Annetta Vadori, precorritrice della “causa delle donne”

vadoriAnnetta Vadori, precorritrice della “causa delle donne”

Sulla questione della condizione femminile, di un’uguaglianza che riguardasse la parità dei diritti civili tra i sessi, il triennio repubblicano italiano si pose all’avanguardia di una problematica che fino ad allora non era neanche immaginabile.

Oltre ad Eleonora de Fonseca Pimentel, molto più rinomata in quanto vera anima della repubblica napoletana del 1799, vi fu la repubblicana Annetta Vadori, esponente della Repubblica cisalpina, che scrisse un opuscolo, considerato pioneristico, se non avveniristico, nella lotta per i diritti civili in Europa.

Con l’opuscolo “La causa della donna”, pur davanti alla contrarietà di quei patrioti che volevano escludere le donne dalla sfera pubblica, la Vadori chiese con forza e denunciò le disuguaglianze di potere e di ruolo, invocando l’uguaglianza civile.

Il testo della Vadori, affrontava la questione femminile alla stregua di un testo del primo Novecento italiano, quando la parità dei diritti civili tra uomini e donne non aveva ancora avuto attuazione neanche in relazione al diritto di voto.

Annetta Vadori, in maniera diretta, rimproverava ai “cittadini fratelli carissimi” che, se si caricavano dell’onere di voler concedere diritti civili quali la libertà, l’uguaglianza e la stessa felicità, manifestavano scarsa sensibilità nel momento in cui riservavano tali diritti, “solo al sesso mascolino” con le donne escluse dalla legislazione, dai governi, dalla magistratura, dai tribunali e dagli stessi eserciti. Pertanto, i “savissimi” progetti, di cui tanto si discuteva, in maniera stravagante si ponevano nell’ottica di un’inferiorità femminile.

Con determinazione e caparbietà la repubblicana proponeva di aggiungere alla Costituzione cisalpina del 1797 due articoli, mirati a considerare le donne “al par degli uomini in tutti i pubblici interessi dell’universale riforma”.

Le speranze della Vadori si aggrappavano anche alla fiducia riposta in Ugo Foscolo, con cui aveva condiviso i momenti di appartenenza alla Società di Pubblica Istruzione di Venezia, che l’avesse appoggiata in tale ambiziosissima sua lotta, a dir poco difficilissima in quegli anni di fine Settecento. Il Foscolo, che aveva conosciuto anche le sue grazie femminili, l’appellò, in seguito, la “Pitonessa”, mentre Vincenzo Monti la definì “fuoco vagabondo”.

Il primo articolo proposto dalla Vadori esordiva con l’affermazione “le donne sono uguali, anzi superiori agli uomini”, per quanto riguardava la sfera spirituale, come avrebbe illustrato nel secondo articolo. In relazione alla richiesta di pari opportunità, nel prosieguo del primo articolo la Vadori argomentava “Se all’uomo fu conceduta più forza corporale per la difesa della donna, alla donna fu accordata più forza spirituale per freno e regolamento dell’uomo.

Se l’uomo si era avvantaggiato di una maggior cultura, tale vantaggio non era una risultanza della disuguaglianza della natura, ma dell’istruzione di cui la donna era stata privata. Infatti quelle pochissime donne, che avevano avuto la possibilità, pur in un contesto ostile, di poter scrivere e legiferare, avevano dimostrato di non essere inferiori al sesso maschile”.

Nel secondo articolo Annetta Vadori rilevava la superiorità spirituale e rivolgeva un accorato appello:

“Carissimi Italiani, noi siamo uguali a voi in tutte le cose che non dipendono da forze materiali; in quelle che dipendono da forze spirituali siamo superiori. Abbiamo, dunque, diritto di assistere a tutte le vostre adunanze ed assemblee; abbiamo diritto di concorrere alla formazione delle leggi, alle quale dobbiamo al pari assoggettarci. Abbiamo il diritto di sedere nei magistrati, nei direttori esecutivi. Abbiamo diritto di andare ai consolati, alle commissioni, alle ambasciate; abbiamo diritto di maneggiar le finanze, di governar le provincie, di regolare gli eserciti; abbiamo il diritto di approvare o riprovare tutti i trattati nazionali o di commercio o di alleanza o di guerra o di pace. Questi sono, fratelli cristiani, i nostri diritti innegabili, e queste le nostre giuste pretese”.

Se tali diritti non fossero stati accolti – concludeva la Vadori- “le dolci parole di libertà e di uguaglianza”, si sarebbero rivelate incoerenti e in un certo verso “d’inganno”.

Bibliografia:

Annetta Vadori. La causa delle donne. Discorso agli Italiani. Venezia 1797 in D. Cantimori, R. De Felice, Giacobini d’Italia, Bari, 1964, pp. 455-456, 461-462.