San Barbato da Castelvenere

San Barbato da Castelvenere

Credo che San Barbato da Castelvenere sia un Santo molto sottovalutato, misconosciuto e mai giustamente considerato per il ruolo svolto nella storia dell’Italia meridionale.
Qualcuno vorrebbe i suoi natali in contrada Vandano di Cerreto (cit. santibeati.it) ma sarebbe un fiore all’occhiello che i cerretesi non saprebbero indossare così mirabilmente, a livello di culto e di vanto, come i venneresi. Per cui lasciamo stare le cose come sono sempre state e ribadiamo che San Barbato nacque in contrada Foresta di Castelvenere nel 602 d.C.
Pare che sia stato un Santo irascibile e punitivo che mal tollerava i peccatori. Insomma una personalità forte, proprio quella che ci voleva per riuscire a fare quello che ha fatto lui.

San Barbato da Roma veniva
tre parm’ e’ musso e sette parm’ e barba
tre signurine davanti ha trovato
e s’hanno fatto la risa e l’hanno beffato
“Voi vi fate la risa e la beffa?
Lu pilo de lo capo
int’a la zizza se ne possa andare
e come umane voi non avite allattare”.

E’ l’inizio di una tradizionale filastrocca riportata da Paola Caruso nel suo libro “Santi Spiriti Streghe” (Ed. Realtà Sannita- Benevento 2001), un libro immancabile per chi vuole avere un’idea completa del folclore beneventano.
San Barbato, dunque, reagisce alle offese facendo entrare un pelo della sua barba nel capezzolo delle malcapitate provocando così l’ingorgo mammario: “u’ pilo a’ menna”, come viene detto in dialetto.
Un carattere forte, come dicevamo, quella forza che gli consentì, secondo la leggenda, di riuscire ad estirpare i culti pagani e diabolici dei Longobardi adoratori di Odino.
Fu lui che fece bruciare quell’albero di Noce, posto lungo la riva del fiume Sabato, dove i nordici svolgevano i loro rituali magici e satanici (il Sabba) e dove le donne (streghe) si accoppiavano con il diavolo. Fece, inoltre, cospargere di sale il terreno tutt’intorno affinché lì non crescesse mai più nulla.
Come ulteriore atto, volto a sradicare il culto pagano, fece fondere il simulacro più sacro adorato dai Longobardi, la Vipera d’Oro a due teste, ricavandone un calice da chiesa.
La leggenda, riportata in Vita Barbati episcopi beneventani, un libro anonimo scritto due-tre secoli dopo la morte del Santo, fa risalire, in sostanza, il mito delle janare beneventane proprio a quell’epoca. Così, attribuendo a San Barbato un ruolo determinante nella lotta alla stregoneria, lo lega indissolubilmente a quel mito.
Nonostante, però, l’azione del Santo, non si sa come, ma il Noce è poi risorto e i rituali delle janare hanno continuato a svolgersi ai piedi di quell’albero, a Benevento, nei secoli successivi. Ma questa è un’altra storia.
Quello che è altrettanto interessante, invece, è che San Barbato ha concretamente contribuito, ed è un fatto storicamente accettato (vedi Tommaso Indelli- Storia politica della Longobardia minore- Ed. Gaia.2018), alla conversione definitiva dei Longobardi al cristianesimo.
La storia parla di un decisivo intervento del Nostro nei confronti di Romualdo, duca longobardo, nell’imminenza dell’attacco alle mura di Benevento, sotto assedio, da parte di Costante II imperatore bizantino. San Barbato propose un patto al Duca: lui avrebbe interceduto presso la Vergine Maria per far desistere il Bizantino dall’attacco e, in cambio, i Longobardi avrebbero abbandonato gli dèi nordici per abbracciare definitivamente la dottrina di Cristo.
E così andò. Grazie all’intercessione del Santo castelvenerese, la Madonna apparve nel campo dei Bizantini la notte prima della battaglia sconsigliando il credente imperatore Costante dall’attaccare Benevento, questi mollò la presa e fece rotta verso Napoli. In verità vi fu anche un altro motivo, meno spirituale, che fece cambiare idea all’imperatore d’Oriente, il fatto cioè che erano in arrivo da Pavia, capitale del regno, in soccorso di Benevento, le truppe di Grimoaldo padre di Romualdo e re dei Longobardi.
Il combinato disposto dell’azione divina e militare salvò la città dalla distruzione ma i beneventani, attribuendo tutto il merito a Barbato, lo elessero, a furor di popolo, vescovo di Benevento.
Quanto detto spiega perché questo Santo sia stato abbastanza sottovalutato nei secoli.
Accertata la sua azione decisiva nella conversione al cattolicesimo dei Longobardi conquistatori che consentì alla cultura cristiana di divenire in tal modo predominante; considerati l’estensione (dall’Abruzzo alla Calabria, comprese Puglia, Molise, Basilicata e Campania) e la durata del Ducato Longobardo di Benevento (fino all’XI secolo), si potrebbe dire che l’attività di San Barbato ha condizionato la cultura, e di conseguenza la politica e l’economia, di tutto il Meridione d’Italia per circa quattro secoli.
Ma lasciando perdere queste disquisizioni, materia per storici e religiosi, è interessante notare come un territorio così piccolo, come il Sannio beneventano, abbia dato i natali, oltre a San Barbato, a molti altri Santi di cui alcuni noti ed importanti.
Il più importante è sicuramente San Gennaro. Il patrono di Napoli nacque a Benevento nel 272 ed era vescovo di quella città quando fu martirizzato, sotto le persecuzioni di Diocleziano, a Pozzuoli nel 305. Insieme a lui furono decapitati anche i suoi collaboratori Desiderio e Festo anch’essi beneventani di nascita e anch’essi martiri e Santi.
Nativo di Benevento era anche Felice IV, asceso al soglio pontificio nel 526, fece erigere a Roma la basilica dei Santi Cosma e Damiano.
Ancora un papa Santo beneventano è stato San Vittore, papa per pochi mesi, fece a tempo a celebrare un concilio nella sua città nello stesso anno in cui morì, il 1087.
A proposito di papi, beneventano d’adozione è Papa Orsini, Benedetto XIII, anche se nativo di Gravina di Puglia nel 1649. Per 38 anni consecutivi arcivescovo in città anche dopo l’elezione a papa, attualmente è in attesa di essere proclamato santo.
Strettamente legato al Sannio è Sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Originario di Napoli, vescovo per 13 anni di Sant’Agata de’ Goti, tra i più apprezzati dottori della chiesa. Forse più noto alla gente per aver composto e musicato “Tu scendi dalle stelle” che per i suoi dotti trattati teologici.
Particolare, invece, è il caso di San Benedetto da Benevento del X secolo, missionario ed eremita in Polonia. Sconosciuto da noi, è molto venerato dai polacchi che lo considerano uno dei loro protomartiri.
Non solo il capoluogo, anche la provincia ha fatto il suo. A Vitulano nacque San Menna, definito da San Gregorio Magno: “uomo di Dio”. Morì nel paese natio nel 583.
E’ molto probabile che siano telesini San Palerio, vescovo di Telese del IX secolo, ed il suo diacono Sant’Equizio da Telese. Alcune ossa dei due Santi sono custodite nella cattedrale di Cerreto.
Pietrelcina poi ha visto nascere uno dei Santi più venerati dei nostri tempi: Padre Pio.
Da non dimenticare che ebbe natali beneventani anche il medico-santo: San Giuseppe Moscati. Nacque nei pressi dell’arco Traiano nel 1880, valente e apprezzato medico, era in odore di santità già in vita, morì a soli 47 anni. Definito “il medico dei poveri” è il santo più “giovane” in ordine cronologico essendo stato canonizzato da Giovanni Paolo II nel 1985.
Insomma, pare che a questa terra non manchi proprio niente.
Anzi è simpatico annotare come il Santo più adorato di sempre dai napoletani (San Gennaro) e due tra i Santi dei nostri tempi più venerati dagli stessi (San Pio e San Giuseppe Moscati) siano tutti di origine beneventana.
Originari, cioè, di quella terra che molti napoletani, prima del Benevento in serie A, difficilmente riuscivano a collocare con esattezza da un punto di vista geografico.

Antonello Santagata