Luigi Di Fiore ospite al Palazzo Catalano

Luigi Di Fiore ospite al Palazzo Catalano
Annarita Luisi
Cosa è successo nell’Italia post-risorgimentale? A scapito di chi e di cosa il Nord e il Sud sono stati uniti sotto un’unica bandiera? Cosa è stato il fenomeno del brigantaggio? Ce lo spiega Luigi di Fiore, autore del libro “Briganti”, presentato a Castellaneta, sabato scorso

Luigi Di Fiore, giornalista e saggista, autore di “Briganti”, edito UTET, è stato ospite a Castellaneta, in un incontro organizzato dall’Associazione “Amici delle Gravine” che da qualche anno è presente sul territorio castellanetano allo scopo di valorizzare e tutelare l’immenso patrimonio culturale e naturale. “Briganti” sono i racconti della marcia di Carmine Crocco in Basilicata, del massacro di Pontelandolfo e dell’enorme rivolta di Gioia del Colle. Gli anni che seguirono all’Unità di Italia furono caratterizzati dal tentativo di riorganizzazione e omogeneizzazione delle strutture dello Stato attraverso un processo di “piemontesizzazione”. Il neonato Regno di Italia, tuttavia, non riuscì a mascherare troppo le gravi difficoltà politiche che avevano consentito l’unificazione e che, come altra faccia della medaglia, avevano favorito il fenomeno del brigantaggio. L’esercito piemontese è stato dipinto a lungo come un esercito di liberazione per il Sud, invece quei militari si mostrarono fin da subito come una forza di repressione a difesa di una società classista, borghese e perbenista. Visto in questa prospettiva, i briganti non vengono più visti solo come feroci capibanda, ostili e irrispettosi del nuovo Stato ma diventano eroi popolari, rivoluzionari romantici che si oppongono ad una classe di tiranni e oppressori. Testimonianze, verbali di polizia, diari sono il terreno su cui si muove Luigi Di Fiore ripercorrendo le vicende che caratterizzarono il Mezzogiorno negli anni sessanta del XIX secolo, conservando la memoria di uomini, simbolo della lotta e del riscatto di un meridione umiliato e offeso. E allora incontriamo il brigante Carmine Crocco, che con un esercito di affamati e disperati alimentati da un sentimento di rivincita, condusse la sua marcia in Basilicata; Cosimo Giordano che sollevò il Sannio contro i bersaglieri, protagonisti successivamente del massacro di innocenti del paese di Pontelandolfo; e infine Pasquale Romano, detto “Enrico la Morte” che guidò la rivolta di Gioia del Colle che gli costò la vita. “Fu quella l’altra triste ed eterna eredità di una guerra persa dai poveracci, che ha lasciato nelle terre dei combattimenti l’idea dello Stato come un’entità vaga, che sa solo fucilare. Stato nemico, Stato oppressore che non cerca consenso, ma solo ubbidienza con la forza” – sostiene Di Fiore che, tuttavia, nel suo libro non punta il dito solo contro lo Stato postrisorgimentale ma anche contro i “Gattopardi” meridionali, latifondisti e veri autori delle ribellioni che manovrarono per i loro tornaconti, restando alla fine i veri detentori del potere.