In difesa del Dante altrui, a uso del volgo

𝗜𝗻 𝗱𝗶𝗳𝗲𝘀𝗮 𝗱𝗲𝗹 𝗗𝗮𝗻𝘁𝗲 𝗮𝗹𝘁𝗿𝘂𝗶, 𝗮 𝘂𝘀𝗼 𝗱𝗲𝗹 𝘃𝗼𝗹𝗴𝗼
Dante Alighieri è in testa da settimane nelle classifiche dei libri al primo e al secondo posto, con testi di Alessandro Barbero e Aldo Cazzullo. Ha soffiato il podio al Mussolini di Bruno Vespa. A me fa piacere. Invece Alfonso Berardinelli sulla prima pagina de Il Foglio lamenta “il povero Dante” nelle mani di “giornalisti impreparati” e “pupazzetti televisivi” che si sono tuffati sull’Alighieri per “fare affari”.

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In difesa del Dante altrui, a uso del volgo

Dante Alighieri è in testa da settimane nelle classifiche dei libri al primo e al secondo posto, con testi di Alessandro Barbero e Aldo Cazzullo. Ha soffiato il podio al Mussolini di Bruno Vespa. A me fa piacere. Invece Alfonso Berardinelli sulla prima pagina de Il Foglio lamenta “il povero Dante” nelle mani di “giornalisti impreparati” e “pupazzetti televisivi” che si sono tuffati sull’Alighieri per “fare affari”. Capisco la preoccupazione di Berardinelli di salvare Dante dalla banalità, ma non me la prendo con i divulgatori. Fanno il loro mestiere, volgarizzano Dante, non nel senso del “volgare illustre” che auspica Dante ma della vulgata, del largo pubblico. Non sottraggono lettori al Dante di Francesco De Sanctis o Gianfranco Contini, di Giovanni Gentile o Etienne Gilson.

Li ho letti quei due libri pop, oltre i testi importanti, e li reputo consoni al loro scopo e al loro target, ai lettori e telespettatori che lasciarono Dante in malo modo a scuola. Non condivido chi liquida il libro di Cazzullo con l’aggettivo spregiativo “cazzullate” e dissento da chi liquida il libro di Barbero perché infastiditi dall’eccessiva presenza in tv su tutti gli argomenti storici possibili del brillante divulgatore. E non collego perfidamente il suo libro su Dante col suo titolo precedente, sempre dedicato al Medioevo, intitolato testualmente “La voglia dei cazzi”, allo scopo di abbassare il livello del suo Dante ad altezza di pube. Difendo Cazzullo non solo perché sposa l’idea di Dante padre della nostra Italia, nazione culturale, che sostengo da anni ma perché è un onesto lavoro divulgativo, pur con qualche furbizia e qualche forzatura. Serve anche chi si occupa di aspetti minori e perfino aneddotici della storia o chi ci descrive un Dante alla portata del vasto pubblico. Se voglio conoscere la storia in modo critico e approfondito non leggo Indro Montanelli; se voglio conoscere la filosofia in modo più serio e rigoroso non leggo Luciano De Crescenzo. Ma Montanelli e De Crescenzo, pur a un livello più alto di Barbero e Cazzullo, non possono né vogliono sostituire la ricerca storiografica, le interpretazioni culturali o il pensiero. Incuriosiscono i refrattari agli approfondimenti o quanti vogliono avere una cognizione non più alta ma più larga. Nel caso di Montanelli aggiungerei che fu meritatamente considerato il principe dei giornalisti; e De Crescenzo fu meritatamente considerato un grande e brioso scrittore umorista.

Lo stesso vale per il Mussolini di Vespa; non sostituisce i libri di Renzo De Felice, è un’altra roba.

E mi spingo oltre. Diversamente da Berardinelli difendo pure il Dante pop di Roberto Benigni. Venivamo da un’epoca che scansava Dante come una sorta di dannazione scolastica, un indigeribile trombone della vecchia scuola “nozionista” e “reazionaria”. Benigni, pur con i suoi pistolotti retorici, avvicinò Dante alla tv e a molti contemporanei refrattari. Certo, preferisco il Dante letto da Giorgio Albertazzi o da Carmelo Bene, da Vittorio Gassman e su un piano letterario da Vittorio Sermonti. Ma Benigni svolse un ruolo benefico; lo trovai molto più stucchevole e conformista nel suo vantarci la Costituzione come se fosse una bellissima opera letteraria e pedagogica.

Berardinelli invoca i dantisti per ripararsi dai danteggiatori; magari la gente cominciasse a leggere Dante con lenti più adeguate e più elevate. Anzi, se devo accennare un rimprovero a Barbero è la sua polemica tra le righe con i dantisti perché non conoscono o non prendono in considerazione alcuni aspetti storici e biografici di Dante; ma i dantisti sono letterati, linguisti, critici, non sono storici e cronisti del tempo andato. E nel caso di Dante, il personaggio storico è decisamente minore rispetto al Sommo Poeta e poco si sa di lui; si può leggere qualcosa della sua vita e del suo tempo ma solo in relazione alla sua poesia e al suo pensiero; non è quella la chiave principale per capire la sua grandezza.

Quella di Dante fu non solo eccelsa poesia ma anche, “poesia intellettuale”, oltreché civile. Ove intellettuale non sta nell’accezione corrente, riferita agli intellettuali; ma è la poesia che ha dietro un pensiero e una visione, una poesia che non si rivolge solo all’emozione ma alla meditazione; legge dentro le cose (intus legere). L’espressione intellettuale qui va intesa nel senso indicato da un pensatore della Tradizione come René Guénon.

A proposito. In una libreria Feltrinelli del centro di Roma mi ha avvicinato un lettore che aveva vagamente saputo di un mio libro su Dante e non avendolo visto tra le novità su Dante mi ha chiesto se davvero io avessi pubblicato un libro sul Poeta. Io ho negato di aver mai scritto un libro su Dante. È una bufala, ho detto, un fake-book. Non esiste. Ho anch’io alimentato la diceria scrivendone sui giornali ma era solo uno scherzo, una goliardata, di quelle che in fondo non dispiacevano neanche a Dante. E l’ho facilmente dimostrato perché il libro latita in libreria e nessun critico lo ha recensito sui grandi organi di stampa. In realtà avevo vanamente chiesto all’editore (che ha fatto pure due ristampe in pochi giorni) di non pubblicarlo col mio nome, ma puntare su Dante e le sue pagine in prosa che sono in antologia. Per amor di Dante e per far conoscere i suoi scritti di pensiero e letteratura, avrei volentieri fatto a meno di evidenziare la mia introduzione e la mia cura, occultandola all’interno. So di nuocere a Dante con la mia firma “scorretta”.

A ciascuno il suo Dante, secondo le leggi dantesche dell’analogia e del contrappasso e secondo il girone di appartenenza. La lingua batte dove il Dante duole.

MV, La Verità 10 gennaio 2021