Spedizione Garibaldina in Sicilia

DOCUMENTI ITALIANI E AMERICANI SULLA SPEDIZIONE GARIBALDINA IN SICILIA

[1] Questo studio è stato re possibile da un sussidio concessomi dall’Ame­rican Philosophical Society. Mi è grato esprimere la mia riconoscenza a detta Società filantropica.

In un mio precedente studio[1] i occupai del profondo interesse degli Americani per la campagna di Garibaldi per la liberazione delle Due Sicilie. Feci notare che in quella campagna Garibaldi ricevette ingenti aiuti dagli Stati Uniti, che alcuni Americani si recarono in Italia espressamente per arruolarsi nel suo esercito, e che alcune navi mercantili americane furono messe al suo servizio per trasportare i volontari e le provviste in Sicilia.

Inoltre, notavo che in alcune città statunitensi vi furono comizi non solo per esprimere la simpatia del popolo per Garibaldi, ma anche per la raccolta di denari e materiale bellico. La sola città di New York contribuì in armi, denaro e provviste con circa centomila dollari alla causa garibaldina. Lu vittoria del piccolo gruppo di volontari sull’esercito borbonico fu giudicata in America come una delle più grandi imprese negli annali militari, e­ dovunque il Condottiero fu salutato come il Washington d’Italia.  Ulteriori ricerche su questo interessante periodo di storia politica italiana e di relazioni italo-americane hanno rivelato l’esistenza di molti importanti documenti che gettano ancora maggior luce su una delle fasi più significative del Risorgimento.

In una lettera[2] al ministro degli affari esteri, Giuseppe Dabormitda, da San Francisco, California, del 4 novembre 1859, Federico Biosta, presi­ dente del Comitato Italiano di San Francisco per la sottoscrizione a favore delle  famiglie dei  contingenti dell’armata italiana, in nome del Comitato stesso, accluse una «cambiale» di lire sterline 781 sulla Casa bancaria Rotschild di Londra, cambiale che rappresentava l’ammontare delle sottoscrizioni per il summenzionato scopo raccolte in California. A nomo dello stesso Cormitato, il Biesta pregò il Dabormida di far rimettere la citata somma alla Commissione Centrale per l’anzidetta sottoscrizione con sede a Torino, e di volergliene accusare ricevuta. La lettera del Biesta fu trasmessa al Dabormida per tramite del signor D. Davidson, Console di San Francisco, il quale faceva notare che la più gran parte della somma fu data dagli Italiani, ma che anche gli Americani avevano «risposto all’appello». [3]

Frattanto il signor Giuseppe Anfora[4], Console Generale delle Due Sicilie a New York, nel suo «dispaccio n. 28, riservalo», in data New York, 24 novembre 1859,[5] informava il Carafa[6] a Napoli, che prima degli ultimi avvenimenti in Italia, si era stabilita a New York una Società Italiana con lo scopo di sostenere e promuovere i principi liberali nella penisola. Tale Società istituita sotto gli auspici del marchese Giorgio Pallavicino e del generale Garibaldi aveva sospeso le sue operazioni, scriveva l’Anfora, al momento che S. M. l’Imperatore dei Francesi e Re Vittorio si unirono per far guerra all’Austria, Ora che i preliminari di Villafranca avevano deluso in parte le speranze del partito liberale, secondo l’Anfora, la Società si riuniva di nuovo, e i primi a rispondere all’appello furono i signori G. Albinola, Vincenzo Botta, G. Ceccarini, E. G. Fabbri, Calitri, (?) C. Fabbricotti, Guglielmo Gajani, e M. Pastacaldi. Nel dare queste informazioni al Carafa, l’Anfora lo assicurava che non avrebbe mancato di procurare maggiori particolari in proposito, sorvegliando i movimenti della Società, la quale, per altro, essendo l’Anfora, nell’attuale situazione delle cose, «avrebbe esercitato poca o nessuna influenza».

Tre giorni dopo, il 27 novembre, nel dispaccio n. 30[7] in continuazione del suo rapporto n. 28, l’Anfora preveniva il Carafa che la Società Italiana di New York, in una delle sue riunioni, aveva nominato un comitato per la sottoscrizione d’un milione di fucili richiesti da Garibaldi. L’Anfora aggiungeva i nomi degli individui di cui si componeva il Comitato: il generale G. Avezzana, presidente; Domenico Minelli,[8]  P. Piatti, Michele Nanni, professor Achille Magni, G. B. Sanguinetti, G. Gandolfo, eR. Ancarani. Il 13 dicembre 1859, in un altro rapporto (n. 33)[9] l’Anfora informava il Carafa, con una certa soddisfazione, che nella Società italiana, oggetto di antecedenti suoi rapporti, non vi era altro regio suddito che il signor Domenico Minelli, segretario della medesima. Ma l’Anfora dovette aggiungere che i fondi raccolti per la sottoscrizione del milione di fucili erano «già considerevoli». Il colonnello Colt.[10], conosciuto per l’invenzione del revolver cui dette il suo nome, aveva fatto dono al Comitato di cento «superbi fucili». Il 20 dicembre 1859, il signor Michele Pastacaldi, amico di Garibaldi, e membro del Comitato, scrisse al Generale, informandolo del dono dei cento fucili ricordati. «Il colonnello Cole», scrisse il Pastacaldi, «ha fatto un sì bel dono spontaneamente, esprimendo sentimenti della più profonda simpatia per Voi, o Generale, ed augurando alla causa italiana, per la quale è animato della più viva simpatia, un completo e glorioso trionfo».7

Nella sua risposta al Pastacaldi, ringraziandolo per l’invio delle armi, Garibaldi esprimeva la speranza «che il magnanimo esempio farà sentire a tutti i nostri concittadini sparsi nel mondo, che anche lontani, si può efficacemente contribuire alla grand’opera del riscatto italiano». Garibaldi assicurava che quelle armi «saranno impugnate a difendere la causa del popolo».[11]

A Samuel Colt, il generale Garibaldi indirizzava la seguente lettera in francese:

« Noble colonel Colt,

Citoyen adoptif de la grade République, fier d’apartenir à la cause universelle des peuples, j’accepte avec reconnaissance, au nom de mon pays, votre offre bienveillante et généreuse.

L’arrive des vos armes serà saluée parmi nous, non seulement comme l’appui matériel covoyé par un u homme de coeur, à un peuple qui combat pour ses droits les plus sacrés, mais comme le soutien puissamment moral de 1a grande Nation Américaine ».[12]

Da Genova, il 5 febbraio 1860, il generale Garibaldi inviava lo seguente lettera al Comitato Nazionale Italfauo di New York: 3)

«Il Comitato Nazionale di New York. dirigendomi le cento armi da fuoco, dono generoso del colonnello Colt, mi ha onorato con sensi d’affetto e di stima da far insuperbire qualunque uomo d’onore!… Io accetto riconoscente l’encomio – benchè assai superiore al mio merito – e lo considero un omaggio alla sacra causa del nostro paese, piuttosto che all’individuo che brama con tutta l’anima sua di poterla servire una volta ancora.

Ho incaricato la direzione Centrale per il milione di fucili delle polizze, e del ricevimento delle armi suddette quando arriveranno in Genova, e non mi resta che ad esprimere lo più sentita gratitudine per la gentilezza, e patriottica devozione dei signori componenti il Comitato».[13]

Pasquale Massone, il nuovo incaricato d’affari napoletano a Washington, nel suo dispaccio n. 43, in data Washington, 18 marzo 1860 al Carafa[14], dovè ammettere il «rumore» che avevano fatto le lettere del Garibaldi, la prima al colonnello Colt per ringraziarlo dell’offerta di cento fucili che aveva fatto in favore dell’Italia, e l’altra per approvare una recente sottoscrizione per un milione di armi da fuoco, «per rendere la Patria indipendente e libera d’ogni dominazione straniera, a dispetto degli intrighi nefandi della Diplomazia c delle falangi armate dei loro nemici: e per far ciò si richiede tenace costanza di propositi, coraggio civile, e sacrificio, dj danaro… Si deponga dunque sull’altare della Madre Italia il nostro obolo, onde concorrere all’armamento generale del popolo italiano!» Il Massone accludeva un brano «dello sporco giornale italiano» che si pubblicava a New York, contenente un ultimo proclama ai Siciliani, e che «per essere si lungo e sì pieno di paroloni» era certamente contro lo scopo di esso. Aggiungeva il Massone che trovandosi il giorno precedente, ad un pranzo dato dal presidente Buchanan,[15] «si rideva molto di certuni dei convitati sulla prolissità di un tal documento», e concludeva che si trattava sempre delle stesse idee.

Per facilitare l’acquisto di armi da fuoco americane, nel gennaio del 1860, il signor G. Albinola si recava in Italia allo scopo speciale di procurar armi ai governi della penisola e di far loro, a nome del suo committente, signor Colt, quelle condizioni che meglio potevano loro convenire.[16]

Nei primi giorni d’aprile del 1860 Garibaldi ebbe un lungo colloquio con l’incaricato d’affari americano a Torino, John M. Daniel,[17] per sapere se gli Stati Uniti avrebbero dato protezione o aiuto a Nizza nel caso in cui questa si separasse dalla Francia e dalla Sardegna e stabilisse un governo libero e indipendente. Nel suo dispaccio CXLIII, Torino, 10 aprilo 1860, al segretario di Stato Cass, il Daniel notava che lo scopo della visita di Garibaldi illuminava il carattere del Generale, e che egli aveva risposto senza esitazione che

the United States would interfere in no manner witcsuch a matter; and that rhough, I believed it to be the policy of our Republic to recognize all governments that succeded in establishing themselves and that could be regarded as responsible organizations, yet I doubthed whether they would hold any intercourse, even of the most temporary character, wih a mere province in rebellion against powers so much more powerful than itself as to render its immediate subjection olmost a certainty.[18]

Garibaldi gli replicò che si aspettava tale risposta, ma che, data la situazione attuale, riteneva giusto di non trascurare qualsiasi possibilità d’aiuto. Ecco il testo completo della corrispondenza ufficiale fra i Ministri americani a Torino a Parigi al Segretario di Stato a Washington e alcuni consoli americani in Italia; fra l’Incaricato d’Affari napoletano a Washington con il Ministro  degli Affari Esteri a Napoli, e i consoli napoletani  a Nuova York con lo  stesso  Ministro a Napoli.. La corrispondenza è interessante non solo perchè prova ancora una volta l’immenso e altruistico interessamento della grande maggioranza del popolo americano per gli affari politici italiani di quell’epoca, ma anche perchè ci dà un’idea ben chiara della politica francese, inglese e americana nei riguardi delle cose della penisola. Inoltre, la corrispondenza dei funzionari diplomatici e consolari delle Due Sicilie negli Stati Uniti rivela o la loro assoluta ignoranza di quel che avveniva in America per la causa italiana, o la loro mala fede, poichè le informazioni date al go verno napoletano spesso non corrispondevano alla verità. Le lettere particolari a Garibaldi da Italiani e Americani dimostrano la grande simpatia per l’Uomo che lottava per la liberazione del suo popolo dalla tirannide straniera. Per maggiore chiarezza, i documenti sono pubblicati io ordine cronologico.

Howard R. Marraro
Columbia University
New York

John M. Daniel a Lewis Cass
Turin, May 10, 1860, N. CXLVII [19]

Sir: [Annunzia che Garibaldi era partito per la Sicilia con 2200 uomini]…

The greatest danger which Garibaldi has to run is in the passage by sea.. Naples has a considerable number  of vessels of war. Garibaldi’s steamers could stand no chance if they came in reach of them, and though a vessel of passage can outstrip most ships of war in a race of speed, theymight be so headed and surrounded by a fleet that they would have to risk the cannonshot, and a few broadsides would end the affair by sinking the whole expedition in the sea. On the other hand, I am confident that in the last emergency the English or Sardinian squadrons cruising over the same ground would interfere in some way to the advantage oh the expedition. The chances that it escapes the dangers of the voyage are equal. But should Garibaldi effect a Landing, I have no doubt at all as to his success. Should he fuirdy laud, the days of the Bourbon dynasty at Naples are numbered und the separate existence of the Kingdom of the Two Sicilies will soon have place in history alone.[20]

[1]. Howard R. Marraro, American opinion on the unification of Italy 1846-186I, New York. Columbia University Press. 1932.

[2] Archivio di Stato, Torino.

[3] Archivio di Stato, Torino

[4] Giuseppe Anfora dei Duchi di Licignano fu nominato console generale a New York il 10 gennaio 1859, benché la patente reale fosse del 22 ottobre 1858. Dal 24 settembre 1860 al 15 dicembre 1861 fu incaricato d’affari ad interim a Washington, D. C.

[5] Archivio di Stato, Napoli.

[6] In un’altra comunicazione (n. 15, New York, 23 marzo 1860). l’Anfora informava il Carafa che il R. suddito Domenico Minelli di cui egli aveva chiesto la patria, era nativo di Palermo, e che viveva a New York da più di anni, esercitando la professione di maestro di scuola. Archivio di Stato di Napoli.

[7] Archivio di Stato di Napoli.

[8] Samuel Colt (1814-62), di Hartford, in Connecticut, colonnello e noto inventore del «revolver». Si veda Marraro, American opinion, ecc., p. 287.

[9] La Perseveranza, Milano, 16 gennaio 1860.

[10] Ibid.

[11] Ibid.

[12] L’Eco d’Italia. New York, 17 marzo 1860.

[13] La premura di Garibaldi a ringraziare il Comitato Nazionale Italiani di New York si deve, almeno in parte, alla dimenticanza di includere i nomi di New York e Stati Uniti nell’elenco dei nomi imposti ai cannoni». Il corrispondente di Nuova York aveva inviato ina somma che le dava diritto a due cannoni e che nella lettera con la quale accompagnarano il contributo espressero il desiderio che uno di essi fosse chiamato col nome New York, e l’altro con quello d’Italiani agli Stati Uniti. L’Opinione, Torino, 19 febbraio 1860. È interessante notare come anche dopo la spedizione siciliana del 1860, gli italiani d’America continuarono a raccogliere denaro per la causa italiana. Un articolo apparso nell’Opinione di Torino, il 3 aprile 1862, intitolato «cento Cannoni», informava i lettori che i cannoni, tutti di ferraccio, rigati e del calibro di 16, usciti dalla fonderia erano 34, o anche quattro 1, 12, 13, 27 avevano il nome «All’Italiani suoi figli in California».

[14] Archivio di Stato, Napoli. Il cavaliere Pasquale Massone annunziò il suo arrivo in America al Segretario di Stato in una comunicazione del 6 agosto 1859. Chiese il suo passaporto per ritornare a Napoli, il 24 settembre 1860. “Lo sprco giornale” si riferiva all’Eco d’Italia.

[15] James Buchanan, della Pennsylvania, fu presidente dal 4 marzo 1857 al 4 marzo 1861.

[16] Dispaccio del Bertinatti al Cavour, Washington, 11 gennaio 1860. Archivio di Stato, Torino. Il Cavaliere Giuseppe Bertinatti, incaricato d’affari, presentò le sue credenziali il 2 ottobre 1855. Fu promosso al grado di ministro residente il 27 marzo 1861. Il 30 luglio 1864 fu nominato ministro plenipotenziario. Partì dagli Stati Uniti l’8 giugno 1866.

[17] Archivio Ambasciata americana, Roma. John M. Daniel, della Virginia, fu nominato incaricato d’affari il 23 luglio 1853. Fu promosso al grado di  ministro residente il 29 giugno 1854. Durante questo periodo il Daniel, per la sua condotta privata, era diventato persona non gradita alla Corte sarda. Difatti, Pasquale Massone ne dava notizia al Carafa nel dispaccio n. 59, Washigton, 24 aprile 1860, in queste parole: «…l’attuale Ministro americano presso la Corte di Sardegna, signor Daniel, è colà poco ben veduto pel suo carattere poco delicato, essendosi sempre ricusso di andare in corte, pretendendo di presentarsi in abito nero, e menando sempre una Dama, molto colà conosciuta e con la quale convive palesemente. Di tal chè il conte Cavour ne scrisse particolarmente a questo suo incaricato d’affari, perché rendesse di ciò informato questo Gabinetto, e n0ebbe in risposta che se la comunicazione fosse stata fatta officialmente, il richiamo del signor Daniel avrebbe potuto aver luogo immediatamente. Non essendovi stati ulteriori ordini da parte del ministro Cavour le cose erano rimaste dive si trovavano». Archivio di Stato, Napoli. Come si è notato, il Daniel fu richiamato nel marzo 1861.

[18] «gli Stati Uniti non interferirebbero in alcun modo con una questione del genere; e ciò nonostante, credevo fosse politica della nostra Repubblica riconoscere tutti i governi che riuscivano a costituirsi e che potevano essere considerati come organizzazioni responsabili, tuttavia dubitavo che avrebbero intrattenuto rapporti, anche di carattere più temporaneo, con una mera provincia in rivolta contro potenze tanto più potenti di essa da rendere quasi certa la sua immediata soggezione».

[19] Archivio Ambasciata americana. Roma

[20] «Il maggior pericolo che deve correre Garibaldi è nel passaggio per mare. Napoli ha un numero considerevole di vascelli da guerra. I piroscafi di Garibaldi non avrebbero alcuna possibilità se li raggiungessero, e sebbene una nave di passaggio possa superare la maggior parte delle navi da guerra in una corsa di velocità, potrebbero essere così diretti e circondati da una flotta che dovrebbero rischiare il cannone colpo, e poche bordate avrebbero posto fine alla faccenda affondando l’intera spedizione in mare. D’altra parte, confido che nell’ultima emergenza le squadriglie inglesi o sarde in crociera sullo stesso terreno interferirebbero in qualche modo a vantaggio della spedizione. Le possibilità che sfugga ai pericoli del viaggio sono uguali. Ma se Garibaldi effettuasse uno sbarco, non ho alcun dubbio sul suo successo. Dovrebbe essere lodato, i giorni della dinastia dei Borboni a Napoli sono contati e l’esistenza separata del Regno delle Due Sicilie avrà presto posto solo nella storia».

SULLA SPEDIZIONE GARIBALDINA IN SICILIA[1]

[1] Questo studio è stato re possibile da un sussidio concessomi dall’Ame­rican Philosophical Society. Mi è grato esprimere la mia riconoscenza a detta Società filantropica.

indicato da Domenico Anfora e curato da Vincenzo Giannone

Posted by altaterradilavoro