Dai paesi della Valle Telesina – I Parte

Data di nascita, origine dei nomi e stemmi civici dei paesi della Valle Telesina – I parte di Antonello Santagata

Posted by altaterradilavoro on Gen 20, 2021
Data di nascita, origine dei nomi e stemmi civici dei paesi della Valle Telesina – I parte di Antonello Santagata

Gli stemmi civici, con i relativi gonfaloni (i drappi che si vedono sorretti dai vigili urbani durante le processioni o le solenni manifestazioni civili), sono i simboli identificativi di ogni paese perché sintetizzano in un piccolo spazio la storia, le peculiarità e le caratteristiche principali del territorio e del popolo che lo abita.

La dotazione di un emblema e soggetta da una legge del ’43, aggiornata in parte nel 2011, che disciplina nel dettaglio la sua composizione. Ad esempio, la forma dello scudo nel quale inserire le figure deve essere quello cosiddetto “sannitico moderno”. La corona che sovrasta lo scudo è diversa a seconda che si tratti di Province (vi è l’aggiunta di due rami, uno di alloro ed uno di quercia), di Comuni insigniti del titolo di Città (cioè quelli che il Presidente della Repubblica riconosce come “insigni per ricordi o monumenti storici o per attuale importanza”) che hanno una corona con cinque torri visibili; o, infine, dei semplici Comuni che hanno una corona con tre torri visibili.

Lo stemma, poi, viene “blasonato” con l’aggiunta all’interno di elementi che possono essere araldici, naturali e ideali la cui simbologia ha un preciso significato di cui si occupa la cosiddetta “araldica civica” che molto conserva della “araldica nobiliare”, abolita con la costituzione repubblicana.

Landolfo, principe longobardo di Benevento e Capua, nel 980 fece costruire un ponte sul torrente Lenta, in territorio di Pontelandolfo. E’ unanimemente accettato, quindi, che l’origine del nome del paese derivi dal latino Pontis Landulphi e a quella data si fa risalire anche la sua nascita.

Lo stemma civico del paese, un ponte a tre archi sormontato da un guerriero longobardo con elmo, scudo, lancia e corazza, richiama in tutto i suoi natali. Il ponte simboleggia anche l’unione.

Faicchio fu sicuramente un insediamento sannita visto che sul monte Acero ancora si ergono le possenti mura megalitiche di una loro fortificazione detta Arce, risalenti al VI sec. a. C. Per cui qualcuno ha proposto che il suo nome derivi dalla antica Fulfulae sannita. E’ molto più probabile che esso derivi, invece, dalla tradizionale coltivazione delle fave, per il qual motivo i Normanni la chiamavano Favicella. Al periodo longobardo, quando fu edificata la chiesa di San Michele sul monte Monaco, con ogni probabilità deve farsi risalire l’aggregazione di Faicchio come paese anche se il suo nome compare per la prima volta in un documento del 1151 come possedimento dei Sanframondo.

Lo stemma del Comune è particolare, rappresenta una mano che regge una fiaccola accesa. La torcia, nell’araldica civica, rappresenta la luce e la sapienza.

Molto complesso è lo stemma di Guardia Sanframondi. Nello scudo vi sono tre colli sormontati ciascuno da una torre e in quella centrale si erge un grifone che regge una pietra. La simbologia spiega al meglio le caratteristiche dei guardiesi. I monti oltre a richiamare, in genere, la geografia del territorio sono il simbolo di grandezza e sapienza, le torri di antica nobiltà mentre il grifone, figura mitologica metà leone e metà aquila, quale unione tra i due più nobili animali, rappresenta la perfezione ma anche la vigilanza, la guardia. La pietra, infine, è la tenacia.

Un sapiente e tenace popolo di montagna, di antica nobiltà posto a custodia della valle.

La nascita del paese si può far risalire al XII secolo, durante il periodo normanno, quando era possedimento dei nobili Sanframondo, da cui il nome. Altri invece parlano di un’origine longobarda quando il paese si chiamava Warda, molto simile a warter che in tedesco (la lingua parlata dai Longobardi) significa guardiano.

Tre torri su tre monti è lo stemma di Cusano Mutri. Antica nobiltà, sapienza e grandezza, dunque. Cusano, dopo Telesia, è probabilmente l’insediamento più antico di cui si ha notizia certa nella nostra zona. La chiesa di San Pietro e Paolo, adiacente all’antico castello, è documentata essere esistente già nel V secolo, citata da una bolla di Papa Felice III.

Il nome, invece, secondo alcuni studiosi deriva dall’antico borgo sannita di Cossa distrutto, insieme a Telesia e Melae (Melizzano), da Fabio Massimo nella seconda guerra punica. L’identificativo Mutri deriva dal monte Mutria che la sovrasta.

Pure il nome di Cerreto, a cui nel 1863 fu aggiunto Sannita, lo si vuol far derivare dalla Cominium Ceritum citata da Livio, località dove i romani inflissero una sonora sconfitta ai cartaginesi durante la seconda guerra punica. Anche il rapporto fonetico tra il dialettale C’rrit’ ed il liviano Ceritum ne comproverebbe la derivazione (Vigliotti). Più facile pensare che il nome derivi dalla presenza di boschi piantati a cerri, pianta simile alla quercia. Infatti, nello stemma è ripreso proprio un albero di cerro sradicato. Il cerro, come la quercia, è simbolo di forza, nobiltà e potenza.

E’ possibile che il paese si sia sviluppato con il rifugiarsi degli abitanti della Valle durante i saccheggi saraceni nel IX secolo. Il primo documento noto che parla di Cerreto è un atto dell’anno 972 dell’imperatore del Sacro Romano Impero, Ottone II, che conferma il possesso della chiesa di San Martino all’abate di Santa Sofia in Benevento.

Gli storici locali fanno derivare Il nome Paupisi dalla parola latina pagus che significa villaggio unita all’aggettivo pisus che dovrebbe significare “appeso” (anche se pare che non vi sia traccia nel vocabolario latino di quest’ultimo termine). Comunque, la scritta “Pagus Pisus” è presente nello stemma cittadino ai piedi di una torre che sovrasta 10 alberi frondosi, i quali sono simboli dell’unione tra il cielo e la terra.

Vista l’origine del nome, anche la nascita del paese viene fatta risalire all’epoca romana. Certo è che il nome Paupisi compare in un atto notarile del 1208. Il paese fu un casale di Torrecuso fino al 1748, quando divenne indipendente, mentre il Comune di Ponte, a sua volta, fu annesso a Paupisi dal 1892 al 1913, anno in cui ottenne l’autonomia.

La tradizione fa nascere il nome Castelvenere, o meglio Veneri, in epoca romana quando nel luogo vi doveva essere un tempio dedicato alla dea dell’amore. Il paese era vitale anche in epoca longobarda quando diede i natali, nel 602, a San Barbato, ma solo nel 1300 viene citato il nome Catrum Veneris.

Nei secoli viene chiamato in vari modi: da Castiel Veneri a Veneri da Castello Venere a Castel Veneri fino al 1811, quando diventa finalmente Castelvenere come Comune della provincia di Terra di Lavoro.

Lo stemma raffigura un castello di colore rosso con tre torri. Il castello richiama evidentemente il nome del paese (nonché la fortezza costruita dai Monsorio nel 1400 della quale ora resta l’ancora più antica torre Angioina) mentre il colore rosso, essendo il colore del sangue, rappresenta l’audacia ed il valore in battaglia.

San Lorenzo Maggiore venne formandosi gradualmente, a cominciare dall’VIII- IX secolo, a seguito delle migrazioni (causate delle frequenti scorribande saracene e da catastrofi naturali) degli abitanti dell’importante città longobarda di Limata. I limatesi andarono a popolare, man mano, un nucleo abitato che era sorto più a monte attorno alla chiesa dedicata al martire romano del III secolo. Da qui il nome del paese dedicato al Santo. L’aggettivo “Maggiore” fu aggiunto nel XVI secolo dalla curia telesina per distinguerlo da San Lorenzello.

Lo stemma del paese comprende solo una grossa graticola, strumento con il quale si consumò il martirio di San Lorenzo bruciato vivo.

Il discorso è analogo per quanto riguarda la nascita di San Lorenzello, con la differenza che i profughi stavolta provenivano da Telesia. Nel IX secolo, durante le invasioni saracene del terribile Seodan, i telesini si rifugiarono, tra gli altri luoghi, anche sotto Mont’Erbano aggregandosi attorno ad una chiesetta intitolata a San Lorenzo.

La poetessa M. Luisa D’Aquino ci riporta, invece, la romantica e suggestiva leggenda del mitico fondatore Filippo Lavorgna. Nell’ 864, per scampare alle orde del saraceno Seodan, Filippo Lavorgna con la sua numerosa famiglia, scappa da Telese per rifugiarsi alle falde di Monterbano. Nella semplice e felice vita agreste di Filippo irrompe una sventura nonché la divinazione di una zingara che gli predice: “Su di te risplenderà una stella…insieme ad una profuga come te, dolce come il miele e bella come il sole, fonderai una città e il tuo nome rimarrà immortale”.

Dopo qualche tempo, la dolce Rosita chiede aiuto a Filippo per suo padre morente. Il giovane si allontana per portare un tardivo soccorso al vecchio, ma la cosa gli salva la vita perché quando ritorna trova la sua famiglia sterminata dall’ingestione di funghi velenosi. Il comune dolore avvicina i due giovani che non tardano ad innamorarsi. Filippo comprende che è lei la fanciulla del destino ed una sera mentre le dichiara il suo amore suggellandolo con un bacio appassionato, una stella cadente “s’accese sulle loro teste andandosi a spegnere nella pianura sottostante. Era la notte di San Lorenzo. Ecco la nostra stella – disse Filippo – fonderemo per noi e per gli altri una nuova dimora”.

Così un bacio d’amore, dato sotto un cielo di stelle cadenti nella notte del 10 agosto, diede inizio alla fondazione di San Lorenzello.

Lo stemma del paese riporta non solo la graticola, che rimanda al martirio del Santo, ma anche una fiaschetta in ceramica a ricordare l’antica tradizione di lavorazione delle maioliche nel paese titernino accompagnata da una palma simbolo di pace.

Continua…

Antonello Santagata

L’articolo è tratto da “Guida alla Valle Telesina e al Sannio ad uso dei suoi abitanti o dell’ospite interessato” Ed. Fioridizucca 2019