Germania: La censura totale ora è ufficiale

Germania: La censura totale ora è ufficiale
I tribunali riscrivono la storia

di Judith Bergman 24 ottobre 2017

Pezzo in lingua originale inglese: Germany: Full Censorship Now Official
Traduzioni di Angelita La Spada

La Germania non fa mistero del desiderio di vedere emulata la sua nuova legge dal resto dell’Unione Europea.

Quando i dipendenti delle società dei social media rappresentano la polizia privata del pensiero dello Stato e viene loro conferito il potere di delineare la forma dell’attuale dibattito politico e culturale decidendo chi sarà autorizzato a parlare e cosa dovrà dire e chi dovrà tacere, allora la libertà di espressione non è altro che una favola. O magari è proprio questo il punto?

Forse lottare contro “l’islamofobia” ora ha una priorità maggiore rispetto all’obiettivo di combattere il terrorismo?

Il primo ottobre scorso, è entrata in vigore una legge tedesca che introduce la censura sulle piattaforme dei social media. Questa nuova norma impone ai social network come Facebook, Twitter e YouTube di censurare i loro utenti per conto dello Stato tedesco. I social media sono obbligati a rimuovere o a bloccare qualsiasi “reato penale” commesso in rete come i commenti offensivi e diffamanti o i contenuti che incitano all’odio, entro 24 ore dalla segnalazione di un utente – a prescindere dal fatto che il contenuto sia accurato o meno. Il termine concesso ai social per la rimozione è esteso fino a 7 giorni per i casi più complicati. Se non provvederanno a farlo, il governo tedesco può elevare multe fino a 50 milioni di euro, per mancata osservanza della norma.

Questa censura di Stato assoggetta la libertà di espressione alle decisioni arbitrarie di società che probabilmente applicheranno la censura ben al di là dello stretto necessario per non rischiare sanzioni molto salate. Quando i dipendenti delle società dei social media rappresentano la polizia privata del pensiero dello Stato e viene loro conferito il potere di delineare la forma dell’attuale dibattito politico e culturale decidendo chi sarà autorizzato a parlare e cosa dovrà dire e chi dovrà tacere, allora la libertà di espressione non è altro che una favola. O forse è proprio questo il punto?

Intanto, il tribunale distrettuale di Monaco di Baviera ha di recente condannato a sei mesi di reclusione, con sospensione della pena, il giornalista tedesco Michael Stürzenberger per aver pubblicato sulla sua pagina Facebook una foto storica, datata 1941, che immortala la stretta di mano a Berlino tra il Gran Mufti di Gerusalemme, Haj Amin al-Husseini, e un gerarca nazista. Il pubblico ministero ha accusato Stürzenberger di “incitamento all’odio verso l’Islam” e di “denigrare l’Islam” per aver pubblicato questa foto. La corte lo ha ritenuto colpevole di “diffondere propaganda di organizzazioni anticostituzionali”. Se il rapporto di reciproca ammirazione che esisteva tra al-Husseini e i nazisti tedeschi è un indiscusso dato di fatto, è chiaro che ora la storia è riscritta dai tribunali tedeschi. Stürzenberger ha impugnato il verdetto.

CENSURA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La Germania non fa mistero del desiderio di vedere emulata la sua nuova legge dal resto dell’Unione Europea, che ha già un codice di condotta simile per i giganti dei social media. Il commissario europeo alla Giustizia, Vera Jourova, ha recentemente dichiarato di essere disposta a legiferare in futuro se il codice di condotta volontariamente assunto non produrrà gli effetti voluti. La Jourova ha però detto che tale codice funziona “relativamente” bene, con Facebook che ha rimosso il 66,5 per cento dei contenuti “di incitamento all’odio” che sono stati segnalati tra dicembre e maggio di quest’anno. Twitter ne ha rimossi il 37,4 per cento e YouTube è intervenuto sul 66 per cento delle segnalazioni da parte degli utenti.

Pur ritenendosi preoccupato per i “discorsi di incitamento all’odio” in rete, l’organo legislativo dell’UE, il Parlamento europeo, non si è fatto scrupoli a invitare la terrorista araba Leila Khaled, leader del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), a tenere una conferenza dal titolo “Il ruolo delle donne nella resistenza popolare palestinese”. (Il FPLP è considerato un’organizzazione terroristica da Unione Europea, Stati Uniti, Canada e Australia.) La conferenza è stata organizzata, tra l’altro, dalla delegazione spagnola di Izquierda Unida (Sinistra Unita) che fa parte del gruppo confederale della Sinistra Unitaria Europea/Sinistra Verde Nordica del Parlamento europeo.

Nel Regno Unito, la premier Theresa May ha inoltre affermato che dirà alle società di contrastare i contenuti estremisti:

“La tecnologia leader deve andare oltre e più velocemente nell’automatizzare il rilevamento e la rimozione dei contenuti terroristici in rete (…) in definitiva, non dobbiamo soltanto sconfiggere i terroristi. Sono le ideologie estremiste che li fomentano. Sono le ideologie che predicano l’odio, seminano la discordia e minano la nostra comune umanità. Dobbiamo essere molto più decisi nell’identificare queste ideologie e sconfiggerle – ovunque nelle nostre società”.

La premier britannica continua a insistere che “queste ideologie” si diffondono “ovunque nelle nostre società” quando di fatto tutto il terrorismo è islamico. Nel frattempo, la sua ministra dell’Interno, Amber Rudd, non ha voluto mettere al bando l’ala politica di Hezbollah. A quanto pare, “i discorsi di incitamento all’odio” sono del tutto accettabili per le autorità inglesi. E lo sono anche quelli del religioso musulmano sudafricano e predicatore di odio Ebrahim Bham, che un tempo era interprete del capo del team legale dei talebani. Nel luglio scorso, è stato autorizzato a recarsi nel Regno Unito come ospite d’onore del “Palestine Expo”, un grande evento dettato dall’odio verso gli ebrei, che si è svolto nel Queen Elizabeth II Centre, un edificio pubblico della città di Londra. Bham è famoso per aver citato Goebbels, il ministro della Propaganda nazista, affermando che tutti gli ebrei e i cristiani sono “agenti di Satana”. Invece, a uno studioso come Robert Spencer è stato vietato l’ingresso nel Regno Unito perché ciò che egli riporta – accuratamente – è “islamofobico”.

Il British Crown Prosecution Service (CPS) ha recentemente affermato che i “reati di incitamento all’odio” online saranno perseguiti penalmente “con lo stesso approccio rigoroso e proattivo utilizzato per le infrazioni offline”. La decisione di trattare i reati “online” alla stessa stregua di quelli “offline” dovrebbe aumentare le azioni penali contro i responsabili di reati di istigazione all’odio, già ai massimi livelli storici mai registrati. Nel 2015-2016, le procure hanno chiuso 15.442 casi di reati di incitamento all’odio.

Gli ebrei residenti in Gran Bretagna, che hanno assistito negli ultimi tre anni a un drastico aumento dell’antisemitismo, sono spesso le vittime dei crimini d’odio. Tuttavia, i loro casi rappresentano solo una piccola percentuale delle statistiche. Tra il 2016 e il 2017, il CPS ha perseguito 14.480 reati d’odio. Secondo l’organizzazione Campaign Against Antisemitism:

“Non sono ancora stati perseguiti più di un paio di dozzine di crimini ispirati dall’odio antisemita l’anno. Finora, nel 2017, siamo a conoscenza di (…) 21 procedimenti penali; nel 2016, sono stati 20 e nel 2015 soltanto 12. Le inadempienze da parte del CPS nell’intervenire sono state talmente gravi da indurci a perseguire privatamente i presunti antisemiti e a sfidare il CPS attraverso i procedimenti di revisione giudiziaria, il primo dei quali lo abbiamo vinto a marzo. Lo scorso anno è stato perseguito solo l’1,9 per cento dei crimini ispirati dall’odio contro gli ebrei, il che sta a indicare alle forze di polizia che il loro impegno nell’indagare su questo genere di reati potrebbe essere inutile e inviare un forte messaggio agli antisemiti che non devono temere la legge. (…) Ogni anno dal 2014 i crimini antisemiti hanno raggiunto livelli record: tra il 2014 e il 2016 questi reati sono aumentati del 45 per cento”.

Quasi un ebreo britannico su tre pare stia pensando di lasciare la Gran Bretagna a causa dell’antisemitismo degli ultimi due anni.

Le autorità britanniche sembrano molto più preoccupate per “l’islamofobia” che per l’aumento dei crimini ispirati dall’odio contro gli ebrei. Infatti, la polizia, ha unito le proprie forze con quelle del Transport for London (TfL), l’ente che gestisce il trasporto pubblico a Londra, per incoraggiare la gente a denunciare i crimini d’odio durante la “Settimana della consapevolezza nazionale dei crimini ispirati dall’odio”, iniziativa che si è svolta dal 14 al 21 ottobre. Il TfL e la polizia metropolitana hanno organizzato più di 200 eventi nelle comunità per “rassicurare le comunità che il sistema di trasporto pubblico a Londra è sicuro per tutti”. Gli eventi erano specificatamente rivolti ai musulmani. Gli agenti hanno visitato la moschea di East London per incoraggiare la denuncia dei reati d’odio.

Lo scorso anno, il Mayor’s Office for Policing And Crime (MOPAC), l’Ufficio del sindaco di Londra per la pubblica sicurezza, aveva annunciato di aver speso 1.730.726 sterline che venivano dalle tasche dei contribuenti per vigilare sui contenuti online dopo aver richiesto un finanziamento al Ministero dell’Interno. A proposito, il sindaco di Londra Sadiq Khan ha detto di non avere i fondi per monitorare la metà dei 400 jihadisti che finora si stima abbiano fatto ritorno a Londra dalla Siria e dall’Iraq. (Ha anche implicitamente ammesso di non sapere dove siano i foreign fighters rientrati.) Alla domanda postagli dal giornalista Piers Morgan sul perché non riuscisse a monitorarli, Khan ha risposto:

“Perché approssimativamente il 15-20 per cento del budget della polizia metropolitana è finanziato da me, il sindaco. Il resto viene dal governo centrale. Se la polizia metropolitana è sotto organico si devono stabilire le priorità e utilizzare le proprie risorse in maniera intelligente e sensata”.

Quando Morgan gli ha chiesto quale potesse essere una priorità più importante delle “persone che tornano da un campo di battaglia siriano per fare del male ai cittadini britannici”, Khan non ha risposto. Forse perché è difficile ammettere in pubblico che lottare contro “l’islamofobia” ora ha una priorità maggiore rispetto all’obiettivo di combattere il terrorismo?

Judith Bergman è avvocato, editorialista e analista politica.