Edizioni 2000diciassette- M.P.Selvaggio

Da Italia fiera/festival anche il mio romanzo. In allegato il terzo capitolo. Avete 5 minuti per leggerlo? Magari vi vien voglia di proseguire. Camillo Casati Stampa e Anna Fallarino alle prese con i loro demoni/ o vizi/ o piaceri/ o cosa? In una Roma anni Sessanta/ Settanta…da “bere”.

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Edizioni 2000diciassette
Maria Pia Selvaggio
Il delitto di via Puccini
Prezzo Fiera 15,00
Il confidente (anonimo)

 

 

 

 

“Un romanzo che contiene una commedia all’italiana amara, che dice tantissimo riguardo il “morbo” manovratore delle fila del potere politico, sociale e sentimentale di un’epoca in tumulto. Gli anni ’60 e ’70 tirati per il collo.” (T.G.)

“Un marchese, Camillo Casati Stampa di Soncino, i suoi vizietti e le sue immense ricchezze. L’anatomia di un vizio, la miseria d’animo, il sogno di una restituzione: l’infanzia! Un aracne che cade nella sua stessa ragnatela.” (T.P.)

“Una donna. Lei si chiama Anna. Anna Fallarino.” (C.D.)

Dire la verità è quasi impossibile; diciamo “quasi” e già pare poco vero quel che diciamo. E poi tra il dire e la verità c’è sempre di mezzo qualcosa, sentimento, passione, amore, vita vissuta: ciascuno di noi è figlio dei suoi tempi. (G.D.E.)

Primo capitolo

Roma, 1959

1

Lei sta lì, inconsapevole del proprio tacere, come una persona chiusa fuori al freddo e al vento da qualche festa. Invisibile. In realtà, la sua presenza di innocente dallo sguardo affamato riesce ad opprimere gli altri due. Il suo viso esprime una fame insaziata ed insaziabile, come se provasse un bisogno struggente di dimostrare a se stessa ed a Camillo i validi motivi di un desiderio ammassato nella pancia. Con gli occhi chiusi fruga nei pantaloni del militare, che sono di stoffa dura, non come quelli di Camillo, morbidi e costosi. Sente l’adattarsi di quel corpo giovane al suo e lo sente farsi largo in luoghi ben difesi, attraverso una ventata d’aria umida. “Cosa vuole, in realtà, Camillo? Cosa voglio, in realtà, io? Per cosa sono tagliata?”. Due mondi, ma nessuno dei due le dà quello di cui ha bisogno. Costretta a pensare dalle le pause che intervengono nelle convinzioni delle pose di Camillo, si dimena tra un mal di testa ed una posizione, il più possibile sensuale. Il suo ultimo pensiero, prima del tuffo, è per la sorella Velia; troppo depressa per esporre il caso, per confidarsi. Poi chiude gli occhi. Sembrano tuffarsi da un sasso, che all’alzata delle caviglie si sposta al rotolio dei rudimentali sostegni e dondola sotto l’impulso dei balzi. Frangiflutti, su quel pendio dove si arrampicano i loro scherzi volgari, mentre scintille di sudore gocciolano dalla nuca di Camillo fino ai suoi piccoli capezzoli maschi, dove si raccolgono fredde e bagnate. Ogni tanto lui si ferma, accondiscende ai loro richiami, alle loro canzonature e replica a monosillabi, allentandosi il colletto alto e sfilando di un buco la cintura scarlatta a forma di serpente e allontanando, di poco, dai fianchi, la giacca sportiva dalle tasche laterali senza risvolti. Si sente solleticare nella sua regalità, mentre i due si rendono spavaldi di quella sfacciata nudità e quel terrore segreto per le loro anime baccanti che lo investe e lo torce nelle viscere lo fa, ogni tanto, discostare silenziosamente da loro, come se lo spaventasse il mistero di quei corpi intrecciati. Le loro burla, che hanno il suono del suo nome, gli appaiono profetiche e i loro corpi avvinghiati e scossi sono vagabondi alla ricerca di una gola dove pulsare: “la sua gola”, dove vomitare un rantolo, seppellire un sudario, umiliare una vergogna, in quello stato di incertezza che lo ha accerchiato. “Eccomi, eccomi, eccomi!” Lei squarcia l’aria e lo chiama ogni tanto: “Camillo, Camillo…”, tuonando il suo nome sempre un attimo prima che la sua bocca esali aria grigia e tiepida, fuori dal tempo; non c’è solo lei in quei gemiti, ma ci sono tutte le età e le sorti e gli anni e le donne che si sono fuse per lui, in una sola cosa. Si sente un uomo con le ali, un falco in volo verso il sole sopra il mare, dove completare la profezia e raggiungere il mistero della bellezza; lui: artefice favoloso, simbolo di un artista pronto a foggiare la materia della terra nel negozio dell’anima; lui: un essere sublime, forte e imperituro, asceso in quell’atmosfera oltre il mondo, ove il corpo poteva essere purificato in un attimo e la mente asciugarsi fra onde brevi. L’ estasi del volo di Anna lo inebria, gli si affretta il respiro, compenetra quell’elemento dello spirito e lo fa suo, mentre le dita di lei si fermano e una luce di feritoia le illumina gli occhi; il suo respiro avido s’infittisce e la pelle sembra investita da un vento caldo, alzatosi all’improvviso. “Vai, vai e vai! Godi!” Imperioso la domina. Anna lo accondiscende. La sua anima sorge dal tumulto dell’adolescenza e caldi isolotti affiorano dalla bassa marea della sua pancia e nella corrente, mano a mano più impetuosa, grida nel vento la sua liberazione. La gola le duole per il gemito sovrumano chiuso nel richiamo alla vita, ricco e denso nella sferzata di novità, richiamato al servizio dell’altare e riposto negli spicchi del desiderio umido di terra. Il soldatino non ha resistito. Uno schizzo ha bagnato l’occhio scuro della macchina fotografica. Ha sfilato, prima che la mente gli si appannasse del tutto, il membro paonazzo, seminando il piacere su Camillo. Camillo fa un balzo, scende dal macigno, ha ancora le gote infuocate e la gola è secca; è orgoglioso del suo potere sullo spirito, della sua brama di vagabondo e del richiamo dei suoi piedi che invocano un cammino verso i limiti della terra. Pulisce con il lenzuolo il vetro della polaroid, gesti meccanici denunciano la fine dell’incontro. Tra poco l’alba si sarebbe infiltrata tra le nudità della notte e avrebbe steso un manto di luce; le finestre si sarebbero illuminate, pitturando di un colore smeraldino i basamenti delle case. Le lunghe cosce nude di Anna, abbronzate e tornite, sfumano in un colore più avorio mentre Camillo sale con lo sguardo fino all’orlo candido del lenzuolo avvoltolato ai fianchi di lei. La sottana rosa le è scivolata sotto le reni e un pizzo le ricade mollemente nell’incavo dell’ombelico. I capelli neri sono piume di passero e sono sparsi sui capezzoli ancora duri dopo la traboccante gioia profana. Camillo la trapassa con lo sguardo socchiuso e lei sobbalza; si rende conto del richiamo e, piegando le ginocchia, gli si offre con le gote arrossate. Il ragazzo ha i capelli corti da soldatino, è poco più che ventenne: i palmi delicati su dita spesse e un turbato silenzio che lo aiuta a rivestirsi dapprima in maniera molle, poi più repentina, quasi sentisse il caldo fuoco dell’inferno invitarlo a correre via, a scappare nei tribunali della vita, a fuggire da quei due, intrisi di una solitudine assoluta. Anna, con le mani avvinghiate alle cosce di Camillo, ha gli occhi chiusi, li riaprirà al tonfo della porta, quando accompagnerà con un saluto cieco e sordo quell’angelo della gioventù che l’ha perforata con i suoi colpi incerti e veloci, ma che le hanno spalancato l’estasi della gloria, agli occhi del suo uomo. Dalla tasca sinistra dei pantaloni color cachi di velluto morbido, Camillo estrae il portafoglio di coccodrillo nero a borchie dorate, prende tre banconote da diecimila lire, le allarga per essere sicuro che ne siano solo tre e, guardando dritto negli occhi del giovanotto intimorito, le deposita, pagando la serenità e il silenzio. La maniglia della porta si piega, i passi del soldatino sono tonfi e veloci. Non dimenticherà mai più né lei, né lui! Camillo prende Anna fra le braccia e se la pone sulle ginocchia; mentre siede l’inguine di lei si apre, lui ne succhia il rumore: uno scricchiolio di onde. La sua bellezza è qualcosa di straziante; le avvolge il viso con le dita, la accarezza, le passa a lungo le mani sul corpo; ha la sensazione di maneggiare una pietra che racchiude la salsedine degli oceani, o di carezzare il taglio di un raggio di luna. Sente di toccare un involucro ancora chiuso e questo fatto lo eccita: ama l’idea di sezionare i contenuti celati. Gira lo sguardo e pensa che una camera simile a questa l’aveva a Parigi: un letto laccato bianco che dava un senso di leggerezza, il mobilio dalle curve graziose, una decorazione vivace e chiara, tappezzerie che davano l’idea di un lusso depravato, simile a quello di un vecchio libertino che nitrisce avanti al candore dell’innocenza, steso su un letto di bambina. Si rivestono, insieme! L’ albergo ha la porta girevole; Anna di fianco a Camillo, il volto seminascosto da una reticella turchese, immerge le pupille nel velato, aureo, primaverile cielo di Roma. Salgono in macchina e Camillo sfreccia verso le popolate strade, tra una moltitudine di vetture e di viandanti usciti a onorare i primi raggi del sole. Molti vanno al lavoro: piazza Barberini, piazza di Spagna, la salita di Trinità dei monti; gli uomini si offrono agli occhi di Anna quasi spavaldi, ma lei tuffa le mani in quelle del suo uomo, mentre Camillo sfreccia incurante della religiosa e amorosa offerta di lei. Il gioco le è entrato nella pelle, sa di divertire lui e non si nasconde: come una bambina che ripete la filastrocca dopo gli applausi, la ripete anche senza comando, come a ravvivare di continuo un fuoco, gettando pezzi di ginepro nel mucchio ardente. Si alza la gonna sulle cosce, permette che la guardino senza pudore…e ride, ride! Lui è Camillo Casati Stampa di Soncino, Camillino: l’erede di una casata importante, il rampollo educato nell’idea di una stirpe di gentiluomini, di esteti eleganti, raffinato e colto, intellettuale e impregnato di arte. Le sue parole ammaliano, la sua retorica superba chiude le bocche degli artisti che frequenta. Ama vincere, prendere, mordere la vita e poi sputarne i pezzi nei corridoi affollati delle persone comuni, per dissetare la sua voglia di essere libero nel delirio di una Roma sporcacciona e infedele. Politica, sesso e rock and roll. Soldi, potere, nobiltà. Lei si chiama Anna Fallarino. Nasce nel cuore del Sannio, terra di janue e fattucchiere, di commozione e fermento, di sacche sulla schiena, di gobbi e di rughe, come fossero pergamene maltrattate dal tempo. Nasce lì, in un buco del culo del mondo. Povera e desiderosa di riscatto. La vita, un giorno, le ruberà tutto.