Odi di Orazio tradotte in napoletano

“LE ONDE DEL SEBETO”
D’Amico Editore pubblica in lingua napoletana le Odi di Orazio tradotte nel 1870 da Gabriele Quattromani

23 Giugno 2020

La casa editrice D’Amico ha di recente pubblicato, per la collana Le Onde del Sebeto le Odi di Orazio tradotte in napoletano nel 1870 da Gabriele Quattromani a cura del prof. Vincenzo Pepe, già docente di lingua e letteratura inglese, curatore, tra le altre cose, di una raccolta di testimonianze di poeti anglosassoni su Cava de’ Tirreni, Cava e il suo paesaggio negli anni del Grand Tour e Nymph of Immortal Beauty, raccolta di poesie del romanticismo inglese su Napoli.
La collana di letteratura in napoletano “Le onde del Sebeto”

CREATOR: gd-jpeg v1.0 (using IJG JPEG v62), quality = 90
 

“Le onde del Sebeto,” come spiegava l’editore in una precedente intervista su Identità Insorgenti, “è l’idea di qualcosa che c’è e non c’è, qualcosa di dimenticato, quasi scomparso, che, sorprendentemente, a volte, affiora. Si propone di pubblicare solo testi scritti interamente in napoletano.”

Queste le parole del curatore, Vincenzo Pepe:

“È una vita che mi interesso di traduzioni inglesi di Orazio. Ho cominciato la mia attività di traduttore traducendo alcune traduzioni e rifacimenti inglesi di Orazio per la casa editrice del certamen oraziano di Venosa, Osanna. Così ho indagato la presenza di Orazio nella letteratura inglese, scrivendo molti articoli per il certamen oraziano.

La mia lingua madre è il napoletano e amo naturalmente la letteratura napoletana.

Il mio incontro con la traduzione di Quattromani è avvenuto, come spesso succede agli studiosi, per caso durante una ricerca bibliografica. Fu un incontro bellissimo, perché la traduzione mi manifestava aspetti completamente nuovi di Orazio. per cui mi misi alla ricerca e alla fine lessi tutte le Odi. Decisi di scegliere le più belle e di proporle a Vincenzo, perché Vincenzo è un editore che ha il coraggio di investire in idee nuove e coraggiose, come quella di un tributo a Orazio e all’orazianismo napoletano.
Può il napoletano tradurre il latino di Orazio?

“Ma non era solo questo l’effetto che il volgarizzamento del Valletta aveva operato su di me, perché assieme alla piacevole sensazione di cui ho detto, esso aveva contribuito a dare miglior forma e vigore a un mio vecchio convincimento: che il dialetto napoletano possa prestarsi più di altre lingue moderne a tradurre un classico latino, e, nella fattispecie, i componimenti oraziani.”
Quattromani e i traduttori inglesi di Orazio

“Il lavoro del Quattromani poggiava su solide fondamenta di teoria della traduzione, e queste fondamenta erano le stesse che avevano favorito in Inghilterra la translation with latitude, la resa parafrastica che, secondo la formulazione datane dal Dryden, ‘consente di dare nuova voce all’originale trovando nella lingua moderna parole appropriate ai pensieri dell’autore antico’.”
Una traduzione ‘libera’ per avvicinare al testo

“I problemi degli orazianisti napoletani erano gli stessi che io avevo trovato nella cultura inglese del settecento, tra coloro che optavano per una traduzione il più possibile vicina all’originale, e coloro che ritenevano necessario, per produrre sul lettore lo stesso effetto che il testo produceva su un lettore contemporaneo, si dovesse aderire a una traduzione più ‘libera’, che usa modi di dire e suggestioni della lingua d’arrivo, per creare nel lettore gli effetti voluti la poeta. La seconda è decisamente la via scelta da Quattromani.

È mio convincimento che le traduzioni possono servire a far capire meglio la bellezza dell’originale. L’opera di Quattromani potrebbe essere una risorsa da affiancare alla lezione di letteratura latina al liceo, per ridare a Orazio la sua vitalità originaria, nascosta dalla patina del tempo e da metodi di insegnamento spesso nozionistici e privi di passione. “

Teresa Apicella

Teresa Apicella

Laureata in lettere classiche e poi in linguistica, attualmente dottoranda, appassionata di antropologia culturale, di cose sommerse e cose che rischiano di scomparire. Amante delle differenze, a patto che attraverso di esse si riveli la ragione profonda per cui siamo tutti uguali. “Cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, dargli spazio.” (Italo Calvino, Le città invisibili)