Simmo ‘e napule paisà

Simmo ‘e napule paisà
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La seconda guerra mondiale, il conflitto più devastante mai combattuto dall’uomo. Un carneficina senza precedenti: cinquantacinque milioni morti, tre milioni di dispersi, trentacinque milioni di feriti in tutto il mondo. Sei milioni di ebrei sterminati nei campi di concentramento. Sessantaquattro milioni di profughi: un oceano di persone sradicate brutalmente dalle loro terre natali. Intere popolazioni ridotte alla fame. Distruzioni materiali incalcolabili.

Tra le città italiane fu proprio Napoli quella che subì il numero maggiore di bombardamenti. L’ultimo da parte degli alleati ci fu l’8 settembre del 1943, a pochissime ore dall’annuncio dell’armistizio(il saluto finale alla città). Anche dopo l’armistizio però i napoletani dovettero subire altri bombardamenti, quelli dei tedeschi che nel frattempo avevano fatto della città la loro retroguardia. Alla fine del conflitto, Napoli si ritrovò un cumulo di macerie fumanti.

Del tutto legittimo fu quindi quel fervente desiderio dei napoletani di rimuovere dalla propria memoria le brutture di un tale evento; nella commedia Napoli Milionaria di Eduardo de Filippo è emblematico il personaggio di Gennaro Iovine che, tornato dal fronte, cerca di raccontare invano le atrocità che ha vissuto agli amici e ai parenti i quali però si rifiutano di ascoltarlo. A quel comprensibile desiderio di dimenticare si accompagnò ovviamente un grande sentimento di speranza nel futuro. Questi umori furono incarnati magistralmente da una magnifica canzone napoletana di quel periodo, ancora oggi conosciutissima: Simmo ‘e Napule paisà.

Una canzone che è stata – ed è ancora oggi – ingiustamente etichettata come di disimpegno, in linea con lo stereotipo classico del napoletano. Una valutazione, questa, frutto soprattutto di superficialità nell’ascolto ma anche di ignoranza e cattiva fede.
Simmo ‘e Napule paisa’ è infatti un autentico capolavoro. Ha un testo intenso, a tratti struggente. È un continuo alternarsi di emozioni contrapposte: tristezza e gioia, sconforto e speranza (un po’ come ‘O surdato ‘nnammurato). Perché se è vero che nel ritornello c’è l’invito ad accontentarsi del sole, del mare e dell’amore (magari ci riuscissimo tutti!) è anche vero che nelle strofe c’è tutta la sofferenza ed il tormento di un popolo messo in ginocchio da un evento così nefasto.

Protagonisti della canzone sono una coppia – marito e moglie – che nonostante tutto e tutti decide un bel giorno di rimettere il vestito buono (“o’chiù carillo”) per uscire di casa e fare un giro in carrozzella; è la ripartenza! Una scarrozzata difficile, durante la quale si affacciano nella mente dell’uomo inquietanti interrogativi; subito sopraffatti però dall’ebrezza del vino e dai baci di lei. Anche il cocchiere, durante il tragitto, ha un attimo di smarrimento. Giunto sulle rovine di quella che era la sua casa, si ritrova a piangere per i suoi cari che ora non ci sono più. Anche lui però si da forza e riparte. Perché è legge di natura. È l’istinto di conservazione che lo impone. È superfluo sottolineare come quella coppia e quel cocchiere rappresentino la metafora perfetta di un’intera generazione di Italiani.

Ma Simme ‘e napule paisà sucitò non poche polemiche nella società italiana del tempo, sia tra gli intellettuali che a livello politico. Si usciva infatti da vent’anni di fascismo e tanti (milioni) erano gli Italiani che avevano apertamente appoggiato il regime; una situazione quantomeno “imbarazzante”. Ed allora, soprattutto da parte di coloro che invece il regime lo avevano combattuto, quel

chi ha avuto ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato ha dato, scurdammece ‘o passato…

fu interpretato come un vergognoso invito alla dimenticanza; un appello qualunquista all’oblio; l’incitamento per un indiscriminato colpo di spugna!

La canzone fu scritta nel 1944 da Peppino Fiorelli e musicata da Nicola Valente (che morirà solo due anni dopo). Una curiosità: il termine “Paisà” (che vuol dire compaesano) era quello che utilizzavano i soldati americani (molti dei quali erano di origine italiana) per rivolgersi ai napoletani. Negli anni è stata interpreta dai grandi della canzone napoletana. Solo per citarne alcuni: Roberto Murolo, Fausto Cigliano, Giacomo Rondinella, Claudio Villa, Peppino di Capri e Massimo Ranieri.

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Pasquale Peluso