Anche per la santità ci vuole il green pass antifascista

𝐀𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐥𝐚 𝐬𝐚𝐧𝐭𝐢𝐭𝐚̀ 𝐜𝐢 𝐯𝐮𝐨𝐥𝐞 𝐢𝐥 𝐠𝐫𝐞𝐞𝐧 𝐩𝐚𝐬𝐬 𝐚𝐧𝐭𝐢𝐟𝐚𝐬𝐜𝐢𝐬𝐭𝐚
In seguito all’articolo che ho dedicato domenica scorsa al granatiere e poi padre cappuccino Gianfranco Maria Chiti e alla sua “leggenda del santo generale”, ho ricevuto tra le tante lettere di apprezzamento anche un paio piuttosto critiche.

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Anche per la santità ci vuole il green pass antifascista

In seguito all’articolo che ho dedicato domenica scorsa al granatiere e poi padre cappuccino Gianfranco Maria Chiti e alla sua “leggenda del santo generale”, ho ricevuto tra le tante lettere di apprezzamento anche un paio piuttosto critiche, da parte del presidente e del segretario dell’Associazione nazionale Allievi di Padre Chiti. Strano, mi sono detto, dovrebbero essere contenti che qualcuno elogi il loro Generale, esalti la sua figura, riconosca la sua santità, la sua dedizione a Dio e alla patria. Invece no. La ragione me la esplicita il segretario Agostino Cascelli in un’e-mail: “Cosa molto importante che ha sempre creato molti problemi alla causa di beatificazione di Padre Chiti è il continuo sottolineare la sua adesione nella Rsi, che non fu per convinzioni politiche ma perché in quel momento era l’unica rappresentanza della Patria che lui rispettava. Questo avvicinare la figura di padre Chiti alla repubblica di Salò ha spesso rallentato e compromesso la sua proclamazione a Santo”.

Dunque, per cominciare non ho scritto affatto che Chiti avesse aderito alla Rsi perché fascista ma perché soldato. Non avevo e non ho elementi per sostenerlo, tantomeno per confutarlo. Lo fece, posso aggiungere ora, per la patria e per l’onore di soldato (come molti nella Rsi, del resto). Ho insistito anche sul fatto che da ufficiale di Salò, Chiti risparmiò la vita a molti partigiani e salvò la vita a una famiglia di ebrei. Ma la verità umana prima che storica, di Chiti che aderisce alla Repubblica sociale non si può negare, e sarebbe da miserabili farlo, una meschinità da falsari. Si mancherebbe di rispetto per lui, per la storia, per la via verso la santificazione che dovrebbe esser fatta nel segno della verità. Noto che nella precisazione dei suoi ex allievi si vuol sollevare Chiti dal legame con la Repubblica di Mussolini ma poi lo si aggrava, involontariamente, scrivendo: “In quel momento era l’unica rappresentanza della Patria che lui rispettava”. In quel momento c’era il regno del Sud con Badoglio, voluto dal Re, e c’era la lotta partigiana: ma il gen. Chiti, dicono i suoi allievi, riconobbe solo alla Repubblica sociale “l’unica rappresentanza della Patria che lui rispettava”(sic). Questo “avvicinare” Chiti alla Rsi, non è opera di chi scrive ma di Chiti medesimo, piaccia o meno, che vi aderì e vi restò fino alla fine.

Ma la notazione che viene fatta mi pare davvero grave per la Chiesa. Dunque, il processo di beatificazione si è concluso, come scrivevamo, due anni fa, ma il Papa non lo proclama beato a quanto pare per via della Repubblica sociale. Un Papa che peraltro ha avuto dimestichezza con dittatori, generali golpisti e regimi sanguinari, non solo nel suo passato argentino. E dire che proprio l’adesione di Chiti alla Rsi esalta la sua santità perché nel pieno marasma della guerra civile, tra gli odii contrapposti, Chiti risparmiava la vita a molti partigiani e salvava dai nazisti alcuni ebrei, come fu riconosciuto nel processo postumo, dopo la sofferenza dei campi di concentramento in cui fu internato. Qualcuno dirà che in guerra non si può essere pacifisti e bonari; ma i santi non ragionano come noi, o come loro (scegliete voi).

Ciononostante questi atti peculiari di amore per l’umanità, la sua adesione alla Rsi, o va rimossa, cancellata (cancel culture), elusa o non diventerà mai santo. Per entrare in paradiso occorre la tessera dell’Anpi? Ma il Papa si chiama Bergoglio o Landini? Sarebbe davvero miserabile se i veti ideologici ostruissero anche le vie del cielo, della santità e della verità.

MV, La Verità (19 ottobre 2021)