I Racconti di Scarpittopoli- Pasqualescarnecchia

C’è un paese appollaiato su una collina tra due torrenti, spazzato da venti gelidi d’inverno e da una fresca brezza d’estate, c’è una torre che domina, muta e silente sentinella, una grande piazza al cui centro c’è una fontana, c’è un lungo viale alberato che spazia sull’orizzonte. E’ un villaggio dove c’è tutto, la chiesa madre sulla sommità della collina del centro storico, la piazzetta con il fontanino accanto al municipio, la farmacia e il bar nella piazza. La grande piazza, quieta per la gran parte del tempo, risuona durante l’anno di briose musiche popolari e giovani del gruppo folcloristico calpestano a ritmo le secolari pietre riproponendo tarantelle con ai piedi gli scarpitti. Non manca nulla in questo ameno borgo abitato da gente tenace e seria ove ci si conosce tutti e tutti ci si saluta tuttavia, come in tutti i paesi dove bisogna andarci apposta oppure capitarci smarriti perché custodito tra boschi verdi e rigogliosi, ci sono personaggi che segnano il tempo e restano nella memoria collettiva, alcuni perché hanno avuto un carattere significativo altri perché geniali nella loro semplicità. Di loro vi racconteremo, di questi piccoli grandi personaggi che non devono essere dimenticati. Insieme a voi passeggeremo nel tempo e nella storia chiedendovi la pazienza di darci il tempo di ricordare poiché tutti i ricordi nascono e si alimentano concatenandosi ed intrecciandosi. Con tolleranza fateci indagare e ricostruire poiché questa ricerca ha bisogno di tempo e, con il tempo, siamo sicuri che vi ricorderemo di tanti che ora non ci sono più rendendovi fieri di essere parte di questa comunità e se, nel leggere i nostri fattarielli, vi verranno in mente episodi interessanti, non esitate a contattare la redazione, voi narrerete e noi ricostruiremo, scrivendo insieme, per preservare la memoria storica di questo storico borgo dal nome Scarpittopoli.

Carlo P. & Margherita C.


 

 

Pasqualescarnecchia

Pasqualescarnecchia, raddrizzò la schiena, si asciugò la fronte con il dorso della mano e appoggiandosi al manico della zappa si guardò indietro soddisfatto, il solco era dritto.
Pasqualescarnecchia era un perfezionista, a lui le cose piaceva farle bene oppure non farle affatto.
Era nel campo dalle sei della mattina, si erano fatte le dieci e il caldo cominciava a farsi sentire.
Una farfalla svolazzava di qua e di là, era bellissima, di un blu profondo con striature rosse vermiglie e pois gialli sulle larghe ali. Quando gli si posò sul dorso della mano Pasquale pensò a Dio.
Gli capitava spesso, ultimamente, di pensare improvvisamente a Dio.
Chi avrebbe potuto disegnare una farfalla con quei colori splendidi se non Dio? Perdere tanto tempo per colorare un essere vivente che avrebbe vissuto solo un giorno o due poteva essere solo un progetto divino, rifletté Pasquale, mai un uomo ci avrebbe perso tanto tempo. Questi pensieri gli riempivano la mente mentre il sudore gli colava giù dalla fronte e dalla schiena, ormai il caldo si era fatto insopportabile.
Quando la farfalla volò via dalla sua mano Pasquale decise che aveva lavorato abbastanza. Pensava con l’acquolina in bocca alla colazione che lo attendeva a casa, una scodella di peperoni ripieni come solo sua madre sapeva preparare. Ogni peperone tratteneva il gustoso contenuto con il classico tappo di crosta di pane che la mamma faceva friggere per prima nel bollente olio d’oliva …. mmm … una delizia, la parte più buona del peperone mbuttunato, come lo chiamava la madre.
Pasquale si avviò verso casa, sarebbe tornato nel campo a lavorare nel tardo pomeriggio quando il caldo si sarebbe fatto più sopportabile. L’indomani non si poteva lavorare era la Festa di San Donato e il prete aveva detto che era peccato mortale lavorare il giorno del Santo Patrono … e Pasquale osservava i comandamenti.
Arrivato a casa si diede una sciacquata veloce, giusto per togliersi il sudore di dosso. Aprì il frigorifero pregustando la delizia che avrebbe trovato, levò la scafarea dei peperoni mbuttunati che gli aveva lasciato la madre e aprì una bottiglia di un buon vino rosso, il vino di suo cugino Ferdinando, lo teneva nelle bottiglie appese a un filo immerse nel pozzo, la temperatura ideale per lui, non gli piaceva tenere il vino nel frigorifero, pensava che si guastasse a contatto con gli altri sapori e poi era troppo freddo o piuttosto conservarlo come avevano fatto nel tempo i suoi nonni e bisnonni rendeva il sapore di quel liquido vermiglio più gustoso.
Calcolò che per colazione avrebbe fatto fuori cinque o sei peperoni, la bottiglia bastava per quello e poi avrebbe dato di mano alla enorme anguria tenuta al fresco nella fontana, fino ad ingozzarsi per ripagarsi della fatica della mattinata.
Stremato, alla fine della colazione si appoggiò all’ombra del fico grande e in attesa che la calura della controra passasse si appisolò profondamente.
Nel sonno rivide la farfalla, non solo una, mille, danzanti nell’aria finivano per posarsi su di lui e la scena del sogno lo rese felice. Il bellissimo sogno continuò con il sapore della Copeta di Nazzareno che si sarebbe comprato il giorno dopo alla Festa di San Donato, ne pregustava il sapore quasi fosse reale.
Pasqualescarnecchia, raddrizzò la schiena, si asciugò la fronte con il dorso della mano e appoggiandosi al manico della zappa si guardò indietro soddisfatto, il solco era dritto.
Pasqualescarnecchia era un perfezionista, a lui le cose piaceva farle bene oppure non farle affatto.
Era nel campo dalle sei della mattina, si erano fatte le dieci e il caldo cominciava a farsi sentire.
Una farfalla svolazzava di qua e di là, era bellissima, di un blu profondo con striature rosse vermiglie e pois gialli sulle larghe ali. Quando gli si posò sul dorso della mano Pasquale pensò a Dio.
Gli capitava spesso, ultimamente, di pensare improvvisamente a Dio.
Chi avrebbe potuto disegnare una farfalla con quei colori splendidi se non Dio? Perdere tanto tempo per colorare un essere vivente che avrebbe vissuto solo un giorno o due poteva essere solo un progetto divino, rifletté Pasquale, mai un uomo ci avrebbe perso tanto tempo. Questi pensieri gli riempivano la mente mentre il sudore gli colava giù dalla fronte e dalla schiena, ormai il caldo si era fatto insopportabile.
Quando la farfalla volò via dalla sua mano Pasquale decise che aveva lavorato abbastanza. Pensava con l’acquolina in bocca alla colazione che lo attendeva a casa, una scodella di peperoni ripieni come solo sua madre sapeva preparare. Ogni peperone tratteneva il gustoso contenuto con il classico tappo di crosta di pane che la mamma faceva friggere per prima nel bollente olio d’oliva …. mmm … una delizia, la parte più buona del peperone mbuttunato, come lo chiamava la madre.
Pasquale si avviò verso casa, sarebbe tornato nel campo a lavorare nel tardo pomeriggio quando il caldo si sarebbe fatto più sopportabile. L’indomani non si poteva lavorare era la Festa di San Donato e il prete aveva detto che era peccato mortale lavorare il giorno del Santo Patrono … e Pasquale osservava i comandamenti.
Arrivato a casa si diede una sciacquata veloce, giusto per togliersi il sudore di dosso. Aprì il frigorifero pregustando la delizia che avrebbe trovato, levò la scafarea dei peperoni mbuttunati che gli aveva lasciato la madre e aprì una bottiglia di un buon vino rosso, il vino di suo cugino Ferdinando, lo teneva nelle bottiglie appese a un filo immerse nel pozzo, la temperatura ideale per lui, non gli piaceva tenere il vino nel frigorifero, pensava che si guastasse a contatto con gli altri sapori e poi era troppo freddo o piuttosto conservarlo come avevano fatto nel tempo i suoi nonni e bisnonni rendeva il sapore di quel liquido vermiglio più gustoso.
Calcolò che per colazione avrebbe fatto fuori cinque o sei peperoni, la bottiglia bastava per quello e poi avrebbe dato di mano alla enorme anguria tenuta al fresco nella fontana, fino ad ingozzarsi per ripagarsi della fatica della mattinata.
Stremato, alla fine della colazione si appoggiò all’ombra del fico grande e in attesa che la calura della controra passasse si appisolò profondamente.
Nel sonno rivide la farfalla, non solo una, mille, danzanti nell’aria finivano per posarsi su di lui e la scena del sogno lo rese felice. Il bellissimo sogno continuò con il sapore della Copeta di Nazzareno che si sarebbe comprato il giorno dopo alla Festa di San Donato, ne pregustava il sapore quasi fosse reale.

(continua …)

C.Perugini & M. Coletta
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