Ecco perchè mi sento di dire Grazie alla Polizia

A titolo strettamente personale condivido la seguente dichiarazione, Prof. Renato Rinaldi:

ECCO PERCHE’ MI SENTO DI DIRE GRAZIE ALLA POLIZIA

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Le immagini – forti, fortissime, con qualunque lente ideologica e predisposizione mentale ci si appresti a guardarle – dello sgombero di Palazzo Curtatone a Roma non possono lasciare indifferenti.
In quelle immagini così crude è facile confondersi, come stanno facendo molti dirigenti politici, lasciarsi prendere dall’emotività e cavarsela con semplificazioni e strumentalizzazioni.

Ci sono uomini e donne da una parte e dall’altra di quella piazza dove, per uno strano scherzo della natura, riflesso nell’acqua spruzzata dagli idranti, i fotografi hanno immortalato addirittura l’arcobaleno. La differenza è che alcuni stanno difendendo la legge, svolgendo il loro lavoro, altri intendono difendere un loro presunto diritto a violarla, occupando uno stabile “privato”.

Non ci sono interessi diversi a contrapporsi a piazza Indipendenza, ma due concezioni opposte della società: da un lato la legalità e l’idea che una società debba essere organizzata attraverso delle regole e dall’atro l’anarchia e la convinzione che ciascuno possa fare quello che desidera o gli fa più comodo anche a costo di violare la libertà degli altri.

E’ giusto che i rifugiati – come lo erano buona parte di quelli “sfollati” ieri a Roma – abbiano riconosciuti tutti i diritti che la Costituzione riconosce a chiunque viva sul suolo italiano, ma per farlo non è pensabile che gli altri debbano rinunciare ai loro, come quello – basilare – di avere pieno possesso di una proprietà privata.

Il Capo della Polizia, il Prefetto di Roma, la Polizia sono intervenuti per “ripristinare la legalità”. E la legalità non è il bene di uno o dell’altro, dell’italiano o del rifugiato, dell’elettore di destra o dell’elettore di sinistra, ma è – o dovrebbe essere, almeno – uno dei principi fondamentali di uno Stato di diritto.
E’ il sistema legale che ha consentito alle persone che abbiamo visto in piazza di vivere a pieno titolo in un Paese – che non è il loro – dove non ci sono guerre civili, che li protegge dalle violenze e dallo sfruttamento, che ha consentito ad alcuni di loro di curarsi dentro gli ospedali o di mandare i figli a scuola, garantendo loro un futuro.
La legge che hanno provato a sfidare opponendosi con quello che avevano – le stampelle, i crocifissi, le pietre – è quella stessa che ha consentito loro di ottenere lo status di rifugiati.

L’Italia non li ha respinti, ma li ha accolti. Possono fare tante cose, ora, ma non lanciare bombole contro la Polizia di Stato, contro i primi rappresentanti dello Stato dove hanno scelto di venire. I rifugiati hanno diritto ad un’accoglienza dignitosa, a servizi che li accompagnino nelle difficoltà (il Comune di Roma dov’è stato in questi tre anni?) esattamente come i cittadini italiani, ma hanno pure loro dei doveri.
Io sono grata a Paola Basilone, – che tra l’altro è il primo Prefetto donna della Capitale – per averle provate tutte, offrendo alternative e studiando soluzioni, prima di “ripristinare le condizioni di legalità” dove queste condizioni non c’erano più con l’ultimo sistema rimasto, attraverso l’uso della Polizia di Stato.

Gli agenti stavano svolgendo un servizio a tutela dei diritti, della sicurezza e della libertà degli italiani. Accade lo stesso quando fermano le automobili per i controlli e comminano sanzioni, arrestano rapinatori e stalker (italiani, il più delle volte) e fanno il loro dovere, insomma.

Mara Carfagna