Lasciatemi essere banale!

Lasciatemi essere banale!

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È tutta questione di… vacuità.

Ho letto in questi giorni un articolo che mi ha fatto riflettere sull’inutilità evolutiva di molti nostri simili della specie Umana.

La Signora C, britannica, si ammala a 50 anni e dopo quattro mariti e una fortuna dilapidata nel lusso, ora rifiuta le cure che le salverebbero la vita. Il motivo? Teme che il trattamento la faccia ingrassare. L’ospedale vuole procedere comunque ma la paziente si appella al tribunale e il giudice che dà l’assenso per il suicidio.

Ancora più sorprendente della decisione del giudice, sono però le parole della figlia di C: “Per mia madre il suo aspetto, i suoi amori, i beni materiali sono sempre stati tutto ha spiegato e adesso che pensa di averli persi non vuole vivere in un altro modo”. Ecco, credo sia proprio questo il fulcro della questione: quando si fa della vacuità, ossia della vanità, il proprio stile cognitivo – come ha fatto la Signora C – è giusto attendersi l’eventualità che la parte finale della propria vita non sia all’altezza delle aspettative.

Vi sono signore, ma certo anche signori, che fanno dell’inutilità – come della sessualità e dell’affettività a buon mercato – il proprio riferimento esistenziale, il loro motivo di senso. E sono certo che anche voi, miei cari lettori, ne conoscete alcuni esempi, o sbaglio?

Al di là della vacuità spirituale di certe persone, quello che però trovo davvero originale è il riconoscimento legale della mancanza di responsabilità in un essere umano.

Da ogni azione derivano necessariamente conseguenze anche quando crediamo che non esista questo legame causale fra le cose, come ci insegna teoricamente la teoria della complessità.

Per ogni essere umano sarebbe semplicistico ma soprattutto deresponsabilizzante credere che ogni azione finisca con il compiersi dell’azione stessa. Se così fosse nessuno di noi imparerebbe nemmeno a scrivere: sarebbe solo un esercizio inutile e privo di conseguenze ed eventuali sviluppi.

Se è così che funziona l’apprendimento, questa Signora “C” non è una persona cosciente: è un individuo alterato mentalmente, una specie di border line priva di un legame radicale con la natura dell’Uomo.

Stando così le cose, C. avrebbe dovuto essere aiutata dalla società (certo non quella anglosassone che in nome della libertà individuale si manleva da ogni responsabilità collettiva) e lasciata morire lentamente, attraverso il dolore del decadimento fisico e mentale.

Ma questo accade solo a noi, poveri individui convenzionali, come il giudice ricorda non essere affatto la Signora C definita “anticonvenzionale”.

L’ovvio della normalità evidentemente per alcuni è da scartare. Eppure io sono ben lieto di essere “convenzionale” e di godermi le diverse tappe della mia vita. Insomma, di invecchiare felice e… banale!
aleAlessandro Bertirotti, antropologo della mente, è nato nel 1964. Si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È Vice Segretario Generale dell’Organizzazione Internazionale della Carta dell’Educazione CCLP Worldwide dell’UNESCO, membro del Comitato Scientifico Internazionale del CCLP e Membro della Missione Diplomatica, per l’Italia, Città del Vaticano, Repubblica di San Marino e Malta, del CCLP Worldwide presso l’Unione Europea. È docente di Psicologia Generale presso la Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Genova. Il suo sito è www.alessandrobertirotti.it

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