L’odio prevale perché

𝗟’𝗼𝗱𝗶𝗼 𝗽𝗿𝗲𝘃𝗮𝗹𝗲 𝗽𝗲𝗿𝗰𝗵𝗲́ 𝘀𝗼𝗻𝗼 𝘀𝗮𝗹𝘁𝗮𝘁𝗶 𝗴𝗹𝗶 𝗮𝗿𝗯𝗶𝘁𝗿𝗶 𝗲 𝗶 𝗺𝗲𝗱𝗶𝗮𝘁𝗼𝗿𝗶
Altro che gentilezza, altro che mitezza, egregi Bergoglio e Carofiglio, Monsignor Ravasi e monsignor Veltroni. Qui c’è un clima di odio e di disprezzo dei più acidi e velenosi. E non riguarda solo, come pensano i suddetti, una parte in campo o, come dice Ravasi, “i virulenti attacchi al governo”. L’odio attraversa almeno ambo i versanti, è bilaterale.

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L’odio prevale perché sono saltati gli arbitri e i mediatori
Altro che gentilezza, altro che mitezza, egregi Bergoglio e Carofiglio, Monsignor Ravasi e monsignor Veltroni. Qui c’è un clima di odio e di disprezzo dei più acidi e velenosi. E non riguarda solo, come pensano i suddetti, una parte in campo o, come dice Ravasi, “i virulenti attacchi al governo”. L’odio attraversa almeno ambo i versanti, è bilaterale. Perfino le elezioni americane hanno acuito nel nostro paese un fossato di veleni tra chi preferiva Trump e chi Biden; si affrontavano due mondi inconciliabili in una battaglia di civiltà in cui ognuno pensava che l’altro fosse dalla parte della barbarie. Non bastavano per noi gli odii interni, le faide locali, il rancore tra sinistre e destre, globalisti e sovranisti, oligarchi e populisti, minimalisti e massimalisti del virus. La fenditura che attraversa la società e i social è verticale e di mezzo c’è una voragine.

Ora, vorrei dire qualcosa che probabilmente i “riappacificatori” alla Bergoglio o alla Biden non hanno affatto preso in considerazione. E cioè: saranno pure patologiche le manifestazioni più estreme e più sgangherate, più cafone e più violente, della contrapposizione politica. Ma il male non è che esista un bipolarismo netto e radicale; da sempre esistono fronti contrapposti, competizioni radicali e conflitti politici e sociali. È male quando sono urlati o muscolari, ma si tratta di un male con cui l’umanità convive da sempre.

Il vero problema del nostro tempo, il vero squilibrio, è che non esiste un terreno comune in cui riconoscersi pur nelle differenti sensibilità, non esistono campi neutri e non esistono soprattutto ruoli di mediazione; sono venute meno le figure, le istituzioni, gli arbitri super partes. Per cominciare, un tempo quel terreno comune si chiamava civiltà, tradizione, religione. Si potevano avere idee differenti, sensibilità divergenti, ma c’era un mondo comune, c’era qualcosa che veniva accettato da tutti come realtà, come natura e c’era qualcos’altro che apparteneva comunque a tutti, tramite il linguaggio, l’uso e il costume delle generazioni, che chiamiamo civiltà. Quel terreno comune è saltato, e per taluni il male della nostra epoca diventa proprio la nostra civiltà, le nostre radici, il nostro modo di essere, o mutatis mutandis la nostra realtà famigliare e personale, quel che siamo in natura. Libertà, per costoro, è liberarsi dalla propria natura, liberarsi dalla propria civiltà e dai suoi pregiudizi. Il progresso è inteso non come sviluppo di ciò che eravamo ma emancipazione da ogni origine, liberazione dal passato, frattura rispetto alla provenienza; conta dove io voglio andare, non da dove vengo né da che mondo comune proveniamo. E qui già salta un primo importante universo condiviso, che pure poteva essere declinato in modi differenti.

Ma il secondo, importante punto di mediazione che è saltato è rappresentato dalle istituzioni, dai media, dai “terzi”. Un tempo si pensava che bene o male, chi più chi meno, e magari ciascuno a suo modo, ma c’erano figure super partes, istituzioni super partes; c’era qualcosa che somigliava all’informazione “obiettiva”, c’era la garanzia della magistratura. Insomma si pensava che esistessero luoghi “terzi” rispetto alle parti in campo e che fosse loro compito tentare una mediazione e dare una garanzia.

Tutto questo è saltato, e la percezione comune rende questo squilibrio ancora più marcato. La mediazione è saltata, e ogni tentativo di concordia e pacificazione, avviene solo se accetti una precisa e non reversibile divisione dei ruoli: loro governano, voi vi opponete; loro detengono il potere, voi siete fuori.

È facile per i Biden di turno mandare ora dal podio di presidente (finora per autoacclamazione, poi vedremo se lo sarà a tutti gli effetti) messaggi di unità al paese e deplorare chi si ostina al contrario a delegittimare il presidente in pectore. Ma fino a ieri, cioè fino a quando c’era Trump al potere, nessuno si ricordava del significato di Stati Uniti: gli avversari, anzi i nemici, non lo riconoscevano come il presidente ma come l’abusivo, veniva delegittimato a ogni sua azione, a ogni suo tweet; hanno tentato l’impeachment per tutti gli anni in cui è stato alla Casa Bianca. E ora, che i ruoli s’invertono arriva il messaggio di pacificazione. Ma chi volete prendere in giro?

Torniamo a casa nostra. Cosa fanno in Italia le grandi istituzioni, la presidenza della repubblica, la magistratura, la grande informazione, le grandi agenzie, se non parteggiare, schierarsi, difendere una parte in campo, attaccare l’altra, stabilire vistosi favori di giudizio? Ogni dichiarazione anche sul piano etico, storico, civile segna l’adesione a una parte in campo, da cui peraltro provengono in larga misura. Lo stesso discorso vale per la Chiesa di Bergoglio: avete mai notato la stessa premura, la stessa attenzione, lo stesso amore paterno sia per i cattolici progressisti che per i cattolici della tradizione, sia per le vittime cristiane che per le vittime nere o migranti? Avete mai sentito la carezza del papa verso chi si riconosce nella Cristianità di sempre e in Dio padre onnipotente, nel messaggio cristiano? La sua umanità ha muri e confini invalicabili verso chi reputa lontani dal suo papato. Può dialogare con un ateo, un cinese o un islamico, un nemico della famiglia, con chi odia la cristianità; ma quando mai ha dialogato con i cattolici in dissenso dalla sua linea, ha proteso la mano?

Insomma, se la situazione è degenerata, se l’odio e il disprezzo non hanno più argini, lo dobbiamo anche al venir meno di quanti dovevano garantire, in condizioni di parità, le parti in campo. E dovevano rappresentare per entrambi un riferimento al di sopra delle parti. Se diventano partigiani anche gli arbitri, la partita poi finisce in rissa e il pallone va in tribuna.

MV, La Verità 12 novembre 2020