RICERCA EFFETTUATA DAL LIBRO “TARANTISMO MOLISANO” DI MAURO GIOIELLI-Palladino Editore -Campobasso
Premessa
Il fenomeno del tarantismo è legato principalmente alla Puglia, ma è stato storicamente documentato in altre regioni italiane, e anche oltre i confini nazionali.
Se in zone geografiche lontane o in ogni caso non contigue al territorio pugliese è stata accertata la tradizione del mitico ‘pizzico’ e della iatromusica capace di curarne gli effetti nocivi, appare più che probabile che tracce di tarantismo possano riscontrarsi in Molise, una regione che, posta a contatto di Puglia e Campania (con ciò che ne consegue in rapporto alla genesi e alla diffusione di balli assimilabili alla famiglia delle tarantelle), ha più volte registrato l’unione o il distacco amministrativo di località di cultura sannita e dauna e che, nel 1811, ha significativamente allungato i suoi confini verso l’Adriatico con l’annessione di aree che per lungo tempo erano state l’appendice settentrionale della Capitanata.
A ciò si aggiunga che probabilmente il tarantismo molisano aveva già in precedenza espresso autonomi valori distintivi, così come suggeriscono la leggenda de La baronella e la forficula e la pratica di danze quali la tonda e la spallata.
1 In un numero monografico del trimestrale “Utriculus” (anno XII, n. 46, 2008), mi sono interessato di tarantismo pugliese (pp. 3-24,41-45), calabrese
(pp. 23-28), campano (pp. 29-33) e sardo (pp. 35-40), con un accenno anche a quello siciliano (p. 28).
Il ballo della tonda, fra tarantismo e danzomania
Nel febbraio 1848, a Napoli, venne stampata una Memoria intitolata Della tarantola e del tarantismo,( C.M. Carusi, Della tarantola e del tarantismo, Napoli 1848) redatta negli ultimi mesi dell’anno precedente da Giuseppe Maria Carusi (Giuseppe Maria Carusi nacque in Molise giacché Baselice, suo paese natale, è stato amministrativamente incluso nel territorio molisano dal 1811 al 1861. In una pagina del sito web www.guidacomuni.it, è scritto che «Giuseppe Maria Carusi (1814-1892)» era «figlio di Pasquale (1768-1851), medico illustre, discepolo prediletto e amico di Domenico Cirillo» di cui scrisse una biografia (Vita di Domenico Cirillo, Salerno 1858). Domenico Cirillo è l’autore di A Letter to Dr. William Watson, FR.S. giving some Account of the Manna Tree, and of the Tarantula, “Philosophical Transactions”, n. 60, 1770 [1771], pp. 233-238.)
Gli argomenti trattati erano geograficamente collocati, in via quasi esclusiva, all’interno d’un territorio ricadente nella zona dove s’incontravano la Provincia di Capitanata, la Provincia di Principato Ulteriore e la Provincia di Molise.
In particolare, alcune località a quel tempo molisane, ossia Fojano e Colle,(Colle (Colle Sannita) e Fojano (Foiano di Valfortore), così come Baselice, hanno fatto parte della Provincia di Molise fino al 1861.) erano al centro di notizie d’interesse etnocoreologico che si riferivano al ballo denominato tonda.(M. Gioielli, La Tonda di San Giovanni. Un ballo popolare nel Molise di metà ottocento, fra tarantismo e danzimania, “Extra”, anno XVII, n. 34, 2 ottobre 2010, pp. 17-18.)
I contenuti della Memoria
Nell’estate del 1847, un’epidemia di tifo colpì gli abitanti di Montefalcone(Valfortore) e il dottor Giuseppe M. Carusi fu colà inviato dall’Intendente della Provincia di Capitanata per prestare soccorso medico. In tale frangente, egli ricevette una circolare ministeriale che voleva conoscere: «se la tarantola pugliese sia o pur no
velenosa; e se, mordendo l’uomo, vada questi soggetto a quella famosa malattia detta tarantismo».
Il medico di Baselice se ne stava già occupando, pure attraverso esperimenti; così, per dare risposta ai due quesiti, decise di approfondire i suoi studi. Inserì nella Memoria notizie sulla tarantola che «sul rialto del Carmine presso Colle del Molise» era «frequentissima». Inoltre descrisse le caratteristiche anatomiche di tale ragno e si soffermò sul suo «apparecchio venefico». Dissertò anche di scorpioni, vipere, api, vespe, scolopendre e calabroni, talvolta con fuggevoli accenni talaltra con pertinenti osservazioni scientifiche. Quindi, la sua trattazione s’incentrò sugli effetti della puntura della tarantola, dapprima in veste teorica, poi in chiave empirica.
Per ottenere risultati sperimentali, Carusi non si fece scrupolo d’utilizzare cavie umane e – in modo assurdo, anzi folle – ricorse a tre bambini «di cinque anni circa» che rispondevano ai nomi di Biagio Corvito, Nicola Paoletti e Tommaso Valente.
La mattina del 10 settembre del 1847, dopo aver ricevuto «da Lucera tre falangi racchiusi in appropriati tubi», fece «mordere […] l’avambraccio destro de’ tre nominati fanciulli». Per nulla preoccupato delle violenze e dei pericoli a cui li aveva sottoposti, Carusi si compiacque di scoprire che i bambini, «durante l’azione venefica del falangio», restavano indifferenti «a’diversi accordi di svariati stromenti musicali».” In pratica, si sentì soddisfatto d’aver costatato che in loro non si riscontrava la frenesia coreutico-musicale tipica del tarantolati. Infatti (per quanto si legge nella Memoria), alcun bisogno di danzare o di ascoltare musica si manifestò nei fanciullini. La circostanza lo coinvolse così tanto che ripeté l’esperimento «in mille guise con falangi sannitici e pugliesi, non esclusi i tarantini, su ragazzi, su giovani maschi e femmine». Lo replicò anche su se stesso,sempre col medesimo risultato.
La tonda
In una parte della sua Memoria, Carusi – come in precedenza segnalato – ha incluso informazioni d’interesse etnocoreologico, in particolare quelle riferite a un ballo chiamato tonda, che a suo dire aveva «molta somiglianza col tarantismo»(1) e si danzava il 24 giugno presso una chiesa «dedicata al Beato Giovanni da Tufara»,(2)
situata nel Bosco Mazzocca (o Mazzocco), fra Colle e Fojano.
1- Nella sua Memoria, Carusi sostiene che «in Baselice, mia patria, e ne’ paesi limitrofi non si verificò mai caso di tarantismo, né di morsura di ragno». Poi, però,
smentisce di fatto questa sua affermazione allorquando ricorda dapprima tale Domenico Viola, di Baselice, «dal ragno morsicato» durante la «notte de’ 27 luglio 1839, dormendo all’aperto», e successivamente una donna nativa di Cella (oggi Celle di San Vito) che da giovane «per amore infelice patì cotal morbo», benché non ricordasse «di essere stata mai morsicata dal ragno».
2- Il monaco eremita Giovanni nacque a Tufara nel 1084 e visse a lungo nel monastero di Gualdo Mazzocca, presso Foiano, dove morì nel 1170. Sui resti dell’antico monastero è sorta una cappella dedicata al Beato Giovanni l’Eremita, dove ancora oggi, ogni anno, gli abitanti dei paesi vicini si recano il 24 giugno per festeggiarne l’onomastico.
Queste le notizie:
Non sarà superfluo dare qui una idea della tonda e del tarantismo e compararli tra loro. Veggonsi sul Mazzocco suddetto i ruderi di un grande edificio, eretto un dì da’ Cavalieri Teutonici. In mezzo a quelle colossali ruine si erge risorta una chiesetta dedicata al Beato Giovanni da Tufara, di cui il dì festivo si solennizza a’ 24 giugno di ciascun anno. In cotal giorno, che è pur quello di S. Giovambattista, convengono colà, non solo da’ limitrofi sì bene da’ paesi lontani, innumerevoli spettatori. I quali recansi ivi, come ben s’intende, più per banchettare che per venerare il Beato.
La festa è solenne, e rammenta le Lupercali. Intorno a tal delubro e di lontano nell’adjacente vasto largo son frequenti venditori di commestibili, e laute mense quinci e quindi imbandisconsi su l’erba. Le bande musicali armonizzano quelle aure salubri; la gioja e il riso, irrompendo dal cuore, schiude su tutti i volti, e Bacco a larga mano ne accresce la ilarità.
Intanto da nona a vespero in un punto dell’accennato largo, si guida un ballo, che appellasi la tonda. Quindici o venti coppie, e talvolta più, di uomini e donne, massime di Colle, di Fojano e Sammarco de’ Cavoti, pongonsi in cerchio, ed a dati accordi musicali, muovonsi, danzano e s’urtano in sì strani modi, spesso osceni, che destano il riso. E pure quel ballo è liturgico, ché istituito da’ Teutonici, passa da generazione in generazione. Esso ha molta somiglianza col tarantismo …
Se si presta fede a queste e ad altre riflessioni contenute nella Memoria, la tonda va ascritta a quella famiglia di danze che comprendono il ballo di San Giovanni e il ballo di San Vito,(Nel 1881, Giuseppe Pitré pubblicò alcune notizie su usanze siciliane per la festa di San Vito (15 giugno), segnalando «gli attarantati (muzzicati di li tarantuli abballarini)» che cercavano la guarigione utilizzando l’acqua d’un pozzo esistente a San Vito Lo Cascio (cfr G. Pitrè, Spettacoli e feste popolari siciliane, Palermo 1881, p. 278).) di cui nel 1832 s’era occupato Justus Friedrich Carl Hecker ne Die Tanzwuth.( J.F.C. HECKER, Die Tanzwuth, eine Volkskrankheit im Mittelalter, Berlino 1832 (ed. italiana, La danzimania, malattia popolare nel medioevo, Firenze 1838).)
A tal proposito Carusi scrisse:
…la danzomania(Carusi usa il termine danzomania e non danzimania (di cui alla edizione italiana del libro di Hecker) surse in Germania, allora quando la peste del secolo XVII, dopo di aver fatto di uomini crudo sterminio in Europa, cessò verso il solstizio estivo di quell’anno. I superstiti a tanta strage, dello scampato malanno ringraziando la Divinità festeggiarono, come è uso, con pranzi suoni e balli il giorno di S. Giovambattista. L’anniversario ripeteasi alla stessa guisa, e nacque così il ballo di S. Giovanni, che si diramò per l’Europa intera. Esso sulle prime era religioso, poscia divenne osceno, arrecò gravi sconci, e passò di moda; non tutto però, ché in varii villaggi vige ancora, come in quelli presso al Mazzocco, monte nel confine del territorio molisino col Principato ultra. Quivi presso ad un delubro nel dì di S. Giovambattista si danza la tonda, ballo liturgico teutonico, che è molto analogo al tarantismo.
Chiesa S.Giovanni da Tufara-loc.Mazzocca
Tracce di tarantismo in alcuni canti popolari molisani
Come già segnalato in premessa, nel 1811 l’estrema area settentrionale della Capitanata pugliese venne annessa alla Provincia di Molise, per effetto della riforma murattiana che ridisegnò i confini amministrativi del Regno delle Due Sicilie. Divennero così molisani i territori costieri fra Montenero di Bisaccia e Campomarino, come anche altri paesi più o meno grandi, fra cui Larino, Bonefro e Colletorto.(Queste località sono direttamente interessate dall’argomento trattato (cfr M. GIOiELLl, Tracce di tarantismo in alcuni canti popolari raccolti nel basso Molise da Perrotta e Cirese, “Extra”, anno XVIII, n. 1, 15 gennaio 2011, pp. 17-18).
L’annessione non cancellò le impronte che la cultura etnica aveva impresso alle secolari tradizioni delle località un tempo pugliesi.
Perrotta 1937-1940
Tra il 1937 e il 1940, Antonio Perrotta raccolse a Bonefro varie canzoni a ballo,(A. PERROTTA, Poesia e canti popolari raccolti a Bonefro nel Molise, Pesaro 1981. A p. 7 si legge: «La presente raccolta è l’ampliamento e il completamento di quella da me presentata in appendice alla mia tesi di laurea: Illustrazione della poesia popolare religiosa raccolta nel Molise, nell’anno accademico 1937-38 a Roma. […] Il materiale fu tutto raccolto in quel tempo e negli anni successivi 1939-40. […] Tutto quanto scriverò si riferirà sempre a quelle date». Nel secondo volume de I canti popolari del Molise di Alberto M. Cirese, la tesi di Perrotta è segnalata col titolo: Contributo alla poesia popolare del Molise (A.M. CIRESE, I canti popolari del Molise, vol. Il, Rieti 1957, p. XI) due delle quali fanno esplicito riferimento alla “piccola taranta” e al tarantismo.(3) Ne trascrivo i versi:
(canto n. 4)
Làscelì bbellà ssi duie feglióle:
tènne a tarendèlle sótte i péde.
(canto n. 7)
Oie mamme e óie tate,
a tarendèlle m’è pezzecate;
m’è pezzecate tutte cóse
a tarendèlle velenose.
Nei canti in questione, la parola tarendèlle non indica il ballo bensì il “piccolo ragno”. Difatti, i sostantivi tarendèlle (tarantella) e tarantola sono entrambi diminutivi di taranta.
In altre canzoni della medesima raccolta, si notano versi simili ad alcuni di quelli talvolta usati per eseguire le pizziche pugliesi o, in senso più ampio, le tarantelle meridionali.(4)
Cirese 1957
Due decenni dopo le iniziali indagini effettuate da Perrotta, Alberto Mario Cirese, sulla scorta delle ricerche condotte dal padre Eugenio, pubblicò anch’egli alcuni canti molisani(5) in cui compaiono riferimenti alla tarantola e al ballo della tarantella.
3- I canti in questione vennero pubblicati nel capitolo Chenzune pe bbellà – Brìnnese (Canzoni per ballare – Brindisi). La mia numerazione (ossia canto n. 4 e canto n. 7) riproduce quella usata da Perrotta.
4- Perrotta, a proposito della tarantella, scrive: «…ballavano la tarantella o solo uomini o anche uomini e donne specie se coniugi. […] E una volta una vecchia suonò per me, per qualche istante, con mano malferma, il tamburello senza crotali. […] Le donne da sole, se ne avevano voglia, ballavano la tarantella al suono del tamburello…» (A. Perrotta, Poesia e canti popolari raccolti a Bonefro nel Molise, Pesaro 1981, p. 173).
5- I canti inclusi nel volume curato da Alberto M. Cirese, che vide luce quattro anni dopo quello curato dal padre Eugenio (E. Cireese, I canti popolari del Molise, vol. I, Rieti 1953), si devono soprattutto all’opera di raccolta di quest’ultimo)
Nel decimo capitolo del secondo volume de I canti popolari del Molise, si può leggere il seguente distico d’una canzone proveniente da Colletorto:(In una nota, Cirese afferma che tale canzone «Si canta quando si balla la tarantella» (A.M. Cirese, I canti popolari del Molise, vol. II, Rieti 1957, p. 43). La tarantella di Colletorto è ancora oggi eseguita da singoli musicisti e gruppi di musica etnica, fra cui segnalo Marcello Pastorini e i Cantori della Memoria.)
(canto n. 465, vv. 8-9)
E lassali ballà ssi scarpe sciote,
ca tenne la tarantilla ndi li pede;
Questo, inoltre, l’incipit d’un canto di Larino:
(canto 466, vv 1-2)
Com’abbàllene belle
sti gevenette a tarantelle.
Nel medesimo capitolo, fra le ziaziambre (canzoncine per accompagnare le altalene di carnevale e di quaresirna),(6) s’incontrano altri versi, anch’essi raccolti a Larino, che menzionano esplicitamente la taranta:
6- La circostanza che i versi in questione venivano canticchiati dai bimbi durante le altalene “purificatrici” di carnevale e di quaresima (si vedano, in proposito, alcuni miei articoli: M. GIOIELLI, Le altalene di Carnevale, “Extra”, anno VI, n. 3, 30 gennaio 1999, p. 14; M. GIOIELLI, Nenie ludiche di purificazione. Le altalene di Carnevale, “Nuovo Molise”, anno IV, 7 febbraio 1999 [articolo mio, anche se non firmato]; M. GIOIELLI, Un rito ludico di purificazione attraverso l’aria. Le altalene di carnevale, “Nuovo Molise”, anno V, 4 marzo 2000), fanno pensare al simbolismo dell’aioresis (cfr E. DE MnRTTrro, La terra del rimorso, Milano 1994, parte terza, cap. III). La cura della puntura delle tarantole attraverso la prolungata oscillazione del malato seduto su una fune appesa a delle travi è documentata anche in Dalmazia: «Una spezie di Tarantola similissima a quella di Calabria e di Pu¬glia v’è conosciuta sotto il nome di Pauk, comune a tutti i Ragni, nell’Idioma Illirico. I contadini, che nella stagione ardente deggiono agire in campagna, sono frequentemente soggetti al morso di questo brutto insetto, come anche a quello del Ragno variegato, di corte gambe, conosciuto in Corsica sotto il nome di Malmignatto. Il rimedio, cui usano per calmare a poco a poco, e far poi cessare del tutto i dolori prodotti dal veleno del Pauk, si è il mettere gli ammalati a sedere su d’una fune non tesa, ben raccomandata da’due capi alle travi, e dondolarveli per cinque o sei ore: rimedio analogo alla danza de’ Tarantolati Pugliesi» (cfr A. Fortis, Viaggio in Dalmazia, vol. II, Venezia 1774, pp. 27-28).
(canto 462, vv. 7-12)
Santa Caterina sta ‘n castella,
bìia li carofani a ghiummelle.
N’ha biiàte tante e tante,
si l’ha riscuote tutti la Tarante.
La Tarante è ghiuta afa lu pane,
chi zi vò veve l’acqua di sta funtane.
Non mancano, nella stessa area geografica che comprende Bonefro, Colletorto e Larino, notizie più propriamente etnocoreologiche, come quelle che alcuni informatori mi riferirono sulla tradizione della spallata,(M. Groielli, La spallata, il ballo dimenticato, “Extra”, anno XI, n. 21, 11 giugno 2004, pp. 16-17.) una danza usata per curare la paura provocata dalla vista di serpenti (antiofidismo); più in generale, tale ballo serviva a rinfrancarsi dagli spaventi, dalle visioni allucinatorie e dagli incubi notturni.(M. Gioelli, Danze molisane dell’Ottocento, “Utriculus”, anno IX, n. 33, gennaio-marzo 2005, pp. 24-33, nota 41.)
Si trattava, quindi, d’una dinamica iatro¬musicale attuata in una forma coreutica assimilabile al tarantismo e alle cosiddette danzimanie (J.F.C. HECKER, Die Tanzwuth, eine Volkskrankheit im Mittelalter, Berlino 1832 (ed. italiana, La danzimania, malattia popolare nel medio-evo, Firenze 1838)
Non a caso, già nel 1621, nel Centumn historiae seu observationes et casus medici di Epifanio Ferdinando,(E. FERDINANDO, Centum historiae seu observationes et casus medici, Venezia1621, p. 259) la spallata è menzionata fra i balli utilizzati nella cura dei tarantati.
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