Tradire fa bene…

Tradire fa bene…

cenacoloÈ tutta questione di… verità.

Senza il tradimento non esiste verità, e questa affermazione è antropologicamente vera, direi persino, teologicamente efficace.

Senza Giuda, non avremmo compreso che nell’essenza umana esiste il desiderio di vendere persino chi diciamo di considerare amico fraterno, per trenta denari.

In effetti, il termine tradimento, deriva dal latino tradere, e significa portare qualcosa o qualcuno da un posto ad un altro, come trasportare e consegnare. E nella lingua francese il termine significa essenzialmente svelare, scoprire, dimostrare. E il tradimento trasporta la verità più recondita della nostra intimità, dall’interno all’esterno, facendo chiarezza su quegli aspetti che desideriamo nascondere soprattutto a noi stessi.

E se è così, il migliore tradimento possibile, ossia quello che permette la crescita più efficace nel corso del nostro esistere, è quello verso noi stessi, quando emerge in noi quella verità che vogliamo tacere, in genere una debolezza che manifesta la fasullità sulla quale poggia l’idea che ci siamo fatti di noi stessi: esseri quasi perfetti.

Sì, noi ci percepiamo quasi perfetti e gli altri, qualsiasi altro, per il semplice fatto di essere altro, porta con sè qualche cosa che non ci appartiene e che possiamo contrastare, giudicare negativamente, salvando noi stessi dalla stessa critica.

Cosa c’è di meglio di un tradimento in amore: si comprende quanto poco sicuri siamo di noi stessi, della nostra volontà e delle nostre false verità. Possiamo tradire, e di fatto lo facciamo tutti, quasi sempre, in silenzio oppure affermandolo a noi stessi e quando veniamo scoperti, la cosa migliore sarebbe arrendersi a questa evidenza e cercare di capire che la verità essenzialmente umana si chiama fragilità, debolezza incommensurabile.

Eppure, senza questa debolezza non potremmo chiedere al mondo, agli altri, di starci vicino e ricordarci che solo il sentimento di appartenenza allo stesso destino rende ognuno di noi veri quando tradiamo noi stessi, ossia quando riveliamo alla nostra coscienza quanta miseria abita nel nostro cuore.

E la scoperta più utile è comprendere che esiste un’altra miseria: quella dei nostri giudizi. Non posso nasconderlo, io per primo ne sono un esempio.

 

aleAlessandro Bertirotti, antropologo della mente, è nato nel 1964. Si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È Vice Segretario Generale dell’Organizzazione Internazionale della Carta dell’Educazione CCLP Worldwide dell’UNESCO, membro del Comitato Scientifico Internazionale del CCLP e Membro della Missione Diplomatica, per l’Italia, Città del Vaticano, Repubblica di San Marino e Malta, del CCLP Worldwide presso l’Unione Europea. È docente di Psicologia Generale presso la Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Genova. Il suo sito è
www.alessandrobertirotti.it