L’assurda campagna contro gli alpini

𝐋’𝐚𝐬𝐬𝐮𝐫𝐝𝐚 𝐜𝐚𝐦𝐩𝐚𝐠𝐧𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐨 𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐥𝐩𝐢𝐧𝐢
La campagna di guerra contro gli alpini nel nome del femminismo e del MeToo è un caso da manuale da studiare.

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L’assurda campagna contro gli alpini

La campagna di guerra contro gli alpini nel nome del femminismo e del MeToo è un caso da manuale da studiare. Anche perché è un modello di denuncia e comunicazione applicato ormai in vari campi.
Dunque, arrivano a Rimini circa 400mila persone, di cui circa centomila alpini. Centomila gavette di ghiaccio, si sarebbe detto in altri anni, citando il famoso romanzo di Giulio Bedeschi, dedicato a quanti combatterono in Russia nel 1942, soprattutto alpini. La citazione non è casuale o solo per assonanza numerica; è tempo di Russia.
Prima del raduno di Rimini si era molto parlato sui media dell’istituzione dal prossimo anno della giornata nazionale dell’Alpino il 26 gennaio. Un evento che è stato molto contestato per due ragioni che poi sono sempre una. La prima ragione è che quella data è stata scelta nel ricordo della battaglia di Nikolajewka, in cui gli alpini furono eroici. Ce lo ricordano, tra i tanti, le testimonianze di Mario Rigoni Sterni e del beato don Carlo Gnocchi. Ma quella battaglia evoca l’Italia fascista in guerra, dunque è una data proibita. Molti chiedono di spostarla. A questo si aggiunge anche un’altra collisione: il 26 gennaio si sovrappone alla Giornata della Memoria; anche solo accostarla è blasfemo e irriverente, non è possibile. Tutti si agitano per spostarla, Mattarella, con l’astuzia curiale e paleo-democristiana che lo distingue, non promette cancellazioni ma rivolge ipocritamente la questione in positivo: dedichiamo una sola, grande giornata a tutte le forze armate (ma c’è già, è il 4 novembre). Raccomandazione che va letta a contrario: eliminiamo tutte i raduni di ogni singolo corpo o arma, ne basta (e ne avanza) uno per tutti, dice il presidente della repubblica ed ex ministro della Difesa, che si è distinto per aver abbracciato la linea dei falchi armati, oggi contro la Russia e ieri contro la Serbia.
Con questi precedenti si svolge a Rimini il raduno nazionale degli alpini. Che è una festa, un modo per incontrarsi, gli alpini vanno con le famiglie, c’è spirito di corpo, nostalgia e goliardia. E come sempre accade quando i numeri sono alti, c’è di tutto. Ma apprendiamo dalle associazioni femministe, i media e il contorno politico-ideologico, che il raduno degli alpini è stato in realtà un saccheggio, una discesa di barbari, quasi un remake delle truppe marocchine che violentarono migliaia di donne italiane nella seconda guerra mondiale. Allora ti metti in cerca di fatti gravi, di denunce circostanziate, di episodi: e ti imbatti in una sequenza di racconti, senza basi d’appoggio, spesso associati solo a una battuta, a una frase, a un gesto di passaggio, seppur narrato e drammatizzato come una specie di preliminare allo stupro. I resoconti dei giornali e dei telegiornali sono veramente grotteschi: due parole in libertà, frasi un po’ maleducate, vecchie e innocue avance, magari qualche apprezzamento, vengono iscritti nel capitolo “Prove tecniche di violenza sessuale”. Le penne nere come arma impropria, corpo contundente…
Non escludo che tra i tanti vi possa essere stato qualche raro episodio che va oltre i limiti della decenza; può capitare quando confluiscono in una città folle così vaste, è quasi un fatto statistico. Ma il tema è un altro. Al di là delle decine di casi segnalati, senza alcun preciso riscontro, realmente circostanziato e penalmente rilevante, la questione è un’altra. Si tratta di denunciarne uno per criminalizzarne centomila. Si tratta di narrare alcuni episodi di machismo e di sessismo per concludere che queste adunate sono un festival di machismo e di sessismo. E puntuale arriva poi la richiesta firmata da migliaia di militanti del femminismo, di cancellare questi raduni o perlomeno di squalificarli come si fa nei campi di calcio, per almeno due anni. Insomma, si tratta di denigrare, condannare e di fatto impedire questi raduni che veicolano valori comunitari, patriottici, militari che vanno invece rimossi.
Ma al di là della fondatezza dei casi di violazione e violenza almeno verbale, il caso da manuale è il seguente: come succede con gli episodi di abusi e violenza in famiglia e non solo, si prende un caso per colpirne mille. Visti i casi di violenza, dobbiamo dedurre che la famiglia è un’istituzione arcaica e violenta, da abbattere. Si dimentica la realtà e le sue proporzioni: se ci sono centinaia o pure migliaia di casi di violenza domestica e abusi in famiglia, ci sono milioni di famiglie in cui i rapporti sono fondati sull’affetto, la cura, la premura. Uno su mille se non uno su diecimila, bastano per delegittimare e affondare un’istituzione? Lo stesso criterio è adottato su altri piani: si prende un caso per colpire la norma, si coglie l’eccezione per abbattere la regola. La stessa cosa avviene per i raduni militari. Cento vaghe denunce di avance, catcalling o metoo, servono a colpevolizzare centomila alpini e a boicottare i loro raduni.
Il secondo aspetto da sottolineare è che queste polemiche servono a sostituire il messaggio: non più alpini, patria, comunità ma femminismo, centri sociali, temi sessuali, diritti civili. Diventa quello il messaggio, il solito tema ossessivo. Intanto scavano ogni giorno di più un fossato tra due mondi che si scoprono irrimediabilmente lontani: quello di chi vive secondo realtà, natura, consuetudine e tradizione, e quello di chi adotta il canone correct che non ammette più nemmeno l’uso di una parola, di un corteggiamento, di un modo di comunicare che è stato uso universale fino a ieri. I radical diranno: voi abitate nel mondo infame del passato e invece noi abitiamo il mondo nuovo del presente. Gli alpini o chi per loro replicheranno: noi abitiamo nel mondo reale di sempre, dove i rapporti sono naturali, pur regolati dall’educazione e dal rispetto, e voi abitate in un mondo artificiale, sospettoso, che genera muri di diffidenza tra sessi, generazioni e sensibilità diverse. Così la società è spaccata in due parti in modo irrimediabile. Con la beffa finale che il Paese è incitato a tifare per la guerra alla Russia, salvo poi detestare i soldati e i loro raduni…

La Verità (13 maggio 2022)