L’insurrezione di Castelluccio

L’insurrezione di Castelluccio Acquaborrana

L’insurrezione di Castelluccio Acquaborrana, oggi Castelmauro, in provincia di Campobasso, si configurò come reazione antiunitaria organizzata da una banda di ex membri dell’esercito borbonico. Essa vide in una prima fase l’appoggio delle autorità e di parte della cittadinanza, successivamente gli armati passarono a saccheggiare il paese e ad usare violenza anche verso i loro stessi sostenitori. Senza più la maschera di velleità politiche, furono messi in fuga dal suono delle campane ma una parte di loro restò in paese continuando ad ammazzare ed a rubare per due giorni fino all’arrivo delle “Truppe Piemontesi”.

Tutto è raccontato in un documento redatto dal giudice Squadrilli e da noi rinvenuto all’Archivio di Stato di Caserta (F.P.P.B., B. 52, F. 359).

Angelo D’Ambra

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“Alquanti mesi pria dello scoppio della reazione in Castelluccio, tal Tocco Fratamico, Giuseppe Roberti e Giuseppe Berardi di detto Comune, proferito avendo delle parole sedizione e cospirando contro dell’attuale Governo, vennero denunciati dal caffettiere Leonardo Iuliano e quindi tratti agli arresti, se non che riuscì al Berardi di porsi in latitanza, e tutti tre macchinarono di vendicarsi contro del caffettiere anzidetto, che li avea denunziati… Tal Fratamico con tal Giovannino d’Amicantonio trasportando da Iermoli in Civita l’acqua marina, ebbero sentore della banda Farano che riunitasi in Montecilfone; e quando fu la mattina del 13 luglio scorso. D’Amicantonio e Fratamico recandosi nell’anzidetto Comune di Montecilfone, andarono a conferire e concertare col capo-comitiva Farano, rimpatriando la sera con due lettere all’indirizzo del Capitano della Guardia Nazionale D. Antonio Gravina e dell’ex sergente Borbonico Nicola Ricciardi. Al primo ingiungeva il Farano di spedirgli tosto gli sbandati armati; al secondo di assumerne il comando. Furono spediti infatti dal Gravina nel dì seguente n. 15 sbandati, compreso il di loro capo Ricciardi, armati tutti de fucili della Guardia Nazionale. Intanto la sera del 14 sotto le ore 23 i soprannominati Rocco Fratamico e Giovannino d’Amicoantonio, inalberando una bandiera borbonica ed armati di tutto punto, proruppero in atti reazionari, gridando e facendo gridare da tutti gli evviva a Francesco, ed uccidendo barbaramente, in concorso di Giuseppe Berardi e Giuseppe Roberti, il designato caffettiere Leonardo Iuliano, con fargli anche delle sevizie, inperocchè, oltre di fargli provare una lenta morte, abbigliarono a chi passava per quella strada di pittare un baffo su quel cadavere in segno di pubblico sprezzo e della più feroce vendetta; sicchè il cadavere venne tosto staccato e ricoverto di pietre. Illuminazioni e bandiere bianche per tutte le case, primeggiando quelle sul campanile e sulla casa Gravina. Nel posto di Guardia scomparvero ad un tratto le immagini del Sovrano Regnante Vittorio Emanuele, venendovi sostituite quelle del Borbone, ossia che verso le ore 10 del giorno successivo, quando non sospettavasi neanche lo scoppio della reazione, il sindaco D. Achille Iovine ordinò al sergente comunale Adamo Nicola Notari di rilevare i busti borbonici dallo scaffale della cancelleria comunale e di situarli nel detto posto di Guardia, rimuovendovi i quadri di Vittorio Emanuele e del Generale Garibaldi, siccome fece, e sotto le ore 24 poi il Capitano Gravina mandò ad attingere su la porta del ripetuto posto di guardia per lo stesso servente comunale le effigi di Francesco 2° e di Sofia. Si servì esso Notari dell’opera di Francesco Lalli per l’affissione suddetta, cui manifestò che quelle effigi costavano ducati cinque, secondo gli ebbe detto Gravina nel richiamare la di lui attenzione perché non fossero lacerate. Il popolo furente seguiva quei principali facinorosi del disarmo nelle violenze, che commettevansi alle persone pacifiche. Nel mattino seguente le medesime escandescenze si rinnovarono, al che aggiungasi la più grande premura che davasi il Sindaco D. Achille Iovine di farsi conoscere devoto ed attaccato al Borbone, con dichiarare che se gli venisse aperto il cuore gli si troverebbe scolpita la immagine di Francesco II e di più dalla finestra dello zio che sporge su la piazza, presentò al pubblico i quadri borbonici, ed alzando la mano destra prese solenne giuramento di non più tradire Francesco II, col maledire la Guardia Nazionale (e secondo un testimone anche Vittorio Emanuele) e benedicendo la Guardia Urbana. Sotto le ore 22 fu cantato in Chiesa il Tedeum coll’intervento di gran parte di popolazione, e con i galantuomini, Sindaco e Capitano della Guardia Nazionale, non che dei Preti che portavano al petto una coccarda rossa; e dopo il canto dell’inno, si andò incontro da tutti alla banda Farano fin fuori il paese, ove giunta la banda medesima scambiaronsi baci ed amplessi tra i galantuomini con le suaccennate Autorità e preti. Il capitano Gravina condusse ad alloggiare in propria casa il capo Farano con un di costui confidente, ed altri alloggi apprestandosi dai galantuomini e Preti suddetti. La massa della comitiva, che restò accampata presso all’abitato, si ebbe lauto trattamento di pane, vino e formaggio, pagato lo importo di tali viveri dalla Cassa Comunale, oltre di denari venticinque della Cassa medesima e sborsati al Capo Farano. Ma non tardarono quei manigoldi a dar mano al sacco facendosi a pretende dai sacerdoti D. Rocco e D. Oronzio Iovine delle somme e delle armi, che essi non avevano, perlocchè vennero ligati col nipote Pasquale e tradotti al Calvario per essere fucilati; ma sia che il popolo mal sentiva questa misura di violenza, sia perché gli anzidetti Iovine pagarono al Farano e suoi dipendenti la somma di denari 342, vennero liberati. Altre requisizioni di armi e danaro e altre violenze vennero anche fatte; e prima poi che altri eccessi commettessero i briganti suddetti, vennero sonate le campane a stormo, al cui tocco la banda si diede a fuggire precipitosamente alla volta di Montefalcone. Vi furono de facinorosi di Castelluccio al num. di quattro, che la seguirono, e gli altri essendo rimasti in paese continuarono a tumultuare, ponendo a morte il disgraziato giovine D. Benedetto de Benedettis, altra vittima da esso loro designata precedentemente per essere un attivo e zelante Guardia Nazionale. Fu anche quest’infelice seviziato, perocchè fatto morire lentamente e trascinato moribondo sul luogo istesso, ove giaciuto era il cadavere del caffettiere Iuliano. Gi autori di questo secondo proditorio furono gli stessi d’Amicantonio, Fratamico e Roberti, non che i due sbandati Costanzo Somma e Gaetano Quici, con tre altri che furono poscia passati per le armi. Due altri giorni passarono in una certa calma finchè giunte le Truppe Piemontesi, alcuni dei suddetti facinorosi, mentre il popolo ed i galantuomini andavano incontro pacificamente alla Truppe medesime, sormontarono l’alto di una montagna e fecero due scariche di fucilate sulle truppe istesse, rotolando ancora de grandi sassi, abbenchè avventurosamente senza colpo ferire e senza attesa, arrecare a chicchessia. Le truppe istesse occuparono quindi il paese, e vi fu restituita la tranquillità e la calma. E’ pure da aggiungersi:

1 – Che mentre gli aggressori del caffettiere Iuliano gli tiravano de colpi di stile ed i baionetta nel caffè, un di loro compagno per nome Nicola Berardi, che stava su la soglia del caffè medesimo, in veder la moglie accorrere in soccorso del marito, le die’ in testa con la canna del fucile, sicchè la disgraziata cadde insanguinata a terra, e volendola finire a colpi del calcio del fucile, l’arma si esplose, e ne restò egli l’assassino mortalmente ferito, cessando di vivere a due altri giorni.

2 – Che la mattina seguente poi, essendosi ridotta a casa la donna medesima dalla campagna, ove erasi rifuggiata, il facinoroso Angelo Petrillo Renzitto con qualche altro tentò di scassinarne la porta per ucciderla ed abbandonò l’impresa sol perché gli venne assicurato dalla buona gente frappostagli di essersi rifugiata la detta donna in Civita sua patria.

3- Che nelle prime ore del giorno 14 nella cui sera scoppiò la reazione si fecero istanze al sopraddetto Gravina da alcune Guardie Nazionali per armarsi tutti e porsi alla difesa, ma il ridetto Gravina non ne volle sapere”

 

Fonte foto: dalla rete
– HistoriaRegni