Il mondo della musica piange Carlo d’Angiò

NAPOLI – Il mondo della musica piange Carlo d’Angiò, grande innovatore della musica popolare napoletana,

scomparso a 70 anni per una grave malattia. «Ammo pusato chitarre e tamburi/pecché sta musica s’adda cagnà» attaccava così il suo brano forse più famoso, Brigante se more, un incipit che è anche dichiarazione di guerra. Cambiare musica, perché tra gli anglosassoni che dominavano col rock e il funk e i jamaicani col reggae, Napoli patria di civiltà musicale poteva giocarsi la sua partita.
Negli anni della contestazione d’Angiò intuì quindi la necessità storica di fondare un gruppo come la Nuova compagnia di canto popolare e poi i Musicanova. Una rivoluzione iniziata a metà degli anni ‘60 combattuta da Carlo – con quel nome da re – con armi antiche, inossidabili, e sempre attuali: i suoni della tradizione di Napoli e del Sud. La Nccp nasce proprio sotto l’egida del maestro Roberto De Simone, studioso e compositore, e per volontà di d’Angiò, Eugenio Bennato e Giovanni Mauriello, a cui si aggiunsero Peppe Barra, Patrizio Trampetti e Fausta Vetere.

Musicanova
Il progetto Musicanova invece è del ‘76, quarant’anni fa esatti, al quale d’Angiò e Bennato aggregarono Tony Esposito, Teresa De Sio, Robert Fix, Pippo Cerciello, Gigi De Rienzo, Alfio Antico, Andrea Nerone, Francesco Tiano, Aldo Mercurio e tanti altri. La canzone partenopea splendeva di luce, appunto, «nuova», dalle villanelle alle filastrocche dimenticate tra i pizzi montani irpini e lucani. Patrimonio genetico e artistico che non viene mai adulato in maniera filologica ma ricantato e reinventato. Un seme d’oro nel decennio più ispirato della musica cosiddetta moderna.


La primavera in cui io e Carlo d’Angiò componemmo «Brigante se more»

A Bagnoli, periferia industriale di Napoli, passeggiando unna sera lungo il viale Campi Flegrei, ci inventammo, parola su parola, una formula destinata a durare a lungo
di Eugenio Bennato

bennato A Bagnoli, periferia industriale di Napoli, passeggiando una sera lungo il viale Campi Flegrei, ci inventammo, parola su parola, una formula destinata a durare a lungo. Nuova Compagnia di Canto Popolare, il nome da assegnare al gruppo che avevamo fondato nel clima del folk revival di fine anni Sessanta. Fu quella la prima cosa che scrivemmo insieme io e Carlo D’Angiò. Ne seguirono altre, e questa volta non erano più concisi titoli, ma complete ballate e canzoni.

Dopo il progetto Nccp che riguardava la riproposta in chiave contemporanea dei canti della tradizione, eravamo infatti passati a fondare Musicanova, con l’intento di scrivere e diffondere nuova musica nel solco stilistico dei maestri del mondo popolare. Con Carlo ho vissuto l’esperienza rara e irripetibile di creare canzoni a quattro mani, soli con una chitarra e due cuori pulsanti, nel rispetto l’uno dell’altro, senza fare i conti su chi e su quanto ciascuno di noi avesse scritto, con melodie che fluivano fresche e nuove nell’entusiasmo di veder apparire una canzone che un’ora prima non esisteva, e che ora era lì, destinata ad ascoltatori attenti ed esigenti, che ne avrebbero decretato il successo ascoltandola e facendola ascoltare in un meccanismo di diffusione diretto parallelo e alternativo a quello convenzionale dei canali discografici. E così è avvenuto in più episodi, da «Pizzica minore», che introduceva nuove armonie nel mondo della taranta, a «Vento del Sud», composta per il terremoto dell’Ottanta, alla dolcissima «Juzzella», canzone d’amore che diventerà a furor di popolo «Luna calante». Fino a «Brigante se more», che nacque in una serata di primavera del 1979. Toccava a noi dare una voce alla storia negata dell’insorgenza meridionale, rompere con una semplice melodia un silenzio che durava da oltre un secolo, e scrivere quel canto che è diventato un inno, l’inno del Sud cantato da milioni di spiriti ribelli, e vivo ancora oggi.

L’ingegner Carlo D’Angiò ha fatto l’ingegnere per una vita, dalle fabbriche marchigiane di elettrodomestici alle fabbriche automobilistiche di Pomigliano d’Arco, all’Istituto dei motori dell’Università di Napoli, e sui palchi musicali è apparso raramente. Ma il suo ineguagliabile temperamento interpretativo, riportato nelle registrazioni discografiche, ha lasciato un segno indimenticabile. L’artista Carlo D’Angiò, primo fra tutti, ha trasformato con la sua voce i canti antichi della tradizione del Sud in espressioni vive e antagoniste del mondo contemporaneo. L’energia di quella proposta ha conquistato anime e menti, coinvolgendo nuove generazioni e dando avvio a una vera rivoluzione di costume di cultura e di arte.