La destra di governo davanti all’Europa

𝐋𝐚 𝐝𝐞𝐬𝐭𝐫𝐚 𝐝𝐢 𝐠𝐨𝐯𝐞𝐫𝐧𝐨 𝐝𝐚𝐯𝐚𝐧𝐭𝐢 𝐚𝐥𝐥’𝐄𝐮𝐫𝐨𝐩𝐚
Vogliono inchiodare il nascente governo Meloni alla croce dell’emergenza.
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La destra di governo davanti all’Europa

Vogliono inchiodare il nascente governo Meloni alla croce dell’emergenza. C’è una guerra incombente e c’è un rincaro stellare di energie e bollette con la tremenda crisi che ne consegue; e a quei due assi che si incrociano il nascituro governo non potrà sfuggire. Anche se la Meloni è stata votata dagli italiani contro l’establishment e in discontinuità con il governo Draghi, eurotecnocratico, commissariale e consociativo, le euro-streghe le sbattono in faccia l’emergenza e le intimano: la strada è una sola e devi seguirla senza indugi. Draghi ha lasciato tre raccomandazioni alla sua erede: fedeltà cieca e assoluta alla Nato, devozione totale all’Unione Europea e alle sue direttive e tenere i conti in ordine come prescritto. E’ il cuore dell’Agenda Draghi, la sua santissima trinità, le tavole dei comandamenti da osservare.

Il primo tema con cui Giorgia Meloni dovrà confrontarsi, in ordine di sequenza e di priorità, è la politica estera. Nonostante la volontà dei suoi elettori, la Meloni finirà col seguire la linea di Draghi e collocarsi decisamente in senso euro-atlantico, sotto l’ombrello Nato. Per quel che può valere (direi nulla), sono decisamente contrario a questa linea, lo dissi e lo ripeto. Contrario per i danni che produce soprattutto a noi italiani ed europei; e per i rischi che allarga, fino al pericolo estremo di una guerra tra Occidente e resto del mondo. Senza considerare le questioni di principio e di valori, di dignità e sovranità che spingerebbero verso una Nazione e un‘Europa autonome e sovrane nel quadro di un mondo policentrico, multipolare.

Ma qui vorrei ragionare di scenari reali e non professare le mie convinzioni, che tali restano e nulla contano. Allora diciamo due cose chiare e nette. La prima è che la Meloni ha espresso queste posizioni filo-Nato e filo-Zelenskj non quando ha vinto le elezioni ma già prima che cominciasse la campagna elettorale, e lo ha ripetuto sempre. Dunque non c’è stato nessun voltafaccia: con quella linea filo-atlantica ha chiesto e ottenuto i consensi. La seconda, più importante della prima, è che la Meloni non riceverebbe l’incarico di formare il governo se avesse manifestato una posizione contraria alla Nato e all’Unione europea. Siamo liberi di essere contro questa sua scelta o capitolazione e possiamo chiamarci fuori da questa linea di continuità col governo Draghi e di subalternità euro-atlantica; ma dobbiamo essere consapevoli che al governo ci vai solo se sei allineato, ovvero se accetti di star dentro la matrioska euro-atlantica ed economica. Altrimenti non ci puoi andare, resti all’opposizione for ever, se non peggio.

Ci auguriamo che perlomeno riesca a starci dentro non passivamente, aprendo la porta ad altri scenari, altri percorsi, altre alleanze, salvaguardando la dignità nazionale, ed anche europea; ma la sua scelta di fondo, lo sapevamo dall’inizio, cioè prima che formi il suo governo, sarà quella. Non sfuggirà al diktat economico né alla collocazione atlantica.

Quale potrà essere dunque la linea di un futuro governo guidato dalla destra in questo quadro di dipendenza? E’ inutile inseguire modelli impraticabili o pensare che possa destreggiarsi sulla linea di Visegrad, tra la Polonia e l’Ungheria. Si tratta a mio parere di ridisegnare con gli occhi di oggi due linee che furono vincenti nel passato europeo. Sul piano politico e geopolitico, l’unico modello compatibile per la destra e l’Europa resta il modello gollista, nazional-europeo, mai prono alla servitù atlantica, capace di guardare anche ad est. In politica interna il suo fu un governo decisionista, conservatore di valori e di principi, nazionale e popolare.

Sul piano economico-sociale, invece, il riferimento europeo più convincente resta il modello renano e bavarese, ovvero l’economia sociale di mercato dei migliori governi d’ispirazione cristiano-democratica; fu l’unica correzione nel senso di un’economia reale e di un sistema partecipativo rispetto al predominio dell’economia finanziaria e del mercato; o all’opposto alla via statalista del socialismo, democratico o comunista.

Sarebbe cioè auspicabile che il conservatorismo della Meloni fosse imperniato sulla difesa di principi e valori, sulla difesa della civiltà e della tradizione; ma in economia e in politica estera non somigliasse alla linea conservatrice di Margareth Thatcher (proseguita dal falco atlantico Boris Johnson). La Thatcher fu una grande premier e cambiò le sorti del suo Paese, rispose a un momento storico preciso del mondo occidentale dopo i fallimenti dello Stato interventista e assistenziale; ma sul piano economico la sua ricetta liberista, la sua idea che “la società non esiste ma ci sono solo gli individui”, oggi peggiorerebbe la situazione in corso e lo strapotere dei colossi transnazionali. E poi la destra continentale è diversa dalla destra anglosassone, c’è una tradizione sociale (a partire da Bismarck, il primo grande conservatore sociale) e comunitaria, anche d’ispirazione cattolica. Credo che per la destra di governo si tratti di rappresentare con i temi, le sensibilità e i linguaggi di oggi, questa doppia linea, dialogando con quanti in Europa si porranno sulla stessa lunghezza d’onda.

Insomma, è inutile sperare in chissà quali radicali rotture, viste le premesse e la situazione in cui ci troviamo; ma è legittimo sperare che ci sia almeno una correzione di tiro, un cambio di passo, una scelta europea più consona alla nostra reale situazione e ai nostri veri interessi e alla nostra storia. Restiamo il più possibile realisti, anche nell’attuazione degli ideali. Altro non c’è, se non passare da scontenti a incontentabili e condannarsi all’eterna recriminazione senza sbocchi.

La Verità – 2 ottobre 2022