Riflessioni di Maria Pia 11°

Un pesce mandarino dà un bacio alla sua compagna… Perché un bacio, oltre a trasmettere anticorpi ed a scambiarsi “batteri buoni”, stimola il buonumore. In una piovosa domenica dicembrina, cosa c’è di meglio che baciarsi? Magari, mentre si legge un buon romanzo, delle poesie, un saggio storico, una raccolta di racconti. Ovviamente, 2000diciassette… (Buona domenica anime belle…).

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Il corpo è una schiavitù fragile. In sé, la malinconia di desiderare in eterno una voluttà la cui essenza è durare un momento.
Il cuore è una schiavitù fragile. In sé, la malinconia di desiderare in eterno una voluttà la cui essenza è durare un momento.
La vita è una schiavitù fragile. In sé, la malinconia di desiderare in eterno una voluttà la cui essenza è durare un momento.
Le fragilità del corpo e dello spirito sono “limiti” di egual misura.
(poi torno…credo).

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“Nessuna anima sarà consumata dalla ruggine se gli occhi, e le mani, e i piedi si toccheranno, in questo Tempo di crampi diffusi. Tocchiamoci. Nel ritmo impercettibile delle pupille, con le “serchie” aperte dei palmi, e i piedi sgretolati dal cammino.”m.p.

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Il capro espiatorio. Una volta all’anno, in un giorno dedicato, il sommo sacerdote si riuniva nel tempio con due capri. Uno dei capri veniva sacrificato, quindi ucciso, come espiazione (capro espiatorio) dei peccati; a seguire, il sacerdote poneva le mani sull’altro capro, confessando tutti i peccati che gli israeliti gli avevano rivelato durante l’anno e riversandoli sul capro. Il capro veniva, subito dopo, sperso nel deserto ad “Azazel”( deserto del diavolo). Il due capri simboleggiavano l’uno la punizione (espiazione-morte), l’altro la rimozione dei peccati (fuga-consapevolezza). Il primo capro, colui che muore, è il vero” capro espiatorio”, non il secondo che simboleggia il “peccato che va via”. Spesso, si confonde il primo con il secondo. Il “capro espiatorio” viene ucciso… (Sarà stato il panino con la mortadella, o la pioggia. O le due cose insieme. Poi torno).

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Il pruno, il bambù, l’orchidea ed il crisantemo sono i quattro “fiori gentiluomini” per Confucio, poiché rappresentano la purezza e la nobiltà. Il crisantemo nasce in Cina, ma è il Giappone ad assumerlo come “fiore del sole” e della potenza, chiamato kiku. L’ imperatore Kanmu (781–806) lo introdusse, usandone i petali per fare del vino ed ottenere un elisir di lunga vita. Molto usato, come decorazione dei talami, dalle cortigiane giapponesi di alto rango, nei quartiere del piacere. Ancora oggi si trovano delle bambole di crisantemi ed esso viene rappresentato e riprodotto ovunque (arredi, tessuti). Parecchie poesie giapponesi associano il crisantemo all’immortalità, come questo poeta di corte Ki no Tomonori ( 850 – 904), dove la rugiada è metafora del vino di crisantemo: “Il crisantemo, lasciate che lo colga, ancora umido di rugiada, e lo metta fra i capelli, così che l’autunno non diventerà mai vecchio.”
Francia, Italia e Inghilterra adottarono questo fiore nel ‘700 e da allora rimane per gli italiani “il fiore dei morti”, per la probabile fioritura a fine ottobre e per le leggende (trasmesse oralmente) che lo identificano come fiore che conserva il contatto con l’aldilà. Buon Ognissanti anime belle… (ma poi torno).
Mp

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