Autonomia Differenziata

AUTONOMIA DIFFERENZIATA, MA LA LOMBARDIA NON È PIÙ LA LOCOMOTIVA DELL’ITALIA. DOPO DECENNI DI RETORICA SULLA REGIONE PIÙ VIRTUOSA DEL PAESE (*)

di Guglielmo Forges d’Avanzati (**)

La Lombardia non è più una locomotiva potente per l’economia italiana. Dopo decenni di retorica sulla regione più virtuosa del Paese, alcuni dati recentemente prodotti dalla Cgil (gennaio 2023), per opera di Roberto Romano, destituiscono di fondamenta questo luogo comune che è tuttavia fondamentale per dare credito e legittimità scientifica e politica al progetto di autonomia differenziata del Governo e del Ministro Calderoli, in particolare. Si tratta di una questione cruciale anche per le prossime elezioni regionali in quella Regione.

In un articolo pubblicato nella rivista «Sbilanciamoci», dal titolo «La meridionalizzazione della Lombardia in Europa», il ricercatore mette in evidenza alcune evidenze empiriche schiaccianti (https://sbilanciamoci.info/meridionalizzazione-della-lombardia-in-europa/) che destituiscono di fondamenta la visione dell’eccellenza lombarda. La fonte informativa è il sistema dei conti pubblici territoriali. La Lombardia ha una popolazione di poco meno di 10 milioni di abitanti, con individui in età lavorativa (15-64) di oltre 6 milioni: è più grande di alcuni Paesi europei (per esempio, la Danimarca). Soprattutto a partire dalla crisi del 2007-2008, il tasso di crescita lombardo comincia a divergere da quello tedesco. In più, la migliore performance di quella Regione rispetto al resto del Paese diventa irrisoria.
La minore crescita del PIL della Lombardia rispetto alla crescita della Germania, tra il 2008 e il 2020, è in media annua pari a meno di 1,5 punti percentuali, e meno 0,5 punti percentuali rispetto alla Francia. Sebbene la Lombardia abbia fatto meglio dell’Italia, questo valore è decisamente contenuto e pari al solo 0,5% del Pil. Il rapporto investimenti/PIL si riduce notevolmente, passando dal 22% del 2007 al 17,5% del 2019. Sebbene la dinamica del valore aggiunto della Lombardia (non il valore assoluto) fosse in linea con le maggiori economie europee tra il 2000 e il 2008, a partire dal 2009 si registra un importante rallentamento, maturando un ritardo pari a 10 punti rispetto a Germania e Francia nel 2021. Il risultato è coerente con la dotazione tecnica e tecnologica della struttura economica lombarda, che a loro volta condizionano la domanda di lavoro e la distribuzione del reddito da lavoro dipendente.

Uno degli effetti della dinamica del valore aggiunto, sebbene non sia l’unico, è il peso specifico del reddito del lavoro dipendente sul PIL. Il reddito da lavoro dipendente (aggregato) regionale è pari al 40% del PIL nel 2019, contro una media tedesca del 53% e del 51% francese.
C’è da sottolineare che la Lombardia ha sempre avuto un trattamento di favore dai Governi nazionali, in termini di dotazione di risorse. Da ultimo, le è stata riconosciuta una numerosità di Dipartimenti universitari di «eccellenza» di gran lunga superiori a quelli del resto d’Italia. Va anche riconosciuto che è stata governata sufficientemente bene e che, dagli anni Novanta, dopo Tangentopoli e l’inchiesta Mani Pulite, non ha conosciuto inchieste e scandali di rilevanza nazionale: ciò a dire che si è candidata a rappresentare la capitale economica del Paese, a fronte di quella amministrativa romana.
Ma questi vantaggi, ai quali va aggiunto oggettivamente quello geografico e di localizzazione (prossimo a uno dei più grandi poli industriali al mondo e uno dei massimi mercati di sbocco per numerosità di consumatori potenziali), non si sono sedimentati evidentemente in modo tale da evitare che essa ritenga di poter svolgere il suo ruolo solo – mediante il regionalismo – sottraendo risorse alle regioni deboli economicamente del Paese.
Come è stato messo in evidenza in un importante libro recente – «L’impresa italiana» di Franco Amatori, edito a fine 2022 da Treccani – la Lombardia è lo specchio del declino economico italiano, che si manifesta nell’evidenza, ormai acclarata, del fallimento del nostro modo di fare impresa (il fallimento sostanziale dell’esperienza dei distretti industriali e l’eccessiva numerosità di imprese troppo piccole per stare nella dinamica della globalizzazione) e nei continui processi di acquisizione dall’estero. Con eccezione di Ferrero e Luxottica, le sole due imprese globali che abbiamo, le altri grandi aziende italiane sono finite in mani straniere, a partire da Fiat collocata presso la holding olandese Stellantis, o Pirelli diventata cinese o Italcementi passata ai tedeschi.
La reazione guidata dalla rivendicazione autonomista appare, in tal senso, fuori fuoco: la ripresa dell’economia italiana passa per iniziative che recuperino i nostri vantaggi competitivi, nella misura dell’ancora possibile, nei settori che abbiamo trascurato, a partire dalle nuove tecnologie. La Lombardia può tornare a essere locomotiva solo a condizione di limitare il ruolo di subfornitore del capitale tedesco (anche perché non ha voce politica in quel Paese), ovvero di Sud del Nord, e di scommettere sul mercato interno nel Mezzogiorno.

(*) pubblicato su “La Gazzetta del Mezzogiorno”
(**) Prof. Università del Salento | Aderente Carta di Venosa