Si rinnova il carnevale storico di Frosinone

Si rinnova il carnevale storico di Frosinone.
La festa della radeca, nel trattato mondiale di James Frazer.

13 febbraio 2018

FOTO1Di Alex Vigliani
«Ricchi e poveri mescolati insieme ballavano tutti furiosamente il saltarello. Un’usanza speciale della festa era che ognuno dovesse tenere in mano la cosiddetta Radica, ossia una lunga foglia di aloe o meglio di agave. Chiunque si fosse avventurato nella folla senza tal foglia, sarebbe stato spinto fuori a gomitate senza pietà, a meno che non portasse come sostituto un grande cavolo, all’estremità di un lungo bastone o un ciuffo d’erba curiosamente intrecciato… echeggia l’inno del Carnevale, tra un rumore assordante, le foglie di aloe e di cavolo roteano per l’aria e scendono imparzialmente sulla testa del giusto e del peccatore; si impegna così una libera battaglia che aggiunge brio alla festa…. » James Frazer, Il Ramo D’oro.
Se esiste un punto di contatto tra il passato e il presente questo è la memoria storica. Quella dei riti, delle modalità di partecipazione a un evento condiviso e vissuto. Popolare. Nato da movimenti ancestrali atti a purificare e/o divinare giorni felici di raccolto e fertilità demandando alla natura, divinità unica cui tutto era dovuto – vita e morte – di non esser troppo dura, pur sempre madre, ma amorevole con i propri figli.
Così giunge ai giorni nostri, cavalcando fatti storici ed evoluzioni/involuzioni cittadine la ritualità della Radeca che si rinnova ogni anno nel Capoluogo frusinate. Una commistione tra rito pagano e storia che ha il pregio di farsi portatrice di una memoria storica altrimenti presta a dimenticarsi nei giorni convulsi che viviamo.
Un rituale pagano, propiziatorio, che oggi ha perso la sua forza divinatrice alla fertilità, traghettando a noi la storia dell’occupazione franco – polacca nella città di Frosinone.
Modi e tematiche sono trattate ne “Il Ramo D’Oro” di James Frazer, antropologo di fama mondiale nel capitolo dedicato alla morte del carnevale. Un libro importante, studiato spesso nelle facoltà di antropologia, che incontra riti e tematiche più imponenti a livello globale e che dedica uno stralcio a questa che, per Frazer, era importante festività dai forti connotati antropologicamente rilevanti per comprendere le basi di un rito antico e pagano come quello del carnevale.
Ma cos’è la festa della radeca e cosa rappresenta. Inutile dire che l’utilizzo della foglia d’agave, oggi a simbolo della festività, è presente dalla metà del ‘500, quando cioè la pianta viene importata dal centro america a fa la sua comparsa in alcune zone dell’Italia. Prima, con rito già esistente, ciò che veniva innalzato al cielo erano le piante di stagione a foglia larga, quelle – per intenderci – che nei periodi invernali venivano consumate e provenienti dagli orti e dai campi. Il luogo deputato era la zona in cui si incrociavano più campi, quindi ipoteticamente la zona dell’attuale De Mattheis, su cui tra l’altro i nostri avi calpestavano l’antica necropoli volsca, luogo sacro poiché posto vicino al fiume e alla confluenza di più energie. Lecito pensare che per questo rituale non si risalisse nel centro cittadino, ma che essendo prettamente agro pastorale il luogo “feticcio” fosse proprio in prossimità dell’attività contadina.
Si danzava in circolo? Certo. Poiché il circolo era il movimento, l’aria, a generarsi intorno a un fuoco – uno dei tanti che venivano accesi e sempre con intento divinatorio – cantando e richiamando alla fertilità: quella della terra, quella dell’uomo che nella procreazione vedeva la fortuna – e come potrebbe non essere così – della sua genìa. Il futuro di una terra che non avrebbe perso e il fluire del sangue di padre in figlio. Al termine, probabilmente, giungeva un grande carro, una figura da bruciare e innalzare al cielo che in tante culture è detta “Re Carnevale”. Ricomporre in prossimità della fine dell’inverno il Dio Sole attraverso il fuoco sacro, bruciando gli scarti di raccolto e con essi l’anno passato, richiamando a un calendario che vedeva il nuovo anno cominciare non di certo a gennaio ma il primo marzo (epoca romana).
FOTO2 Oggi ovviamente la festa della Radeca ha assunto toni e significati diversi, non abbandonando però quella radice pagana agro pastorale che la contraddistingue, non è un caso d’altronde che la chiesa locale ne abbia vietato il rituale nella domenica sebbene il significato odierno sia a una prima analisi il ricordo storico della cacciata dei franco polacchi e della difesa dell’appartenenza allo Stato della Chiesa (anche se poi non sarà così, l’opposizione del popolo frusinate vi fu per le angherie dei francesi).

Siamo dunque nel 1798 le truppe franco polacche premono alle porte di Frosinone. Vogliono entrare nella zona dell’attuale Rione Giardino. Ma i cittadini insorgono, si difendono, combattono. L’alberto della libertà eretto da Luigi Angeloni, che della repubblica romana si faceva portatore, viene dato alle fiamme. Lungo uno dei costoni di difesa di Frosinone i soldati franco polacchi cadono l’uno dietro l’altro. Colpiti, feriti, ricacciati indietro da una città che si fa invalicabile. L’accesso a Frosinone viene sbarrato, il centro diventa un fortino. Porta romana stessa viene riempita di ogni tipo di suppellettile per impedire l’entrata delle truppe. Sul campo rimarranno, tra le fila degli invasori, più di 600 uomini. Passeranno, certo, ma lo faranno perché a sostenere la difesa non arriveranno i rinforzi promessi da Ferdinando I di Borbone. Un manipolo di soldati rinforzati da civili terrà testa all’esercito franco – polacco per giorni, prima di doversi arrendere. E fu qui, che mentre Angeloni a Roma richiamava alla fedeltà di Frosinone alla neonata repubblica romana sotto bandiera francese, richiedendo che non vi fossero le angherie di cui i soldati s’erano già altrove resi responsabili, che gli stessi diedero vita alla tremenda vendetta. Lo stesso zio di Angeloni, Leopoldo Contini, verrà ucciso nel proprio letto già stanco e malato. Le chiese verranno profanate, molte donne stuprate, uomini uccisi di cui verranno ritrovati i resti anni dopo sotto le stesse chiese. Tutto verrà depredato dalla furia dei soldati francesi. La storia però consacra il popolo frusinate come indomito e fiero delle proprie radici. Così nonostante le angherie subite, nemmeno un anno dopo si procederà alla preparazione del rito della radeca. In un clima terribile tanto per i cittadini frusinati quanto per i francesi – che subivano ogni sorta d’attacchi – i cittadini si diedero appuntamento nell’attuale De Mattheis. Si misero in circolo e cominciarono a cantare brandendo la foglia d’agave. La notizia giunse a Ferentino, il comando francese venne così avvisato che in città era scoppiata una rivolta, l’ennesima. Così giunge a Frosinone il generale Championnet (storicamente non arrivò mai, morirà nel 1800, nel 1799 richiamato in Francia per rispondere alla corte di Giustizia, quindi meglio sarebbe dire il generale Antoine Girardon) che si ritrovò nel mezzo dei festeggiamenti, preso nel mezzo della festa tra balli, risa e canti di una città indomita che ricaccerà tanto culturalmente quanto fisicamente l’invasore francese, con buona pace dell’innocente Luigi Angeloni che credeva nella buona fede d’oltralpe.
Nel rituale della radeca, oggi il luogo tributato alla partenza del corteo e del circolo, è proprio quello in cui si tenne la resistenza del popolo frusinate. Il corteo danzante e in circolo attraversa tutta la città storica. Sono vietati i cappelli duri a ricordare i francesi, è assolutamente necessario avere in mano la “radeca” se non si vuole incorrere nella punizione che consiste nel subire un certo numero di “radecate”, soprattutto sulla testa, chi è forestiero o nuovo della manifestazione deve essere “battezzato” con il tocco della radeca sulla schiena come rito di iniziazione.
Figure archetipo della manifestazione: non c’è solo quella del generale che verrà dato alla fiamme come ogni “Re Carnevale” che si rispetti, vi è la figura del notaro a sella d’asino, un cittadino in costume che legge al resto della popolazione il bando, cioè un foglio scritto in chiave satirica per criticare, senza pericolo di guai giudiziari, le mancanze degli amministratori ed il loro operato, ma anche quello dei cittadini più in vista, insieme ai loro eventuali meriti. Una sorta di capovolgimento della società normale, in cui chi comanda viene posto sulla graticola. Per spiegare meglio quello che è uno dei carnevali storici d’Italia, però, non resta che viverlo, non resta che venire a Frosinone e partecipare alla festa della “Radeca”. E che festa sia!
http://www.viviciociaria.com/radecafrosinone-2/

 

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dal post diAngela Pecchiarotti