Morire di dolore

Morire di dolore
È tutta questione di… mistero.

morte-biancaCerto, si tratta di una notizia forte(Il primo caso di eutanasia su un minore in Belgio scuote il mondo intero.), ma in questo periodo storico ci stiamo abituando al genere.
I miei lettori sanno che sono cristiano e cattolico praticante, con una serie di atti di fede che non possono essere spiegati razionalmente, mentre possono essere, a volte ragionevolmente umani. Sì, penso esista una differenza fra la razionalità e la ragionevolezza, perché quest’ultima, rispetto alla prima, indica una certa flessibilità adattiva, con la quale si cerca, empaticamente, di cum-prendere il sentire altrui.

Una cum-prensione che non potrà mai essere totale, mentre potrà avvicinarsi il più possibile a qualcuno che comunque resterà sempre in gran parte sconosciuto, nonostante i tentativi di avvicinamento. Non credo ci si possa mettere nei panni altrui, se non indicando con questa locuzione la possibilità di indossare l’abito altrui, perché l’interiorità è cosa complessa, oscura e impenetrabile, in ognuno di noi.

Sono contrario all’eutanasia nel suo significato medico, nel senso che penso sia moralmente giusto che la scienza miri sempre alla vita, ma ritengo sia una questione altrettanto medica alleviare le sofferenze in quelle persone che affermano, nella loro ragionevolezza, di non riuscire a sopportarle più. C’è qualcuno tra noi che può affermare, in piena coscienza, di poter sentire il dolore di un’altra persona, esiste, inoltre, un dolorimetro universale secondo il quale formulare qualche legge in grado di stabilire che oltre un certo limite si deve comunque lasciare che la persona soffra? La questione, lo so, non è semplice, perché pone problemi anche rispetto al dolore mentale dei probabili suicidi e sappiamo tutti che la medicina è una scienza per sottrazione, fino a quando non trova la diagnosi precisa e per questi motivi è imperfetta. Tutte le cose umane sono imperfette, anche quando si utilizzano tecniche diagnostiche che cercano la verità oggettiva del corpo, perché dietro a questa esiste una mente sofferente, rispetto alla quale nessuno di noi, secondo me, ha il diritto di sindacare.

Quindi, sarebbe forse il caso di discutere culturalmente, con un maggiore rispetto verso i dolori di tutti, sul ruolo delle terapie antalgiche, e sul concetto di sofferenza, prima ancora di scagliarci contro la disperazione del dolore di colui che in prima persona lo prova e di coloro che gli stanno accanto.

alessandro_bertirotti2Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura. Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Columbia, a Bogotà; vice-segretario generale dell’UNEDUCH (Universal Education Charter), ONG presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite e il Parlamento Europeo, e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).

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