Come si combatte davvero il razzismo

𝐂𝐨𝐦𝐞 𝐬𝐢 𝐜𝐨𝐦𝐛𝐚𝐭𝐭𝐞 𝐝𝐚𝐯𝐯𝐞𝐫𝐨 𝐢𝐥 𝐫𝐚𝐳𝐳𝐢𝐬𝐦𝐨
Ma gli italiani, gli europei, sono ancora razzisti? Davvero è necessario ripetere come fa Sergio Mattarella, il grido e l’invocazione “Mai più” come se fossimo in presenza di un fenomeno risorgente, diffuso e preoccupante?

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Come si combatte davvero il razzismo

Ma gli italiani, gli europei, sono ancora razzisti? Davvero è necessario ripetere come fa Sergio Mattarella, il grido e l’invocazione “Mai più” come se fossimo in presenza di un fenomeno risorgente, diffuso e preoccupante?
Credo che nessuna persona di buon senso e in buona fede possa davvero sostenere che il pericolo del razzismo sia ancora dietro l’angolo o nella pancia del paese. E che ci sia, per giunta, un razzismo derivato da quello nazista di 80 anni fa. La formula con cui Mattarella e l’antirazzismo parlano di razzismo è vecchia come il cucco: «il riemergere in modo preoccupante dell’antisemitismo, dell’intolleranza, del razzismo e del negazionismo, che del razzismo è la forma più subdola e insidiosa”. E’ una frase che si ripete ritualmente dallo scorso millennio e da svariati decenni, a riprova di quanto sia un falso allarme, perché non corrisponde a nulla di veramente allarmante, vista l’assenza di esiti, comprovata ormai da decenni.
A parte una marginale, irrilevante e permanente, frangia di odiatori domestici e verbali, non c’è nessun segno di razzismo nella nostra società, almeno nel senso in cui ne parlano i media e Mattarella. Non c’è nessun partito razzista, nessuna forza sociale razzista, nessuna minaccia alle istituzioni di tipo razzista.

I casi di omicidi o violenze a sfondo razziale sono pressoché inesistenti rispetto a quelli a sfondo sessuale, i femminicidi, la violenza comune o per rapina.
A voler stilare una classifica dei mali di cui soffre la nostra società viene fuori un campionario ricco e sconfortante: l’egoismo e il chiudersi nei propri interessi, la ringhiosa solitudine di massa, la depressione e la diffidenza verso il prossimo, la paura e il rancore, la tendenza all’odio e al disprezzo ma ad personam, mai per ragioni razziali. Credo che non esista più l’odio militante nei confronti degli ebrei; c’è invece una residua antipatia per la ripetizione ossessiva che i media e le istituzioni fanno della Shoah, dopo 80 anni. Può irritare il monopolio della memoria, l’uso distorto del razzismo di ieri per criminalizzare avversari e outsider di oggi; può dar fastidio che si ricordi solo una delle tragedie dell’umanità, dimenticando tutte le altre; può infastidire che nel nome di quel passato si assolva sempre e comunque Israele da ogni sopruso disumano e ferocia presente. Ma che vi sia un latente razzismo nei confronti degli ebrei e che possa riemergere una forma di persecuzione razziale mi pare assai meno improbabile rispetto, che so, al pericolo di un risorgente terrorismo comunista, una riapertura dei gulag con l’eliminazione in massa dei dissidenti e dei “nemici del popolo”.
Anche il razzismo verso i neri non mi pare diffuso e preminente nel nostro paese e in tutta Europa, come del resto dimostra la convivenza quotidiana con milioni di africani. La paura e l’ostilità degli europei riguarda invece i comportamenti, veri o presunti, di alcuni gruppi (spaccio, prostituzione, delinquenza, violenze) ma riguarda africani come asiatici, slavi e albanesi. La pelle non c’entra.
L’unica forma di razzismo che è realmente diffuso nelle società occidentali e da noi, non proviene dal passato, o quantomeno non proviene dal nazismo, dal fascismo e dal nazionalismo. Ma è il razzismo dei progressisti verso gli “arretrati”, il complesso di superiorità di una fascia della popolazione che si reputa più avveduta e pensante rispetto alla plebe e a coloro che definisce indistintamente fascisti, reazionari, razzisti. E’ quello che io definì tanti anni fa razzismo etico, per distinguerlo dal razzismo etnico di antico pelo (ben più antico del razzismo nazista). Il razzismo etico stabilisce una netta discriminazione non biologica ma ideologica, tra i giusti e gli ingiusti, i progrediti e i rozzi, gli illuminati e gli oscurantisti. Con forme di disprezzo pregiudiziale che sconfinano nell’odio e nel ribrezzo. L’accanimento di questo razzismo etico è rivolto in alto e in basso: se la prende da un verso con il popolaccio, la plebe, la folla delinquente. E dall’altro con chiunque esprima, a livello politico, culturale, intellettuale, idee opposte ai detentori e portatori, per scienza innata e virtù “divina”, dei diritti umani e dell’emancipazione. Non è un razzismo violento ma pedagogico e autoincensatorio; non elimina fisicamente ma elimina civilmente e culturalmente; non strozza ma silenzia. Disconosce pensieri diversi dai propri, non rispetta le differenze, delegittima chiunque non accetti il perimetro che essi delimitano. Ed esclude, emargina, cancella. Il criterio di fondo che identifica il razzismo non è il riconoscimento delle differenze, che è un criterio di realismo e libertà; ma la presunzione di superiorità di alcuni e d’inferiorità di altri. Quel nucleo di razzismo resta in vigore nel razzismo etico e ne giustifica la definizione. E’ una forma di razzismo ideologico che produce una contrapposizione irrimediabile tra una minoranza di evoluti e una massa di ritardati. Da cui l’elitarismo.
Come si combatte il razzismo? Considerando chi è diverso da noi non migliore o peggiore di noi, ma semplicemente diverso, con idee diverse, storie diverse, eredità diverse. Il razzismo non si cancella dunque con l’ugualitarismo ma col riconoscimento delle diversità. Per tornare al razzismo contro gli ebrei, il vero antidoto non è celebrare il monopolio della memoria e l’unicità assoluta dell’orrore patito. Sconfiggi il razzismo se rispetti le differenze ma comprendi che gli ebrei sono come noi, né eletti né maledetti, e così vanno trattati e considerati. Sono parte dell’umanità, non stanno né sopra né sotto, né a lato né fuori, ma dentro, come tutti noi. Sconfiggeremo davvero ogni razzismo quando arriveremo a questa conclusione, semplice e vera.

La Verità – 29 gennaio 2023