Razzismi veri, falsi e capovolti

𝐑𝐚𝐳𝐳𝐢𝐬𝐦𝐢 𝐯𝐞𝐫𝐢, 𝐟𝐚𝐥𝐬𝐢 𝐞 𝐜𝐚𝐩𝐨𝐯𝐨𝐥𝐭𝐢
Ma che razza di bestia è il razzismo? Ci sono tre o quattro mostri biblici che a turno si presentano nella vita pubblica nostrana per demonizzare una parte politica (la destra e dintorni) e rianimarne un’altra (la sinistra e paraggi).

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Razzismi veri, falsi e capovolti
di Marcello Veneziani
Pubblicato il 20 Aprile 2023

Ma che razza di bestia è il razzismo? Ci sono tre o quattro mostri biblici che a turno si presentano nella vita pubblica nostrana per demonizzare una parte politica (la destra e dintorni) e rianimarne un’altra (la sinistra e paraggi). Nella giostra di questi giorni torna di scena il razzismo, mentre si scalda ai bordi del campo per la settimana prossima il fascismo, in vista del 25 aprile.
Il viaggio della Meloni in Etiopia, la sua foto coi bambini neri, l’abolizione della protezione speciale per i migranti, decisa dal governo, hanno ridato linfa al tema, attraverso un nuovo singolare artificio dialettico: ora si sostiene che i veri razzisti sono quelli che fingono di non esserlo, anzi si mostrano perfino affettuosi coi “negretti” (che il mio pc politically correct corregge in negletti). Insomma, come la fai sbagli: se li scansi sei razzista, se li abbracci lo fai per nascondere il tuo razzismo. Ma lasciando agli imbecilli questa sciocca disputa, cerchiamo di fare un ragionamento più serio e strutturato in tema di razzismo.
Lasciamo da parte la questione preliminare se esistono davvero le razze o se sono pseudoconcetti. Non entro in una questione che dovrebbe avere tratti scientifici e invece ha solo pregiudizi ideologici e politici. E sorvolo su quel che la scienza ha attestato per secoli, che esistono le razze, anche a vista d’occhio. Scienza positivista, innanzitutto, non legata a canoni reazionari o dogmi religiosi, ma solitamente evoluzionista, laicista, spesso politicamente radicale e progressista. Ma la scienza è ricerca e continuo mutamento e dunque alcune conoscenze possono essere confutate, ribaltate nel corso del tempo. Dunque non mi pronuncio sul tema.
Ma per la stessa ragione diffido di chi oggi proclama in via pregiudiziale l’inesistenza delle razze perché è trasparente il messaggio ideologico e politico che vuole veicolare. Se nelle teorie razziali di ieri sono da considerare anche il clima, l’humus psicologico e ideologico dell’epoca, il colonialismo e le dominazioni; nelle teorie antirazziste di oggi sono da considerare le stesse cose in senso capovolto, nel segno dell’egemonia ideologica e del suprematismo progressista.
In ogni caso, se le razze sono una verità scientifica, un’evidenza e non un’impostura e una forzatura – significa riconoscere le differenze naturali e culturali tra popoli ed etnie e non la superiorità o l’inferiorità di alcune razze rispetto ad altre. Diventa razzismo quando si impone il primato di una razza, la discriminazione e la persecuzione di un’altra, fino all’aberrazione estrema dello sterminio. Per la verità l’unico paese che ha inserito una clausola “razziale” nel suo ordinamento costituzionale è Israele che si definisce “Stato nazionale e sovrano del popolo ebraico”, e dunque reputa estranei, ospiti o sudditi i non ebrei, a partire dai palestinesi.
Fatta questa premessa, l’Italia d’oggi, l’Europa d’oggi, può dirsi preda del razzismo? Se consideriamo i numeri, la presenza massiccia di milioni di migranti non solo di colore, con altre religioni o superstizioni, altri modi di vivere e di rispettare la vita degli altri; se consideriamo i milioni di giovani sradicati che vengono qui senza un lavoro, senza una donna, senza condizioni minime di stabilità, a cominciare dall’abitazione, sappiamo di vivere su una polveriera. Arrivo a dire che rispetto a queste premesse esplosive sono relativamente pochi i reati compiuti dai migranti in termini di violenza, stupri, furti, appropriazioni, disordini.
E in rapporto a questa massiccia presenza, sono ancora più esigui gli episodi di intolleranza contro di loro o di razzismo che si possono ricondurre al rifiuto dell’accoglienza di migranti, soprattutto neri. Certo, episodi di maleducazione, difficile convivenza, violenza scoppiano ogni giorno, soprattutto nei luoghi più degradati o negli spazi pubblici più affollati di migranti. La fabbrica dei media monta solo quelli che hanno come vittime i neri in modo da avvalorare la tesi del razzismo. Ma la motivazione razziale, in questi conflitti, non c’entra affatto o solo in minima parte. E comunque si tratta di piccoli episodi rispetto a milioni di situazioni di disagio non riconducibili al disprezzo razziale: scontri privati, antipatie, spazi vitali calpestati, donne insidiate, gelosie, furti, sgarbi, dissapori e altro ancora. Gli episodi d’intolleranza razziale riguardano una piccola minoranza di imbecilli integrali e non integrati, solitamente poco politicizzati, mossi da riflessi condizionati e dalle stesse campagne di stampo anti-razzista.
Parlare di razzismo così insistentemente, anche a sproposito, significa solo scavare fossati di odio, accendere le polveriere sociali, spaccare i popoli, indurre le popolazioni all’autodisprezzo, fino a una forma di razzismo autolesionista.
Bisogna poi distinguere il razzismo, che è una forma aggressiva di suprematismo esercitata contro chi riteniamo inferiore o indegno di abitare i nostri luoghi, dalla più generica fobia, che come dice la parola stessa, nasce da paura, malessere, insicurezza, e suscita atteggiamenti di difesa, di arroccamento, di fuga. Anche la xenofobia può essere o diventare una patologia, ma sorge da un sentimento reale di perdita, di spaesamento, di estraniazione in casa propria, rispetto ai propri luoghi abituali. Sentimento conservatore, umano e comprensibile, anche se può degenerare in ostilità, soprattutto se non si vede tutelato: a volte la paura gioca brutti scherzi. Ma non è giusto liquidare questo disagio reale, esistenziale e urbano, familiare e sociale, come odio razzista.
Oggi il peggior razzismo è esercitato da una minoranza contro la maggioranza degli italiani. E’ il razzismo dell’antirazzismo. Oggi il razzismo più opprimente, più praticato, più invasivo è etico, e non etnico; è quello culturale, politico, ideologico di una “razza eletta” rispetto al popolaccio che sceglie di pancia il “nostrano” ed è perciò considerato naturaliter “razzista”. Il razzismo degli antirazzisti diventa criminale quando identifica l’amor patrio, il legame identitario, famigliare, nazionale, religioso, col razzismo, che nella peggiore delle ipotesi è una degenerazione. E’ come se identificassimo la libertà con la violenza anarchica o i porci comodi; o l’amore con lo stupro e la violenza sessista. Non si può giudicare un principio, un legame o un sentimento dalle sue degenerazioni.
Perciò è assurdo tenere in vita leggi speciali. Bastano le leggi ordinarie del nostro codice che puniscono ogni violenza e sopraffazione compiuta su qualunque persona, di qualunque razza, colore, età, condizione. Questa feroce idiozia avvelena il clima e lo predispone all’esasperazione, all’odio e alla violenza. Il razzismo è vomito, anche in coloro che l’hanno sempre in bocca per rovesciarlo sugli altri.
Peraltro, la nascita culturale del razzismo nostrano non ha una matrice reazionaria. La prima teoria razzista in casa nostra riguardò i meridionali dopo l’unità d’Italia e ha un marchio scientifico e illuminista, progressista e socialista. Si legga L’uomo delinquente di Cesare Lombroso che fondava la storia antropologica degli italiani sulla fisiognomica e l’etnia, basi razziali. «L’intero popolo del Mezzogiorno assume i connotati del delinquente atavico» scrive Lombroso che non era un reazionario oscurantista ma uno scienziato materialista e positivista d’ispirazione socialista. Il suo allievo Enrico Ferri, che fu direttore de l’Avanti! e parlamentare socialista, sosteneva che «la minore criminalità dell’Italia settentrionale derivava assai dall’influenza celtica». Perfino lo studioso siciliano e progressista Alfredo Niceforo scriveva: «la razza maledetta che popola tutta la Sardegna, la Sicilia e il Mezzogiorno d’Italia dovrebbe essere trattata col ferro e col fuoco – dannata alla morte come le razze inferiori dell’Africa e Australia». E Giuseppe Sergi, siculo anch’egli, faceva risalire alla conformazione diversa del cranio l’inferiorità razziale dei meridionali. Curioso questo maso-razzismo meridionale… Nessuno di loro era reazionario, cattolico, controriformista; erano tutti materialisti, darwiniani, positivisti, progressisti. Se l’umanità ha origine zoologica, come vuole l’evoluzionismo, il razzismo ne è la conseguenza rigorosa…
C’è poi un altro razzismo ancora persistente, che denunciava da noi Pierpaolo Pasolini: è il razzismo di tipo progressista dei moderni verso gli arretrati, degli inurbati verso i rurali, dei tecnologici verso gli arcaici.
Insomma le semplificazioni in tema di razzismo, oltre che essere false e pretestuose, contribuiscono a incattivire la società, a generare forme di razzismo inverso e a sostituire i giudizi con i pregiudizi. L’antirazzismo oggi è una evoluzione del razzismo, una sua diramazione periferica.

La Verità – 19 aprile 2023