗳𝗿𝗮𝗴𝗮𝗿𝗲 𝗶𝗻 𝗺𝗲𝘇𝘇𝗼 𝗮𝗶 𝗹𝗶𝗯𝗿𝗶
Sono stato per giorni prigioniero della mia biblioteca. Il delirio di un trasloco, la tristezza di un clima civile (…) mi avevano spinto a barricarmi in casa dietro trecento cartoni di libri e a estinguere la mia vita sociale tra le mura domestiche di una biblioteca da sistemare.
Ho accettato il sequestro di persona come una liberazione dal mondo e naufragando per diversi giorni, al di fuori del tempo, fra gli scaffali, vivendo l’ebbrezza divina del giudizio universale, decidendo i sommersi e i salvati…

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Naufragare in mezzo ai libri
marcello veneziani libri(1)

Sono stato per giorni prigioniero della mia biblioteca. Il delirio di un trasloco, la tristezza di un clima civile (…) mi avevano spinto a barricarmi in casa dietro trecento cartoni di libri e a estinguere la mia vita sociale tra le mura domestiche di una biblioteca da sistemare.

Ho accettato il sequestro di persona come una liberazione dal mondo e naufragando per diversi giorni, al di fuori del tempo, fra gli scaffali, vivendo l’ebbrezza divina del giudizio universale, decidendo i sommersi e i salvati; non disdegnando il purgatorio ai libri di incerto valore e il limbo agli scritti che non si fecero libro. Ho dimenticato il contesto per sistemare il testo, ho trascurato la vita, ho saltato appuntamenti, ho lasciato morire telefoni, ho abbandonato il mio ultimo libro in libreria come un ordigno o un trovatello sulla ruota degli esposti. Ho vissuto felicemente sepolto in questa specie di bulimia libresca accompagnata da anoressia mondana. Passione da umanista, si dirà, ricordando il celebre passo di Machiavelli che rinasceva tra le antique corti degli antiqui uomini e sdimenticava gli affanni quando entrava nella sua biblioteca, conversava con i classici e si pasceva di quel cibo che solum è mio. Il classico come il vino, repellit curas, scaccia gli affanni e dona la verità; ma a differenza del vino produce stati di saggia lucidità. Per ogni libro di autore vivente bisognerebbe leggere un classico. Qualcuno dirà che è il supplizio degli etruschi che legavano un vivo a un morto; ma temo che il morto non sia il classico. Il novanta per cento dei libri che mi circondano racchiudono pensieri vivi di uomini morti. Non saprei tuttavia dire se navigare tra i libri sia segno di passione umanistica, perché si accompagna a un sottile disgusto per il genere umano che a volte non è il mio genere; non so stare a questo mondo e avverto l’assoluta irrilevanza dell’esistere.

Arrivo a pensare, nei momenti migliori e peggiori del mio delirio libresco, che i libri siano meglio degli uomini, anche se a volte possono nuocere anche più di loro. Ma nei libri c’è il distillato dell’umanità, la parte migliore e comunque più rilevante, non solo di autori e scrittori, ma anche di personaggi ed eventi. Tutto quel che è fuori dai libri appartiene all’oblio, merita di sparire. Ciò non vuol dire che la presenza sia meglio dell’assenza…a volte è meglio uscire dagli sguardi del mondo.

Così navigo per infinite ore in questo alter mundus, in questo aldilà di carta dove aleggiano le anime pensanti. A volte mi sento il custode di un cimitero, gli scaffali mi sembrano loculi e i cofanetti figurano come urne; però qui non ci sono i resti di un corpo disfatto, ma quel che è vivo di un uomo. Un memorabile testo di de Certeau aveva stabilito una stretta equazione tra scrittura e sepoltura. La scrittura esorcizza la morte.

Sono geloso dei miei libri e nessuno può sistemarli all’infuori di me; i traslocatori hanno solo trasferito i cartoni e disordinato gli assetti, offrendomi la possibilità di risistemarli in una seconda nascita e di pormi kantianamente come l’Io legislatore del cosmo. Così godo del furore di avere libri, come scriveva il bibliomane settecentesco Gaetano Volpi. Detesto prestare libri o addirittura cederli, mi sembra di donare sperma alla banca del seme; mi preoccupa la loro ignota destinazione e l’utero mentale che li accoglierà e poi li metterà al mondo. Sospetto ladri di libri tra chi si insinua nella mia casa; a volte diffamando i miei ospiti occasionali ma più spesso sopravvalutandoli. Penso a sistemi infallibili per impedire il furto: inferriate che scendono sui palchetti, mannaie che si abbattono sulle mani intriganti, sistemi di allarmi e telecamere come ai musei e alle gallerie, perquisizioni all’uscita. Sogno per la fine della mia vita di essere rilegato in pelle, come un tomo, per cucire decentemente i fogli slegati dell’esistenza e dar loro un senso, un titolo e un dorso.

Fuori tirano venti miserabili (…). E io divido in gironi come un’immensa commedia, autori, generi e temi, classifico il mondo attraverso i suoi resti, decido le gerarchie, svelo parentele, assegno vicinanze; non mi importa di vivere né di invecchiare. Dimentico di avere un corpo. Perfino il morire sembra un dettaglio nel cosmo rilegato del sapere. A volte sento il fiato e lo sguardo degli autori medesimi, i loro sospiri, le loro lodi e le loro deplorazioni, a cominciare dal cieco signore delle librerie, Borges, bibliotecario per eccellenza. Godo e soffro solo dei libri che ritrovo o che non trovo, dei libri che non so collocare decentemente e di quelli che non hanno adeguata residenza. Di altro non vivo e non mi curo quando sono nella mia biblioteca. Mi sento una specie di San Gerolamo senza santità. E ogni tanto mi fermo a pregare per i libri scomparsi, che l’odiosa censura decise, in Cina come da noi, di annientarli al mondo. In quale cielo saranno i libri soppressi o dileguati dal tempo?

Ho adottato un criterio inflessibile per la loro collocazione: ad inferos ci sono i libri malvagi. C’è ad esempio tutta la collezione dei libri che riguardano i cattivi maestri, le filosofie maledette, i saperi fuorvianti, le pericolose utopie che hanno insanguinato la storia. Nei piani di mezzo, ad altezza d’uomo, ci sono i libri più cari e più benemeriti, ed i più consultati. Vicini ai punti di luce i libri metafisici, all’altezza della mia scrivania gli autori più cari, padri e fratelli in spirito. Più in alto, ad altezza di carezza in punta di piedi, i libri che meritano affetto più che lettura, per ragioni di famiglia, di vetustà o d’autore. Nei piani più alti, estremi, ci sono più vacui e meno essenziali, come evaporati per la loro scarsa sostanza (…) Tornano le cantiche dantesche, come i gironi. E io non potrò mai invitare autori a casa, dopo quello che ho scritto, perché vivrei nel terrore della collocazione inospitale dei loro libri. La casa è aperta solo ad analfabeti e a lettori passivi (…)

MV, Il segreto del viandante (Mondadori, 2004)