Leopoldo Cappuccio, detto ‘O Mastriano

CICCIO CAPPUCCIO……
Un Traditore di Napoli e asservito al Malaffare…….

Nel 1750 Leopoldo Cappuccio, detto ‘O Mastriano, con casa all’Imbrecciata, diventò padrone del malaffare e dopo appena vent’anni tutti i bordelli di Napoli furono spostati nel suo quartiere di residenza. Il più famoso della famiglia, però, fu il pronipote Francesco, detto Ciccio, punto di riferimento della camorra di fine ‘800- Detto ‘O Signurino, quando era poco più che un adolescente, per mostrare il suo favore all’ingresso di Garibaldi a Napoli, abbattè il muro che era stato eretto intorno al quartiere dove aveva regnato il suo avo; le autorità lo fecero ricostruire, ma lui lo ributtò giù, col favore del capo camorra Tore ‘e Crescenzo, e di tutti i politici (Liborio Romano in primis) favorevoli a Garibaldi, che entrò in Napoli senza grande spargimento di sangue grazie al loro appoggio. Dieci anni più tardi Ciccio Cappuccio divenne capo della camorra al posto di Tore. Si vuole che sia riuscito dopo un accordo con i dodici capi distretto della camorra, che lo elessero dal carcere dove erano detenuti e lui si fece arrestare per aver modo di ringraziarli e prendere ordini da loro; un’altra storia-leggenda narra invece che, finito in prigione per semplice resistenza a pubblico ufficiale, a Ciccio Cappuccio fu chiesto l’obolo, il pedaggio d’ingresso nel carcere: un pedaggio che serviva per finanziare le iniziative in onore dei loro santi protettori, primo fra tutti San Vincenzo alla Sanità. Questo pedaggio era detto “tributo dell’uoglio”, cioè un contributo destinato (a parole) a pagare i lumini da accendere ai Santi Protettori. Questa storia narra che Ciccio Cappuccio si rifiutò di pagare il tributo, pronunciando la frase “la Camorra sono io”, e che da solo, ebbe la meglio sui suoi assalitori. Ciccio amministrò la camorra con intelligenza e furbizia, contando sulla sua ben nota inclinazione alla violenza quando a suo parere ce n’era bisogno. La sua fama gli permise col tempo di fare a meno anche di azioni dimostrative o spedizioni punitive, perchè a detta di tutti bastava uno sguardo per far desistere anche i suoi più acerrimi detrattori da sinistri intenti a suo danno. Rafforzò anche i legami con il potere politico,condizionando pesantemente i voti per l’elezione dei parlamentari nella sua zona di competenza, in maniera da avere agganci a livello nazionale che potessero garantirgli appalti e affari di ampia portata economica. Il giornalista Ernesto Serao raccontò che la moglie del ministero degli interni fu vittima di un furto: gli fu sottratto un gioiello cui era particolarmente affezionata per motivi familiari. Il ministro si rivolse a Ciccio Cappuccio per riavere indietro il gioiello sottratto. Il futuro ministro della giustizia chiese un favore simile, ottenendo il maltolto dopo soli due giorni. Ciccio Cappuccio, era sempre gentile e disponibile: un pianista a cui fu sottratto il pianoforte se lo vide recapitare a casa sua il giorno dopo aver chiesto il favore al boss. Ma quando, per sdebitarsi, il musicista gli regalò un orologio d’oro, Ciccio Cappuccio si rabbuiò in volto, e lo prese a schiaffi, ricordandogli che i favori lui li fa senza aver bisogno di nulla in cambio. Morì nel 1982, come detto, tra la disperazione della sua gente. Il suo fu un funerale maestoso: a seguire il feretro portato da 6 cavalli neri migliaia di persone, 10 carrozze che portavano i loro nobili proprietari a rendere i dovuti omaggi, ma anche una moltitudine di brutti ceffi che nessuno aveva mai visto in città. Giorni dopo la sua morte cominciarono a circolare una gra quabtità di “reliquie”: boccettine riempite col suo sangue, pezzi di ossa, lembi di pelle, prelevati probabilmente dagli addetti alle pratiche funerarie, per fare affari su uno dei boss della camorra più apprezzati dagli adepti. E non solo da loro. La mitizzazione del personaggio fu enorme.

(Da StoridiNapoli,it, Sltervista, biobliocamorra, VocediNapoli.it et Al, modificati, immagini Wikimedia

Pasquale Peluso