La giustizia che non era uguale per tutti

QUANDO LA GIUSTIZIA NON ERA UGUALE PER TUTTI di Valentino Romano (*)

Caserta, settembre 1864.
Amici, c’è stato un tempo remoto durante il quale la giustizia che non era uguale per tutti. Ed è questa “diseguaglianza” del passato la protagonista della storia che oggi vi sottopongo.
Nel settembre del ‘1864 si presentò al cospetto dei giudici del Tribunale Militare di Caserta un imputato eccellente quanto insospettabile: era il barone Rosario Petrucelli, già sindaco di Baselice.. Era successo un gran putiferio, avevano arrestato il brigante Secola, del quale il mio amico Antonio Bianco ha, alcuni anni addietro, scritto un’eccellente biografia (Il brigante Secola; Benevento, Edizioni Il Chiostro, 2011); un “simpaticone”, alla fine dei conti, uno che alla macchia – come ho già avuto di scrivere – registrava scrupolosamente le date dei suoi convegni amorosi con la moglie e quelli con sua cognata per essere sicuro della loro rispettiva fedeltà … a lui: metti caso, infatti, che da quei frettolosi incontri fosse insorta una gravidanza … il buon Antonio doveva essere il più possibile sicuro della paternità. La fedeltà innanzi tutto, insomma. Va beh, torniamo alla nostra storia. Addosso al brigante catturato, oltre al “bigliettino-fedeltà”, erano state rinvenute numerose “carte di passaggio” (quella sorta di passaporto che i sindaci rilasciavano ai propri cittadini per consentire il passaggio dal loro ad altri comuni limitrofi) in bianco ma con tanto di timbro del Comune di Baselice e con tanto di firma del signor Sindaco: i era accertato che le “carte” erano autentiche e non contraffatte.
Un po’ come la storia di un arresto eccellente dei nostri giorni, mi verrebbe da dire ma è meglio lasciar perdere.
Né si poteva sostenere che fossero state sottratte illegalmente dai cassetti degli uffici comunali, semplicemente perché il Sindaco non avrebbe mai dovuto firmare documenti in bianco e, per giunta, in blocco.
Per farla breve le indagini subito avviate e avvalorate dalle solite testimonianze della “voce pubblica” avevano convinto gli inquirenti della colpevolezza del barone Petrucelli che era stato subito incriminato per favoreggiamento del brigante, di “manutengolismo” come si definiva allora quel reato. Uno scandalo del diavolo! E, soprattutto una figuraccia senza eguali per quel generale Pallavicini (quasi elevato alla gloria degli altari in un recente saggio), il quale, andando – armi resta e a testa bassa – a caccia di manutengoli, quando passava per Baselice non voleva essere ospitato che dal Barone che riteneva il più fido sostenitore della causa unitaria. Potenza delle ospitalità luculliane!
Proprio in virtù del clamore dello scandalo sollevato e delle sue possibili conseguenze il processo era stato istruito con meticolosa cura. E che diamine, non era certo quello che normalmente i suddetti Tribunali facevano ai poveracci, a cavallo tra colazione e pranzo. Gli inquirenti avevano pazientemente raccolto le testimonianze e preparato una lista di testimoni più lunga del calendario; a difendere l’illustre imputato erano intervenuti il fior fiore dei principi del foro della regione. Tutto insomma era pronto e le prove e le testimonianze inconfutabili non lasciavano ombra di dubbio sull’esito del processo. La curiosità stava soltanto nel conoscere l’entità della pena che sarebbe stata comminata al Barone.
E, invece, Petruccelli …andò bellamente assolto. L’avvocato Generale Fiscale, quel galantuomo del comm. Trombetta del quale ho spesso parlato, non sapeva darcene pace e da Torino chiese lumi all’Avvocato Fiscale di Caserta.Quest’ultimo, con profondo imbarazzo glieli fornì: “le cause che possono aver determinato l’assolutoria del Barone Rosario Petruccelli opinerei siano ste due”. L’accusa aveva preparato la lista dei testimoni che, non si sa come, era venuta in possesso della difesa. Risultato? Ecco la prima delle ragioni: “i testimoni fiscali (cioè dell’accusa) che alla pubblica discussione, fatta eccezione di Mattei Giacomo e Patera Francesco, chi più chi meno tentarono di diminuire la colpabilità ed anche di escludere fatti criminosi consumati dal barone Petruccelli”. È vero, aggiunse sconsolato l’inquirente, che “quattro si essi testimoni furono immediatamente posti in istato di arresto, a mente dell’articolo 448 del Codice P.Mil.”, ma era una soddisfazione assai magra, dal momento che “rimase indebolita l’accusa”. Per dirla tutta, insomma, i testimoni erano stati o minacciati o comprati.
La seconda ragione era ancora più squallida: “l’influenza che temo abbia l’accusa esercitata sull’animo dei Giudici, e questo non già per l’effetto della posizione sociale, delle relazioni alto locate, ma per la sua vecchiaia, e per la splendidezza e generosità che profuse, e come cittadino e come Sindaco, nel complimentare in Baselice le Autorità e specialmente l’Esercito nostro pel quale dimostrò somma carità e amore …”.
Amici, l’’avvocato fiscale non lo diceva apertamente ma, a leggere tra le righe, io un’ideuzza su quali potessero essere queste “relazioni alto locate” ce l’avrei. Con tanto di nome e cognome. Non mi costringete a farlo, però. Fatevene un’idea vostra magari pensando a qualche frequentatore assiduo di palazzo Petruccelli, nonché compagno in allegre bisbocce.
A margine del processo si erano poi verificate altre strane circostanze come l’improvvisa destituzione del prefetto Homodei che lo aveva fortemente voluto, quella dello stesso Avvocato fiscale e le “promesse elargizioni e munificenze ai poveri di Caserta se il Barone Rosario Petrucelli fosse per essere assolto dalla Corte Militari”. Era quindi perfettamente comprensibile come i testimoni “occultavano il vero per favorire il Petrucci”. Addirittura “molti d’essi si presentavano inanzi al Tribunale e senza essere interrogati in proposito, piucché raccontare … recitavano lodi del giudicabile”.
Vogliamo dirla tutta? Un processo farsa. Esattamente come tanti altri celebrati nei confronti dei poveracci incappati nelle maglie della Legge Pica. Con una piccola differenza, però: qui la farsa portò all’assoluzione, negli altri casi … alla fucilazione o ai lavori forzati.
Ma è risaputo: allora la giustizia funzionava così. Successivamente, per fortuna, le cose cambiarono: oggigiorno è tutto diverso, centosessanta due anni non sono passati invano, la giustizia è uguale per tutti. Come dite, amici? Non è proprio così? Ma è possibile che non dobbiate mai essere d’accordo su quello che penso io? Siete peggio di mia moglie! Va a finire che il disfattista e il complottista sono sempre e solo io. E che cavolo!
Sarete almeno d’accordo se vi auguro buona domenica? Almeno questa passatemela. Alla prossima.

(*) Promotore Carta di Venosa