L’igiene nel Regno di Napoli nel Settecento

L’igiene nel Regno di Napoli nel Settecento
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Lo studio dell’igiene nel Settecento può serbare sorprese più rivoltanti di quanto si possa pensare.

Tipiche malattie mortali del Settecento furono il vaiolo, la febbre gialla ed il tifo, ma tra i principali problemi di salute, così gravi da causare la morte, furono anche il cancro alle vie respiratorie per inquinamento da miniere di carbone, allergie, problemi di salute prenatale, ulcere intestine, obesità ed arresto cardiaco. Le donne spesso morivano di febbre puerperale perché antisettici ed antibiotici non si conoscevano. A volte anche un semplice raffreddore poteva condurre alla morte, come un piccolo taglio poteva addurre malattie virali. L’aspettativa di vita era molto bassa, appena di 47 anni in Europa, con un tasso di mortalità infantile del 40%.
Aspetto non trascurabile, da questo punto di vista, fu però il pessimo rapporto con l’igiene.

Nel libro “Agua va! La higiene urbana en Madrid”, la scrittrice Beatriz Esquivias Blasco scrive che era costume dei madrileni gettare da portoni e finestre acqua sporca e rifiuti in strada. Ciò con l’aumento demografico del secolo portò diffuse epidemie ed enormi problemi per lo smaltimento dei rifiuti. In estate questi rifiuti erano essiccati e mescolati con la sabbia della pavimentazione stradale, in inverno la pioggia diluiva l’impasto ed i rifiuti venivano a confluire nelle acque del Manzanarre. Ovviamente ciò non riguardava solo la Spagna, ma anche Parigi, Londra e Napoli.

La spazzatura si accumulava nelle strade non asfaltate. Cronache e ricostruzioni della vita dell’epoca a Parigi come a Napoli ci parlano di latrine pubbliche che sorgevano in ogni parte della città e comunicavano attraverso canali sotterranei. Città sporche sì, ma anche le persone non erano da meno. Si diffondeva senza limiti la sifilide e pure idee assurde come quella secondo cui uno strato di sporcizia sulla pelle potesse garantire protezione dalla malattia. L’igiene era dunque “a secco” con un asciugamano con cui si strofinavano appena le parti visibili del corpo.

A corte le cose non erano migliori. Considerate che nel Palazzo di Versailles vi erano trecento camere e neppure un bagno! L’igiene “eccessiva” era considerata un vizio e si riteneva che il bagno indeboliva il corpo. Anche a Caserta, del resto, Maria Carolina era l’unica, esclusiva, proprietaria di un piccolo bidet. La nobiltà era persino solita urinare nei viali dei palazzi servendosi di teli che appena garantivano un pò di privacy. Una pubblicazione dell’epoca, intitolata “La Etica Galante”, raccomandava: “Se si passa davanti ad una persona che si sta alleviando, bisogna fare come se non lo si fosse visto”. Già, ci si alleviava non lontano da occhi indiscreti!

Dall’Inghilterra furono importati nel continente i primi bagni con vasca, nonché spazzolini per denti. Tuttavia, ancora con Luigi XVI a Versailles i nobili si servivano di sedili imbottiti e forati.
A dirla tutta, l’igiene non fu mai una preoccupazione per nessuna delle corti europee. Vallot, il medico di camera di Luigi XIV, sosteneva che i bagni causassero vertigini e mal di testa. La sola eccezione riguardava le mani che il re usava strofinarsi a mattina ed a pranzo con un panno imbevuto di vino. In genere, ogni puzza, anche quella del tabacco che andava diffondendosi, si copriva con profumi forti.

Eppure il Settecento è il secolo dell’eleganza! Mai abbigliamento ed acconciature avevano sino ad allora raggiunto forme così sontuose ed elaborate. Persino per quel che concerne i capelli, con l’introduzione di parrucche che ne aumentano il volume, pettinature stravaganti, spesso in aperto contrasto con la decenza e la modestia dei precedenti secoli. Non si pensi che questa vanità fosse tutta femminile: negli uomini l’uso di parrucche si diffuse prima che nelle donne, pensate che, appena alle soglie del secolo, Luigi XIV aveva quaranta acconciatori a sua disposizione.

Dal 1770 l’uso di parrucche si estese anche alle donne con colori pastello come il rosa, il vola o il blu ed altezze che raggiunsero addirittura gli ottanta centimetri. La contessa di Mantignon in Francia pagò Baulard, il suo parrucchiere, addirittura ventiquattro mila libre l’anno perché le costruisse una parrucca ogni giorno. Non ci si stupisca se presero a diffondersi, a Parigi e Madrid, rapine di strada che avevano per oggetto proprio le parrucche! In un rinnovato pessimo intreccio tra salute e moda, i parrucchieri praticavano addirittura veri e propri interventi chirurgici ed estrazioni dentali. Solo leggi di metà secolo, vieteranno ai parrucchieri di fare altro dal tagliare i capelli. Soprattutto, in una società in cui i bagni erano vietati dagli stessi medici, non pensate che le parrucche si lavassero.

Se focalizziamo adesso la nostra attenzione sul Regno di Napoli, ci accorgeremo che le cose non erano tanto diverse dal resto d’Europa, nonostante si registrasse un continuo aumento del personale medico anche in centri periferici.
Partiamo col dire che ogni medico, chirurgo, farmacista, levatrice o barbiere era sotto il controllo di un Protomedicato del Regno, mentre un Tribunale della General Salute aveva il compito di proteggere il Regno dalle epidemie. Per l’esercizio della medicina si richiedevano, la frequenza della facoltà di medicina di Napoli o della scuola di Salerno, un corso di specializzazione nelle Scuole del Regio Spedale degli Incurabili di Napoli, e l’approvazione del Collegio dei Medici di Napoli o Salerno. A volte bastava il solo permesso del Protomedico. Si stima così che sul finire del secolo, medici e chirurghi erano circa duemilaquattrocento, diecimila in tutto ostetriche, barbieri e farmacisti. A ciò si aggiunga la medicina praticata da monasteri e conventi.
Diete, purganti e salassi erano i rimedi più usati per ogni tipo di malattia in un contesto in cui era forte la tradizione ippocratica che vedeva la salute dell’organismo dipendere dall’armonia tra sangue, flegma, bile gialla e bile nera.
Per quel che riguarda la pulizia delle città, certamente era scadente come a Parigi o Londra. Ancora sul finire del secolo la riviera di Chiaia, per esempio, era priva di cloache; in tutto il Regno i vasi di notte continuavano ad essere vuotati dalle finestre; ovunque nelle città erano abbandonati cumuli di spazzatura; si ha persino notizia di alcune zone della Puglia in cui gli abitanti vivevano in grotte scavate nel tufo.
Ovviamente tutto cambiava a seconda del ceto sociale d’appartenenza: le famiglie nobili e l’alta borghesia, oltre ad usufruire di abitazioni più salubri, potevano permettersi soggiorni in campagna e cure termali. Di fatti la grande differenza, nelle cure mediche in voga a Napoli rispetto a quelle prescritte nel resto d’Europa, era il ricorso ai benefici di acque termali come quelle dei Bagni di Pozzuoli.

Autore: Angelo D’Ambra