Il Carnevale che non c’è più

Il Carnevale che non c’è più

Il Carnevale di Pontelandolfo è oggi caratterizzato dal gioco della ruzzola del formaggio, la particolare competizione, che affonda le sue radici nel lontano III secolo, rievocativa, per l’intero periodo di Carnevale, dalle prime ore del pomeriggio fino all’imbrunire, di sfide infinite della misteriosa fantastica vita del passato che nel barone e il suo lavorante Pasquale si identificano. Un tempo, anche non molto lontano, non era solo il lancio di una forma di formaggio a celebrare il Carnevale di Pontelandolfo, altre costumanze appartenevano alla grande festa invernale, la festa per eccellenza, che fa risalire la sua origine alla festa romana dei Saturnalia. La notte tra il 16 e il 17 gennaio era la notte del fuoco, quello che si accendeva in onore di Sant’Antonio Abate detto anche Sant’Antonio del Fuoco per il suo potere di guarire gli ammalati di ergotismo e herpes zoster che da lui accorrevano per chiedere grazie e salute. Tante erano le fiamme che sfavillavano nei borghi popolosi delle campagne in onore del Santo protettore di tutti coloro che hanno a che fare con il fuoco. Il mondo del virtuale oggi ha spento quelle fiamme speranzose, propiziatrici di un buon raccolto. A Carnevale si rompeva la “pignata” a suon di bastonate per estrarne le sorprese in essa contenuta. A Carnevale ci si riuniva festosi nelle case e nel momento topico dell’eccitazione durante il vorticoso ballo della tipica tarantella pontelandolfese, si segava “la vecchia”, il fantoccio di pezza che nascondeva tante bontà da distribuire ai partecipanti. Al calar del buio del martedì delle ceneri, si materializzava per la strade del paese la maschera di Marzo: un uomo che vestiva in tutta la sua altezza un grosso mantello leggero di colore celeste, dello stesso taglio della tipica cappa dei pastori pontelandolfesi, una tuba bianca, di forma conica, buffamente piantata sulla testa, un cravattino lungo e sottile a pois legato stretto in gola, la faccia dipinta di bianco, comodamente seduto in una grande botte di legno, opportunamente fissata su due assi, sempre di legno, trasportata da quattro energici volontari. Brandendo minacciosamente un grosso bastone, la tipica piròccula, l’uomo in maschera piuttosto alticcio, accompagnato in corteo da una moltitudine di gente, tra lazzi, battute e sfottò, si recava presso le case del paese minacciando avversità atmosferiche se non fosse stato accolto adeguatamente, ed inneggiando alle caratteristiche fecondative del mese. Era quello un modo festoso e di coinvolgente spensieratezza per esorcizzare le temute bizzarrie del pazzerello mese di Marzo. Tutto questo oggi non c’è più, resta solo il ricordo sbiadito della festa multicolore, della festa dell’allegria, della festa del Carnevale che portava via ogni male.

Gabriele Palladino