Ma c’è ancora chi ha una certa idea dell’Italia?

𝐌𝐚 𝐜’𝐞̀ 𝐚𝐧𝐜𝐨𝐫𝐚 𝐜𝐡𝐢 𝐡𝐚 𝐮𝐧𝐚 𝐜𝐞𝐫𝐭𝐚 𝐢𝐝𝐞𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥’𝐈𝐭𝐚𝐥𝐢𝐚?
Ma chi pensa ancora all’Italia? Una domanda che annuncia una desolata risposta o forse un tacere rassegnato mentre ci apprestiamo a non ricordare l’anniversario dell’unità d’Italia il 17 marzo.

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Ma c’è ancora chi ha una certa idea dell’Italia?
di Marcello Veneziani
16 Marzo 2024

Ma chi pensa ancora all’Italia? Una domanda che annuncia una desolata risposta o forse un tacere rassegnato mentre ci apprestiamo a non ricordare l’anniversario dell’unità d’Italia il 17 marzo. Eppure la prospettiva europea e globale non cancella gli stati, le nazioni, la vita dei popoli; le fughe in avanti non vedono la realtà in cui viviamo.
In questa desolazione mi è parso perfino commovente il fascicolo appena uscito di Limes, la rivista di geopolitica diretta da Lucio Caracciolo, che riprende temi e domande che furono nostre fino ad alcuni anni fa: Una certa idea dell’Italia. Il sottotitolo esplicita il proposito costruttivo che anima la rivista: “Contro l’alibi del declino irreversibile. Idee per un progetto nazionale prima che altri decidano per noi”. E’ stato un tuffo negli anni andati e nelle loro passioni civili a lungo frustrate. Nel 1986 lanciavo sulla rivista Intervento “Progetto Italia”, poi ripreso su Pagine libere, l’Italia settimanale, lo Stato e dalla Fondazione Italia che animai con un gruppo di intrepidi e valorosi illusi più di trent’anni fa. Qualcosa è rimasto di quei semi lanciati, qualcosa circolò – senza mai tradursi in progetti concreti- ai tempi di Alleanza Nazionale e dei suoi alleati, poi in quelli di Fratelli d’Italia e infine nel trionfo di Giorgia Meloni alla guida dell’Italia. Ma è curioso notare che a un progetto Italia oggi ci pensi una rivista come Limes, nata nell’ambito di una sinistra critica, attenta alla geopolitica e alla nazione. Non si hanno notizie di iniziative analoghe in area governativa. Qualcuno dirà che è normale: chi governa affronta la realtà di ogni giorno, si misura coi problemi concreti, mentre chi non è al governo o è all’opposizione può dedicarsi ai progetti, al “dover essere”, agli scenari culturali e al futuro. Ma è miopia non progettare l’avvenire, anche perché si tratta di futuro presente, e quando i progetti sono sposati dai governi sono già su strada, sono propositi da realizzare e impegni d’azione.
Il quadro generale della politica presente mi pare il seguente: la preoccupazione della sinistra non è mai l’Italia ma sempre l’altro, l’oltre, l’altrove, più fumi ideologici e supercazzole. L’opposizione oggi oscilla dal pensare contro l’Italia al pensare senza l’Italia. E chi governa non ci pensa nemmeno perché è preso dall’impegno pratico e amministrativo di gestire il presente. Risultato: nessuno pensa l’Italia.
Tantomeno ci pensa la cultura, intesa nel senso più largo possibile: non solo gli intellettuali ma il cinema, la narrativa, l’arte, la divulgazione, l’intrattenimento. Ogni tanto in tv per tenere in vita un racconto popolare nazionale, escono stucchevoli fiction finto-educative, coi soliti luoghi comuni obbligati, piccoli santini di personaggi del passato recente, zeppi di stereotipi, dialoghi banali, scontati moralismi (femministi, pacifisti, gender, antirazzisti); ma nulla che abbia un’attinenza con lo specifico italiano, quella che Limes chiama, alla De Gaulle, “una certa idea dell’Italia”.
Perciò ci sembra generoso e quasi commovente che qualcuno ancora coltivi “una certa idea dell’Italia”, considerando che in giro non ci sono né idee né sensibilità nazionali.
Un segnale di sopravvivenza di una certa idea dell’Italia è apparsa in questi giorni in due iniziative civili e culturali che sono sorte in ambiti diversi, per opporsi al progetto di autonomia differenziata, contro cui si è espresso anche Limes. Da una parte un folto gruppo di intellettuali, esponenti della cosiddetta società civile, in gran parte di orientamento di sinistra, hanno firmato un documento di Eugenio Mazzarella, con Massimo Villone, Stefano Fassina e altri contro l’autonomia differenziata. Ma dall’altra anche un circolo culturale e sociale vicino al centro-destra, Polo sud di Amedeo Laboccetta, raccoglie adesioni crescenti contrarie all’autonomia differenziata. Si tratta di una mobilitazione soprattutto meridionale che coinvolge esponenti autorevoli della destra politica e intellettuale italiana; ex ministri come Mario Landolfi, figure di spicco come Gennaro Malgieri, ex parlamentari, ex amministratori della destra nazionale, che dell’unità nazionale e dell’antiregionalismo aveva fatto la sua bandiera, sin dalle origini. Ed è forse un primo segnale organico di dissenso da destra nei confronti del governo di Giorgia Meloni.
Come scrive Limes, il disegno di legge Calderoli devolve alle regioni cruciali funzioni strategiche come istruzione, porti, energia e politica estera; la modifica introdotta dal titolo quinto della Costituzione aveva già trasferito alle regioni importanti competenze in materia di sanità, sicurezza e istruzione.
Da sinistra si vorrà strumentalizzare questo vulnus all’interno del centro-destra per indebolire il governo in carica; ma bisognerebbe ricordare che il progetto regionalista alle origini coinvolgeva pure la sinistra e i governi di centro-sinistra, da sempre favorevoli all’assetto regionale, che si erano spesi già per la sciagurata modifica del titolo quinto della Costituzione, votata anche dal centro-destra.
Ma il problema posto all’inizio resta: è possibile nutrire una certa idea dell’Italia se procediamo a smembrarla e a indebolirla con un federalismo a contrario, che parte dall’unità per arrivare alla divisione? La questione ha anche un risvolto importante di sovranità popolare e di consenso: a chi piace davvero questa riforma oltre il Lombardo-Veneto mentre da Bologna in giù è vista con indifferenza mista a diffidenza? Capisco i complessi equilibri di un’alleanza, capisco alcune ragioni del nord, e capisco che la Lega deve darsi un ruolo e non può ridursi a essere il partito del ponte di Messina. Ma dove finisce l’Italia evocata dai due alleati di governo sin dal loro nome e dalla loro ragione sociale? E che razza di idea dell’Italia si intende coltivare con queste premesse? L’Italia non è un comizio ma una civiltà, una tradizione, uno stato, una lingua, una cultura e molto altro. Si crede davvero che basti il premierato per salvare l’Italia, e riassumere l’amor patrio nel consenso alla premier? Pensateci, prima di imbarcarvi in storiche cappellate da cui è difficile poi tornare indietro.

La Verità – 15 marzo 2024