Israele – campagna vaccinale

Media: Israele va denigrato per la sua impareggiabile campagna vaccinale

di Richard Kemp 16 gennaio 2021

Pezzo in lingua originale inglese: Media: Israel Must Be Denigrated for Its World-Beating Vaccination Programme
Traduzioni di Angelita La Spada

La stessa politica negativa [da parte della stampa e di molti presunti gruppi per i diritti umani] si estende ad altri importanti benefici che Israele ha recato al mondo, tra cui l’innovazione scientifica, la tecnologia medica e l’intelligence salva-vita. Va contro i piani editoriali parlare dello Stato ebraico positivamente, a meno che non si riesca in qualche modo a distorcere una bella storia e a farla diventare brutta.

Ai sensi degli Accordi di Oslo tra Israele e i palestinesi firmati negli anni Novanta, che prevedevano la creazione dell’Autorità Palestinese (AP), solo quest’ultima e non Israele, è responsabile dell’assistenza sanitaria della propria popolazione, comprese le vaccinazioni. Quasi 150 membri delle Nazioni Unite riconoscono la “Palestina” come Stato, ma questi media e organismi per i diritti umani, che mostrano pregiudizi deplorevolmente prevedibili, non possono permettere all’ONU di farlo.

Contraddicendo le accuse di perseguire una politica razzista o di “apartheid”, Israele sta vaccinando i suoi cittadini arabi sin dall’inizio della campagna vaccinale. Considerato il fatto che in queste comunità è stata riscontrata una certa riluttanza a vaccinarsi, il governo israeliano, insieme ai leader della comunità araba, sta compiendo degli sforzi concertati per incoraggiarli a farlo, e a tale scopo, il primo ministro Netanyahu si è recato di recente in due città arabe, invitando la popolazione a non avere timore del vaccino.

Lo stesso approccio può essere ravvisato negli Accordi di Abramo del 2020, un risultato storico in una pace finora elusiva tra Israele e gli arabi. Tali accordi sono stati accolti con insensibile cinismo dai media e dai veterani costruttori di pace, le cui stesse soluzioni proposte sono ripetutamente fallite.

[Il primo ministro israeliano Benjamin] Netanyahu è la forza trainante degli Accordi di Abramo, le cui origini risalgono a un suo discorso pronunciato durante una sessione congiunta del Congresso, nel 2015, quando prese posizione contro le ambizioni nucleari iraniane. La posizione solitaria di Netanyahu, non sfuggì ai leader arabi, i quali iniziarono a rendersi conto di avere una causa in comune con lo Stato di Israele, il che avrebbe potuto offrire loro un futuro più luminoso di quello gravato da inutili animosità.

A healthcare worker speaks to an Arab Israeli woman before giving her a COVID-19 vaccine at Clalit Health Services, in the northern Arab Israeli city of Umm al Fahm , on January 4, 2021. - A healthcare worker (Photo by JACK GUEZ / AFP) (Photo by JACK GUEZ/AFP via Getty Images)
 Quotidiani e mezzi di comunicazione da entrambe le sponde dell’Atlantico si agitano – e distorcono la verità – per colpire Israele a causa del suo straordinario successo nella campagna di vaccinazione contro il Covid-19. Nella foto: un’operatrice sanitaria parla con una donna arabo-israeliana prima di somministrarle il vaccino, al Clalit Health Services, nella città araba di Umm al Fahm, in Israele, il 4 gennaio 2021. (Photo by Jack Guez/AFP via Getty Images)

Il pregiudizio contro lo Stato ebraico è così forte nei media occidentali che le azioni meritorie che garantiscono i titoli dei giornali, se attribuibili a qualsiasi altro Paese, vengono spesso ignorate, minimizzate o denigrate quando si tratta di Israele. Quando ad esempio, in qualsiasi parte del mondo si verifica un disastro, Israele è spesso il primo, o tra i primi, a offrire aiuto e inviare soccorsi. Più di recente, lo scorso mese, le Forze di Difesa israeliane hanno inviato in Honduras una squadra di soccorritori a seguito delle devastazioni causate dagli uragani di categoria 4 Eta e Iota, che hanno lasciato migliaia di persone senza casa.

Negli ultimi quindici anni, le missioni di soccorso dell’IDF sono state inviate in Albania, in Brasile, in Messico, in Nepal, nelle Filippine, in Ghana, in Bulgaria, in Turchia, in Giappone, in Columbia, a Haiti, in Kenya, negli Stati Uniti, in Sri Lanka e in Egitto, e in molti altri Paesi negli anni passati.

Nell’ambito dell’Operazione “Good Neighbour” (“Buon Vicinato”), condotta tra il 2016 e il 2018, l’IDF ha istituito ospedali da campo sul confine siriano per curare i civili feriti dalla violenza che imperversava nel loro Paese e ha inviato rifornimenti vitali in Siria, una nazione che è in guerra con Israele, per aiutare le persone che là soffrono.

In pochi al di fuori dei confini israeliani, oltre alle comunità ebraiche di tutto il mondo e ai luoghi che hanno beneficiato dell’assistenza dell’IDF, hanno una pallida idea di tutto ciò, e questo perché i media non mostrano alcun interesse. In alcuni casi, nelle notizie sui Paesi che hanno inviato squadre di soccorso nei posti colpiti dai disastri è stata omessa la presenza di Israele, pur sapendo che l’IDF gioca un ruolo importante.

La stessa politica negativa [da parte della stampa e di molti presunti gruppi per i diritti umani] si estende ad altri importanti benefici che Israele ha recato al mondo, tra cui l’innovazione scientifica, la tecnologia medica e l’intelligence salva-vita. Va contro i piani editoriali parlare dello Stato ebraico positivamente, a meno che non si riesca in qualche modo a distorcere una bella storia e a farla diventare brutta.

Un esempio recente di ciò è offerto su entrambe le sponde dell’Atlantico da quotidiani e mezzi di comunicazione che si agitano – e distorcono la verità – per colpire Israele a causa del suo straordinario successo nella campagna di vaccinazione contro il Covid-19. Nel Regno Unito, il Guardian ha scritto:

“A due settimane dall’inizio della sua campagna vaccinale, Israele sta somministrando più di 150 mila dosi al giorno, coprendo oltre 1 milione dei suoi 9 milioni di cittadini, una percentuale notevolmente più alta rispetto agli altri Paesi”.

Con il mondo così concentrato sull’emergenza Covid-19 e sulle reazioni nazionali in ogni parte del globo, giornali come il Guardian difficilmente potrebbero evitare di riportare il successo conseguito da Israele, sebbene avrebbero preferito non farlo. Pertanto, l’articolo, in base alla loro ottica, è stato titolato come segue: “Palestinesi esclusi dalla campagna vaccinale israeliana, le dosi somministrate solo ai coloni”.

Accusando di fatto Israele di razzismo per trascurare gli arabi palestinesi, il Guardian ha scritto: “I palestinesi della Cisgiordania e di Gaza, occupate da Israele, non possono far altro che guardare e attendere”. Dall’altra sponda dell’Atlantico, la Public Broadcasting Service (PBS) ha titolato giulivamente il suo articolo sul successo israeliano: “I palestinesi lasciati in attesa mentre Israele è pronto a distribuire il vaccino contro il Covid-19”. Il Washington Post ha pubblicato un pezzo che cela sentimenti altrettanto malevoli sotto il titolo: “Israele sta iniziando a vaccinare la popolazione, ma i palestinesi potrebbero dover aspettare mesi”.

Com’era prevedibile, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari è balzato su questo traballante carrozzone, pubblicando sul suo sito web una dichiarazione congiunta di una serie di organizzazioni per i diritti umani, sollevando le stesse critiche e rivendicando erroneamente violazioni del diritto internazionale. Ken Roth, direttore esecutivo di Human Rights Watch – un’organizzazione che il suo fondatore, il compianto Robert L. Bernstein, lasciò proprio a causa della sua posizione iniqua contro Israele – in un tweet ha asserito: “Il trattamento discriminatorio dei palestinesi da parte di Israele” e in un altro tweet ha dichiarato: “[Israele] non ha vaccinato un solo palestinese”.

Non volendo essere lasciata fuori da questi sforzi gratuiti per attaccare Israele, anche Amnesty International ha mosso a Israele accuse di violazione del diritto internazionale, non vaccinando gli arabi palestinesi.

Come per la maggior parte delle notizie riguardanti Israele apparse nei media mainstream e nella propaganda, inesorabilmente sfornate dai cosiddetti gruppi per i diritti umani, queste calunnie sono del tutto false. Gli arabi palestinesi che vivono in Giudea e in Samaria, o in Cisgiordania e a Gaza, non sono nemmeno cittadini israeliani e non sono iscritti agli istituti preposti all’assistenza sanitaria israeliana.

Ai sensi degli Accordi di Oslo tra Israele e i palestinesi firmati negli anni Novanta, che prevedevano la creazione dell’Autorità Palestinese (AP), solo quest’ultima e non Israele, è responsabile dell’assistenza sanitaria della propria popolazione, comprese le vaccinazioni. Quasi 150 membri delle Nazioni Unite riconoscono la “Palestina” come Stato, ma questi media e organismi per i diritti umani, che mostrano pregiudizi deplorevolmente prevedibili, non possono permettere all’ONU di farlo.

L’Autorità Palestinese ha i suoi piani per vaccinare la propria popolazione, anche a supporto dello schema di vaccinazione Covax dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, piani che sono stati segnalati dagli stessi media che tentano di diffamare Israele.

Nei giorni in cui lo Stato ebraico stava pianificando il suo programma di vaccinazione e procurandosi i vaccini, l’AP aveva interrotto i propri rapporti con Israele. Ma da quando i contatti sono stati ripristinati, fino ad ora, né l’Autorità Palestinese né il regime terroristico di Hamas che governa la Striscia di Gaza hanno chiesto aiuto a Israele per le vaccinazioni, preferendo evidentemente percorrere la propria strada. Tuttavia, fino al 5 gennaio, un funzionario dell’AP ha affermato che l’Autorità Palestinese sta valutando con Israele la possibilità che le vengono forniti alcuni vaccini, ipotesi che le autorità israeliane sembra stiano prendendo in considerazione.

Inoltre, secondo quanto riportato, alcune dosi di vaccino erano già state fornite segretamente da Israele all’AP, a seguito di precedenti approcci non ufficiali. La ragione di questo approccio che è una sorta di specchietto per le allodole è l’imbarazzo che l’Autorità Palestinese ha nel chiedere pubblicamente assistenza a Israele, contro cui si accanisce puntualmente e che denigra a ogni occasione. Ma tutto ciò rischia di essere ignorato e diffuso da parte della maggioranza dei media: non si adatta alla loro linea di lavoro.

È risibile l’idea avanzata da alcuni commentatori dei media e da organizzazioni per i diritti umani secondo la quale Israele potrebbe essere autorizzato a vaccinare i cittadini di Gaza, i cui governanti hanno lanciato razzi letali in territorio israeliano prima e dopo l’inizio della pandemia. Cosa stanno facendo questi opinionisti e gruppi di attivisti per i diritti umani per persuadere la comunità internazionale ad aiutare i cittadini di Gaza nella difficile situazione in cui versano?

Contraddicendo le accuse di perseguire una politica razzista o di “apartheid”, Israele sta vaccinando i suoi cittadini arabi sin dall’inizio della campagna vaccinale. Considerato il fatto che in queste comunità è stata riscontrata una certa riluttanza a vaccinarsi, il governo israeliano, insieme ai leader della comunità araba, sta compiendo degli sforzi concertati per incoraggiarli a farlo, e a tale scopo, il primo ministro Netanyahu si è recato di recente in due città arabe, invitando la popolazione a non avere timore del vaccino.

Il giornalista del Jerusalem Post Seth Frantzman conferma personalmente che gli arabi a Gerusalemme Est sono stati vaccinati o stanno per esserlo. Queste persone vengono catalogate da Ken Roth come cittadini palestinesi, smentendo in tal modo quanto da lui asserito che Israele “non ha vaccinato un solo palestinese”.

Secondo Frantzman, ci sono casi di persone che non hanno la cittadinanza israeliana e che vengono vaccinate presentandosi ai centri di vaccinazione. Cita l’esempio di un cittadino palestinese in Giudea che è stato vaccinato dalle autorità israeliane nonostante non avesse una tessera sanitaria, dimostrando che “le autorità sanitarie israeliane stanno facendo tutto il possibile per vaccinare il maggior numero di persone, indipendentemente dal fatto che siano arabe o ebree”.

Come penserebbe chi conosce Israele anche minimamente, il suo governo farà tutto il possibile per aiutare i palestinesi in Giudea e in Samaria e a Gaza nella loro lotta contro il coronavirus.

Nonostante le solite accuse contrarie, l’IDF afferma di aver accolto e agevolato nella Striscia di Gaza tutte le richieste di assistenza sanitaria di qualsiasi tipo, compresi i ventilatori polmonari, i generatori di ossigeno e le apparecchiature per effettuare i test per il Covid-19. Ciò risulta consono alla comprovata esperienza delle Forze di Sicurezza israeliane nel fare tutti gli sforzi possibili per coordinare gli aiuti umanitari per la popolazione di Gaza, anche durante i periodi di intenso conflitto avviato dai terroristi di Gaza.

Anche il New York Times sferra un colpo a Israele, ma da una prospettiva diversa. Pur rilevando le critiche sul “fallimento” nel vaccinare i palestinesi, il quotidiano si sofferma sulle astruse insinuazioni che il successo di Israele è legato al desiderio del primo ministro Netanyahu “di rafforzare la sua immagine malconcia”. In un modo o nell’altro, i giornalisti sono determinati a far sì che i risultati conseguiti da Israele non debbano essere visti sotto una luce positiva.

Lo stesso approccio può essere ravvisato negli Accordi di Abramo del 2020, un risultato storico in una pace finora elusiva tra Israele e gli arabi. Tali accordi sono stati accolti con insensibile cinismo dai media e dai veterani costruttori di pace, le cui stesse soluzioni proposte sono ripetutamente fallite. Molti leader politici europei hanno seguito l’esempio. La loro pluridecennale opposizione allo Stato ebraico è stata innescata in gran parte da un desiderio interessato di schierarsi con un mondo arabo fortemente contrario all’esistenza di Israele fino al punto di combattere.

Lord David Trimble, ex primo ministro dell’Irlanda del Nord e vincitore del Premio Nobel per la pace, a novembre, ha proposto le candidature al Premio Nobel del premier israeliano Benjamin Netanyahu e del principe ereditario di Abu Dhabi, Mohammed Bin Zayed. Lord Trimble ha riconosciuto che Netanyahu è la forza trainante degli Accordi di Abramo, le cui origini risalgono a un suo discorso pronunciato durante una sessione congiunta del Congresso, nel 2015, quando prese posizione contro le ambizioni nucleari iraniane. La posizione solitaria di Netanyahu, non sfuggì ai leader arabi, i quali iniziarono a rendersi conto di avere una causa in comune con lo Stato di Israele, il che avrebbe potuto offrire loro un futuro più luminoso di quello gravato da inutili animosità.

Da decenni, in nessuna parte del mondo è stato compiuto alcun passo più importante in direzione della pace. A ottobre, vedremo se Netanyahu riceverà il premio Nobel per la pace. Se così non fosse, sarà dovuto allo stesso disprezzo mostrato da parte del New York Times e di molti sedicenti intellettuali occidentali nei confronti di questo primo ministro che, sebbene sia controverso in patria e all’estero, rappresenta quello spirito israeliano che costoro sembrano determinati a denigrare ad ogni occasione, anche di fronte a risultati così straordinari come gli Accordi di Abramo e una impareggiabile campagna vaccinale.

Il colonnello Richard Kemp è stato comandante delle forze britanniche. È stato anche a capo della squadra internazionale contro il terrorismo nell’Ufficio di Gabinetto del Regno Unito e ora è autore e conferenziere su questioni internazionali e militari.