I viaggi migliori sono immobili

𝐈 𝐯𝐢𝐚𝐠𝐠𝐢 𝐦𝐢𝐠𝐥𝐢𝐨𝐫𝐢 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐢𝐦𝐦𝐨𝐛𝐢𝐥𝐢
In aereo, in auto, in treno, in pullman, in camper, in barca o in nave. E anche in bici, o a piedi. Mezza Europa è in movimento nel rientro di fine agosto.

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I viaggi migliori sono immobili

In aereo, in auto, in treno, in pullman, in camper, in barca o in nave. E anche in bici, o a piedi. Mezza Europa è in movimento nel rientro di fine agosto. Dopo anni di semi-immobilità, dopo due stagioni di lavoro da casa, l’Italia d’agosto ha ripreso a viaggiare e ora torna alla base. In una società liquida e fluida come la nostra, che esalta i nomadi e i migranti, viaggiare è considerata la sorte normale e universale. Ma poi, se guardi la realtà del mondo e vedi l’immenso popolo dei restanti e di coloro che viaggiano solo sul web, ti accorgi che le cose non stanno come ci vengono rappresentate.

Ai viaggi statici ho dedicato ieri sera una conversazione a Porto Potenza Picena, in un Convivio che ha per tema Invito al viaggio. Cosa sono i viaggi statici, che ossimoro è viaggiare e star fermi? I veri viaggi di massa li compiamo stando seduti a casa. Navigando sul web, ci spostiamo come si spostano i capitali da un conto all’altro: ma si tratta di movimenti virtuali, flussi elettronici. Perché in realtà siamo fermi.

Ma anche la sostanza del vero viaggiare è l’immobilità. Chi viaggia più lontano, sta fermo, per ore, nel suo mezzo di trasporto, e chi invece sta a casa è costretto al tran tran del moto quotidiano. Viaggiamo divorando distanze ma in un volo di dodici ore siamo costretti a riscoprire l’antica pazienza del tempo immobile, le ore interminabili dello stare, il prodigio di un tempo lento mentre lo spazio scorre sotto di noi velocemente. Tutto appare fermo nel lungo navigare tra i continenti di un Boeing, come se a pilotarci fosse Zenone di Elea, il filosofo che considerò illusorio il movimento; è come se fosse il mondo a muoversi, a mutare, sotto i nostri piedi, davanti al nostro sguardo immobile, mostrandoci via via terre sconosciute.

La sostanza più bella dei viaggi è nei sogni e nelle attese, da fermi. Il viaggio che mi ha fatto più sognare è quello che immaginai osservando una pittura sulla parete di fronte al mio letto: su una banchina pulsante di vita un bambino vestito alla marinara, mano alla madre, saluta un bastimento che salpa o che approda, non so, da un luogo favoloso nel ventre rassicurante di un porticciolo festoso. Il tranquillo molo di una domenica borghese e lo stupore esotico dell’avventura, un intreccio di prossimità e lontananza. Quel viaggio che non feci mi ha dato emozioni più di altri realmente compiuti. Come i viaggi statici e favolosi di Salgari o di Xavier de Maistre nella sua stanza. I viaggi più significativi sono quelli da fermo, come i viaggi iniziatici.

Ricordo i magnifici viaggi nel lettone con mio padre che per farmi addormentare mi raccontava la bellezza di viaggiare nel vagone letto. Tu dormi, stai immobile nel tuo letto, e il treno cammina, ti dondola col suo misterioso sbuffare e ondeggiare, ti fa addormentare. Poi al mattino ti svegli e sei in un altro paese. Così mi addormentavo ascoltando le sue parole sempre più sussurranti e sognavo mete imprecise a bordo di treni miracolosi e infiniti, cullato dal sussulto ritmato di un treno tra scambi di binari. Viaggiavo da fermo, nel letto di casa; ma ho visitato più mondi nella onirica immobilità di metafisici treni che nei viaggi veri nel mondo compiuti da adulto.

A uno sguardo bambino l’incanto del viaggio è anche il finestrino di un’auto che muta paesaggi o il mondo visto dal lunotto. Perfino un cruscotto di legno, pieno di lucciole, come apparivano allo stupore infantile le spie luminose che brillavano la sera in una mitica topolino, accendeva la magìa del viaggiare, stando fermi. O la pioggia che scroscia sulla lamiera e tambureggia sulla cappotta, e noi riparati a vedere il mondo che annega, a goderci lo spettacolo dell’universo che strepita e piange, seduti al sicuro nell’occhio del ciclone. O l’euforia ragazza di una notte di primavera passata all’addiaccio in attesa di un pullman per la gita scolastica; poi il ritrovo, la partenza gioiosa, le azzurre luci discrete del pullman di notte, gli sguardi in penombra, gli approcci d’amore e il desiderio di non scendere mai da quel pullman e non vedere mai spuntare l’ora del disincanto. Del viaggio la cosa più bella era l’attesa, la sosta, la stasi, il torpore.

Il viaggio in nave resta il viaggio per eccellenza perché più lento e inesorabile, esposto ai quattro punti cardinali del mondo: il cielo, il mare, il sole, il vento. Viaggiando per mare si distinguono due tipi umani. Ci sono i viaggiatori di prua che amano guardare la nave che fende la verginità dell’ignoto, avanza in cerca di futuro e si eccitano del vento che fa pregustare sui loro volti gli ignoti approdi venturi. E ci sono i viaggiatori di poppa, che amano invece vedere il paesaggio abbandonato, e i gorgoglii di schiuma sulla scia della nave, fino a essere inghiottiti nel maestoso oblio del mare. Così scorre allo sguardo nostalgico la vita andata. Viaggiatori di poppa e viaggiatori di prua, perdersi nel futuro o nella nostalgia. Il mare è il primo aldilà, il nostro primo altro regno, il più vicino infinito, a portata di corpo; è il liquido amniotico dell’universo. Mare-Mater, ogni viaggio è un tornare alle acque placentali.

Ma non si viaggia solo nello spazio, si viaggia nel tempo: e quel viaggiare, a cavallo dei ricordi, dei racconti o delle storie, è un viaggiare lento, immobile, concentrato e figurato. Ai viaggi nel tempo si addice la stasi, non il moto. O solo lievi, impalpabili movimenti di ciglia, di mani che sfogliano pagine, album e sequenze. La Recherche di Proust è un viaggio nel tempo; come l’Amarcord di Fellini è un cammino del cuore a ritroso nel tempo, un viaggiare figurato.

Ma poi perché si viaggia? Si avventure, esplorazioni, pellegrinaggi, vagabondaggi. Ma si viaggia per il gusto di viaggiare, la meta è già nel viaggiare. Si viaggia per ritrovare l’origine, pur andando verso l’ignoto; e per sottrarsi all’uniforme globale. Si viaggia per ritornare. Si viaggia per conoscenza, si torna per riconoscenza. Tornare è un moto di gratitudine verso i luoghi, i cari, gli inizi che abbiamo lasciato. Ogni viaggio è un divenire in cerca dell’Essere. Novalis: Dove stiamo andando? Sempre verso Casa.

La Verità, 26 agosto 2022