Il triplo salto mortale del Pd

𝐈𝐥 𝐭𝐫𝐢𝐩𝐥𝐨 𝐬𝐚𝐥𝐭𝐨 𝐦𝐨𝐫𝐭𝐚𝐥𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐏𝐝
A dover essere più contenti per l’elezione di Elly Schlein alla guida del Pd dovremmo essere noi, voi, il popolo di destra.

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Il triplo salto mortale del Pd
di Marcello Veneziani  Pubblicato il 02 Marzo 2023

A dover essere più contenti per l’elezione di Elly Schlein alla guida del Pd dovremmo essere noi, voi, il popolo di destra. E non per la banale, imprudente ragione che porterà la sinistra a farsi sempre meno popolo e sempre più minoranza. Non possiamo dirlo in partenza, è una sciocchezza mostrarsi tronfi e trionfalisti. Ma per un’altra precisa ragione: Elly Schlein è l’avversario ideale, l’antagonista perfetto perché è l’esatta antitesi di ciò che siamo, pensiamo e vogliamo. Se volevamo disegnare un avversario tipo per indicare cos’è la sinistra oggi e perché non ci piace, faremmo il suo identi-kit. E anche quest’affermazione, beninteso, è scissa da ogni bava d’odio e di disprezzo. E’ una pura constatazione politica e culturale. Magari una così serve per contrasto per ritrovare le ragioni e le passioni di un’identità smarrita, a destra. Ma partiamo dall’inizio.
Il Pd con l’elezione della Schlein ha fatto un triplo salto mortale: perché per la prima volta nella sua storia ha scelto una donna, una lesbica dichiarata e un’estranea al partito, discesa da Marte, che si è iscritta direttamente alla guida del Pd senza scalarlo e spendere decenni di militanza tra sezioni, territorio, popolo. Possiamo dire senza ironie che con lei è nato il Transpartito democratico, con triplo salto di genere. Per certi versi si compie la parabola che già quarant’anni fa, prima che nascesse la Schlein, Augusto del Noce definiva il passaggio dal partito comunista al partito radicale di massa. La differenza è che di partito, come lo abbiamo conosciuto, soprattutto a sinistra, ce n’è rimasto davvero poco e anche di massa, altrettanto, perché si tratta di nuove soggettività e nuovi individualismi, élite e minoranze. Resta invece il nucleo radicale, che si carica con la Schlein di due significati: radicale nel senso pannelliano, ovvero diritti civili, la filiera della libera morte in libero Stato (aborto, eutanasia, morte assistita, e poi uteri in affitto, legalizzazione della droga, ecc.), la politica di genere e l’individualismo libertario; e radicale nel senso di una svolta contro il moderatismo, per una radicalizzazione delle posizioni sui temi politici, sociali, economici, para-grillini, ambientali, e così via. Qualcuno grida impropriamente al ritorno al comunismo; se mi passate la battuta, direi, magari. No, è un estremismo di tipo diverso, se vogliamo un comunismo allo stato soggettivo, primitivo, global, e al tempo stesso tutt’altro che proletario, operaio, contadino. E il radicalismo benestante che conosciamo da anni, che caratterizza la nuova tipologia della sinistra sotto il nome di radical chic; un radicalismo proprietario, per così dire, non proletario, da centro storico e da global trotter.
Non è un caso che il più vistoso e grottesco sostenitore della Radicalità, come dice il titolo di un suo libro appena uscito, sia il proletario rivoluzionario Carlo (Marx) De Benedetti, pubblicato con l’editore comunista e rivoluzionario del Corriere della sera. (Si, proprio lui, il finanziere, il padrone, ecc ecc.).
A differenza dei moderati, a noi non dispiace che la contesa politica si radicalizzi, intendo nei contenuti, non certo nei modi, cioè sul piano delle idee, non della violenza e del rancore.
Avevamo già scritto che Elly Schlein incarna un fenotipo preciso: è donna, come dev’essere chi vuol competere con la Meloni, è fluida, con compagna al seguito; è nuova, non ha storia né provenienza, è ztl, è di facoltosa famiglia, è un po’ Greta Thunberg come esige il copione eco-climatico; è un po’ sardina, non è bella (altrimenti, scrivevamo, sarebbe accusata di propendere per la destra), è internazionale, svizzera di nascita, famiglia statunitense, origine ebraica aschenazita, bolognese d’adozione; non ha una storia comunista o militante alle spalle. Per completare il curriculum e centrare tutti requisiti ha detto che la sua famiglia ebraica è di origine ucraina. E per intercettare appieno il politically correct, definisce vizio il suo fumo, e dice che ha avuto più difficoltà a fare outing sulle sigarette con i suoi genitori, che a dichiarare il suo orientamento lesbico. Perfetto bigottismo salutista unito a no-limits sul piano degli orientamenti di genere. Si è presentata con tre battaglie che sono altrettanti biglietti da visita 1) diritti civili di omotransessuali, coppie gay, pro aborto, progender, ecc.; 2) difesa dei migranti e della filiera che li rappresenta; 3) antifascismo radicale e permanente, non storico né tantomeno culturale. Quel che io sintetizzo in una formula: gay, migranti e bella ciao. Un fenotipo perfetto di sinistra anti-identitaria. Se Giorgia si definiva madre, cristiana e italiana, Elly parte esattamente dal contrario.
E’ stata subito giocata come l’antiMeloni anzi colei che fa sentire vecchia e ormai figlia del novecento la premier, mentre Elly rappresenta il presente, è moderna, è più attuale. E’ vero, lei rappresenta il presente, ma solo quello. Non ha storia, non viene da nessuna militanza, non è radicata in nessun territorio. La Meloni ha fatto la gavetta dall’asilo della sezione al volantinaggio di strada, dalle piazze ai comizi, scalando tutti i gradini di un partito, senza sponsor o protettori. Viene dal territorio, è perfino troppo verace, pop, un po’ sgarbatella, ma è vera. Viene dalla realtà.
La Schlein viene da altri più asettici percorsi, il suo percorso è stato rapido e indolore, ha bruciato le tappe. Al punto da dare l’impressione che sia un prodotto “prefabbricato”. Ci inquieta pensare che quando era fortemente staccata nei consensi professava col suo sorriso equino (ma c’è chi lo troverà accattivante) la sicurezza di vincere. Poi ha vinto sul serio, sconfiggendo il voto della base Pd, col voto fluido, da gazebo.
A me preoccupa chi viene dal nulla perché porta al nulla. E reputo non esagerato dire che la scelta della Schlein alla guida del Pd è il compimento della parabola del comunismo, tramite il progressismo, fino al nichilismo. L’utopia del “mondo migliore” giocata contro la realtà, i popoli, la natura, la storia, la tradizione, la cultura, le eredità. All’insegna del Nuovo, cioè del Nulla. Nihil novi: niente di nuovo? No il nuovo è il niente.

La Verità – 1 marzo 2023