Episodio di eroismo di Michele Perugini

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L’odissea del cacciatorpediniere Scirocco

Un episodio di eroismo quasi dimenticato della Seconda guerra mondiale, protagonista il nocchiero Michele Perugini

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Varo del cacciatorpediniere Scirocco (fonte: Marina Militare)

di Aldo Cherillo

33861_Scirocco3PeruginiNegli anni dal 1938 al 1942 la Regia Marina fu fiera ed eroica protagonista del Secondo conflitto mondiale. Molti episodi di quel periodo, atti di vero eroismo, sono stati dimenticati. Uno di questi riguarda il cacciatorpediniere Scirocco e il suo nocchiero Michele Perugini nello scenario drammatico della Seconda Battaglia della Sirte in cui la Marina Italiana ebbe la meglio su una squadra della flotta inglese al comando del contrammiraglio Philip L. Vian.

Il cacciatorpediniere (CT) Scirocco apparteneva alla classe Maestrale. Come le altre tre unità gemelle con i nomi della Rosa dei Vènti: Maestrale, Grecale e Libeccio. Lo Scirocco era una nave veloce, manovrabile, dotata di buona autonomia, costruita nei cantieri di Riva Trigoso di Sestri Levante e fu varato nel 1934. Progettato per scortare navi di dimensioni maggiori con manovrabilità ridotta, aveva il compito di difenderle da eventuali aggressioni derivanti da unità di attacco più maneggevoli, ma anche da sottomarini e da aerei.

La sua scheda tecnica riporta che erano lungo 106 m e pesava 1680 t. Era mosso da 3 cal-daie con potenza da 44.000 cv che fornivano alla nave una velocità 32 n con un’autonomia di 4.000 mn a 12 n. L’equipaggio dell’epoca era formato da 7 ufficiali, 176 sottufficiali e marinai. Armato con 4 pezzi da 120/50 mm, 2 pezzi illuminanti da 120/15 mm, 8 mitragliere da 20/65 mm, 6 tubi lanciasiluri da 533 mm e 2 tramogge per bombe di profondità.

Nel corso del conflitto compì novantasei regolari missioni di guerra (13 con le forze navali, 4 di posa di mine, una di caccia antisommergibile, 2 di trasporto, 14 di scorta convogli, 16 ad-destrative e 46 di trasferimento o di altro tipo), percorrendo circa 34.000 miglia.

Sotto il comando del capitano Francesco Dell’Anno, levò le ancore la mattina del 22 marzo 1942 per raggiungere la squadra navale impegnata nello scontro tra un convoglio della Royal Navy e varie unità della Regia Marina a nord del golfo della Sirte. Non fece però in tempo a partecipare all’azione e quindi gli fu ordinato il rientro. Nella serata dello stesso giorno ebbe inizio la fase di ritorno alla base di Taranto, insieme al CT Geniere. Alle mutate avverse condizioni metereologiche del momento si aggiunse una seria avaria meccanica alla trasmissione del moto che costrinse la nave a una velocità di 14 nodi, lentezza scesa poi ad appena 7 nodi nelle ore seguenti. In quelle più che critiche condizioni il CT non riuscì a raggiungere il resto del gruppo navale in rotta di ritorno alla base. All’alba del giorno successi-o, il 23, i propulsori andarono fuori uso, lasciando lo Scirocco paralizzato e in balìa ad enormi frangenti, portandosi di traverso a quelle onde torreggianti fino 10 metri di altezza. Né gli con gli immani sforzi dell’equipaggio né con l’aiuto del CT Geniere si riuscì ad evitare la tragedia. La nave affondò intorno alle 5.45 a 150 miglia da Malta.

…Anche gli aerei perlustrano le infide acque. Un idrovolante, la mattina del 26, vede due uomini su un battellino. Le acque sono più tranquille e l’ammaraggio può aver luogo. Sono gli unici due superstiti dello Scirocco, il Sergente nocchiero Michele Perugini e il marò Domenico Frisenda. In tre giorni su quel mare tempestoso si erano spostati di ben 80 miglia dal punto di affondamento della nave. Confermeranno che lo Scirocco era calato a picco alle 5:45 del 23 marzo. La loro salvezza in quelle condizioni, ha del miracoloso. Da “Fucilate gli ammiragli, di Gianni Rocca, Mondadori, 1997.

La testimonianza

All’ingegner Carlo Perugini, figlio di Michele, chiediamo di raccontarci la storia di quel Nocchiere che, dai sentieri sanniti dei monti di Pontelandolfo, scelse una strada che da giovane lo aveva affascinato. La via del mare.

Ingegnere Perugini, da dove sono nati il bisogno e l’opportunità di far conoscere un episodio della nostra Marina Militare che si è pur verificato tanto tempo fa?
“Mio padre non è riuscito mai a completare il racconto di ciò che avvenne quella notte del 22 marzo 1942. L’emozione prendeva il sopravvento e nonostante le mie domande pressanti, era sopraffatto dall’emozione e la voce gli si interrompeva impedendogli di continuare a raccontare. Solo alcuni anni dalla sua scomparsa, mettendo a posto le sue carte, scoprii un manoscritto in cui aveva annotato la sua storia”.

Dai risultati acquisiti anche dalle sue ricerche storiche, ci parla di cosa accadde quella tragica notte? 
“Quella notte sul Mediterraneo Centrale e sul Canale di Sicilia le condizioni meteo erano terribili. Secondo i bollettini meteo la zona di mare era sotto una “Tempesta Violenta”. Mio padre era al timone del CT Scirocco da molte ore; per un’avaria a una delle turbine la nave arrancava per seguire il resto della squadra. Quando fu raggiunta la zona convenuta per riunire il complesso del naviglio era ormai sera e in quell’area le onde erano alte molti metri. L’avaria alla turbina peggiorò la situazione rendendo la condizione del battello non più governabile. Postosi di trasverso al moto ondoso un maroso sovrastò il ponte di coperta dello Scirocco e, attraverso gli osteriggi, invase la sala macchine facendo esplodere l’unica caldaia funzionante”.

Un particolare della narrazione di suo padre che più l’ha colpito?
La consegna di un anello. “L’imbarcazione era in completa balia della tempesta. Il tenente medico, con molta fatica raggiunse, la plancia di comando; chiese a mio Padre di prendere un anello che gli porgeva e di consegnarlo alla sua fidanzata. ‘Sono sicuro che tu ti salverai – disse – mentre io morirò’. Mio Padre strinse l’anello e s’impegnò a consegnarlo. L’ufficiale medico, scendendo dalla scala del castello di prua, cadde e batté violentemente la testa. Un’onda enorme spazzò il suo corpo dal ponte.

Quello che l’ha impressionata di più?
“Il gesto del comandante di mio padre. Quello del ‘Si salvi chi può’ dato dal comandante Francesco dell’Anno: Si inginocchiò davanti all’immagine di Santa Caterina che era in plancia e, presa la pistola d’ordinanza, si sparò alla tempia. Per mio padre fu un colpo terribile.”

Molti altri particolari della storia, Carlo Perugini li riporta in “Nessun altro si Salverà!“, libro edito da KDM, 2020, disponibile su Amazon. La possibilità di approfondire una vicenda poco conosciuta che riguarda la storia della Marina Militare Italiana.
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