Intervista a Enzo Di Brango

150° anniversario della nascita di Gaetano Salvemini. Intervista a Enzo Di Brango

14.09.23 – Andrea Vitello

(Foto di Il Ponte)

L’8 settembre 1873, 150 anni fa, a Molfetta nasceva Gaetano Salvemini –  storico, politico e antifascista – ma soprattutto uno dei maggiori intellettuali italiani del suo tempo. Visto l’importante anniversario abbiamo deciso di intervistare Enzo Di Brango, scrittore e collaboratore dell’edizione italiana di “Le Monde Diplomatique”, autore di “Un’Insolente Eresia. Salvemini e gli anarchici: le convergenze della diversità”, edito da NOVA DELPHI. Nel libro, un saggio storico, l’autore analizza il duraturo rapporto tra Salvemini e alcune componenti anarchiche che si andò sviluppando a partire dagli anni venti del novecento. Il tutto attraverso gli articoli e i saggi, che Salvemini pubblicò nelle riviste libertarie “Volontà” e “La Controcorrente”.

Cosa l’ha spinto a scrivere questo libro?

Considero Gaetano Salvemini l’intellettuale che ha avuto l’influenza maggiore sulla mia formazione culturale. Non sono molti i miei scritti nei quali non compare Salvemini. Pensi che in un mio romanzo storico del 2019 l’ho reso tra i protagonisti della vicenda (anche perché lo fu) ricostruendo parti della sua vita privata in quel di Boston quando insegnava all’università di Harvard. Un’insolente eresia è il mio tributo allo storico, al politico, al Maestro. Un argomento poco trattato; del resto non poteva essere che così dal momento che su Salvemini esiste tanta bibliografia e, con un pizzico di presunzione, direi “troppa”.

Il suo libro è diverso rispetto agli altri libri che possiamo trovare sulla vita di Gaetano Salvemini. Cominciando proprio dal titolo e dalla quarta di copertina, perché definisce Salvemini “maestro degli eretici”?

Mai l’eresia ha avuto accoglienza pubblica. Nella nostra epoca, poi, la conventio ad exludendum è ancora più sottile e perversa. I media sono ormai concentrati in pochissime mani, cosa che genera un’informazione monca che autorizza viepiù a considerare inesistente qualsivoglia pensiero alternativo. Per non parlare delle concentrazioni editoriali che oltre alla “voce del padrone” devono rispondere anche alla “voce del mercato”, per cui l’opinione di una “famosa show girl” sui lamellibranchi uniformi del Mediterraneo risulta molto più evidente di quella di un biologo marino. Invece il pensiero cosiddetto eretico, in tutte le sue forme, risulta spesso ancora molto attuale, vivace e, quindi, meritevole di attenzione. Da frà Dolcino a don Luigi Ciotti c’è un filo ininterrotto di modelli di pensiero nel quale è possibile inserire tutto il settore eretico filosofico-politico. Alla “scuola” di Salvemini possiamo attribuire molte delle idee sulla libertà e la democrazia di personaggi ingiustamente condannati all’oblìo; non solo gli anarchici Berneri e Borghi, ma anche i libertari come Andrea Caffi e Nicola Chiaromonte, solo per citare gli intellettuali del ‘900 ai quali mi sento più vicino.

Che tipo di rapporto aveva Salvemini con gli anarchici?

Salvemini non ha avuto un carattere semplice. Chiunque lo abbia letto, anche solo superficialmente, si è potuto rendere conto di quanto l’uomo e l’intellettuale non sia stato mai indulgente nei confronti della supponenza, della presunzione e del potere esercitato con metodi coercitivi. Questa sua indole ha fatto sì che i suoi nemici si moltiplicassero nel tempo ma che nello stesso tempo le amicizie vere si fortificassero. Questa sua cristallina schiettezza non poté non essere percepita che simpaticamente dal mondo libertario – soprattutto  quella parte non eccessivamente dogmatica – che si tradusse in una sorta di scuola di pensiero “per corrispondenza” ante litteram. Personaggio curioso (come sono del resto tutti gli intellettuali di razza) riuscì a trasformare i rapporti dialettici anche in forme di amicizia durature. Camillo Berneri fu suo alunno all’università di Firenze e con Salvemini si laureò discutendo una tesi a tema pedagogico. Ovviamente, per quel che si è detto prima, il rapporto tra i due, iniziato come un normale rapporto tra relatore e laureando divenne un rapporto amichevole e, visti i tempi che si trovarono a vivere, anche di solidarietà politica nel nome dell’antifascismo. Con Armando Borghi l’amicizia si creò negli Stati uniti quando Salvemini (con Arturo Toscanini e suo figlio Walter) avviò una campagna di solidarietà con l’anarchico romagnolo vittima di un arresto immotivato. Borghi gli fu affezionato così tanto che lo ritroveremo al capezzale dello storico pugliese nel giorno della sua morte.

Nel paragrafo “Geopolitica e pacifismo” racconta di un Salvemini contrario alle sempre maggiori spese militari, che ammonisce gli stati europei poiché stretti tra i due colossi la Russia sovietica e il sistema anglo – americano. Le critiche di Salvemini sono più che mai attuali, basti vedere i continui aumenti della spesa militare italiana nella Nato e la crisi in Ucraina dove da una parte abbiamo la Russia e dall’altra gli USA, mentre l’Unione Europea è sembrata in confusione e soprattutto, durante gli otto anni di guerra civile in Donbass, non ha saputo svolgere un ruolo di intermediario diplomatico per evitare che il conflitto si espandesse. Cosa penserebbe Salvemini, dell’attuale situazione, visti i suoi scritti?

Nell’immaginario collettivo, almeno tra coloro che di Salvemini qualcosa ne sanno o, per lo meno ne hanno letto qualche scritto, la figura dell’intellettuale pugliese viene spesso associata alle politiche meridionaliste e, successivamente, all’antifascismo militante. Se è vero che per la scarsa attenzione verso i problemi del Sud Salvemini abbandonò il Partito socialista (1911) e se è altresì vero che per la sua smisurata coerenza abbandonò sia la cattedra di professore di Storia a Firenze e la stessa Italia a metà degli anni ’20, il suo impegno pacifista viene spesso trascurato. Sono contento che Lei lo abbia invece rilevato ponendomi questa specifica domanda. Le riflessioni di Salvemini a cui fa riferimento si inquadrano interamente nel suo sistema logico di processo mentale, quel sistema che tra gli studiosi viene definito “problemismo salveminiano”. Un processo semplice e complesso allo stesso tempo che consiste nel tener presente tutte le componenti di un unico problema ed analizzarle separatamente per poi raggiungere una tesi conclusiva che tenga conto della questione nel suo insieme. Appare fin troppo lapalissiano che all’indomani della conclusione della II guerra mondiale le forze in campo siano così ben definite che, armare l’esercito italiano ed impegnare per questa operazione molte risorse economiche quando il paese è un cumulo di macerie e sono in molti a patire la fame è azione non solo stolta ma anche perversa. Così come Salvemini individuava priorità diverse dalla corsa agli armamenti, auspicava anche un’Italia neutrale tra i due blocchi che, fino almeno alla caduta del muro di Berlino, dominavano il resto del mondo a prescindere dalle potenzialità belliche di ciascuno dei paesi satelliti. L’Italia (e l’Europa) persero all’epoca un’occasione unica per ritagliarsi un ruolo confacente alle aspettative di pace dell’umanità e la storia di questi ultimi ottant’anni è costellata di derive belliciste che ci saremmo potuti evitare con un protagonismo attivo in materia di pace nel mondo.

Salvemini, come lei ben spiega, era per il federalismo europeo, per la pace e l’antimperialismo. Purtroppo siamo ben lontani da “Gli Stati Uniti di Europa” e “Gli Stati Uniti del Mondo”, e ancora di più dall’eliminare la guerra. Tuttavia quanto pensa sarebbe importante, soprattutto in un momento storico come questo, riscoprire un pensiero che potrebbe sembrare rivoluzionario come quello di Gaetano Salvemini?

Oltre al tributo personale al “mio” Maestro, una delle intenzioni – nemmeno celate – del mio volume è provare a infilare un cuneo in quel pericoloso pensiero unico che domina la quotidianità, tra programmi televisivi spazzatura, giornali dalla voce del padrone unico, e altri divertissement-diavolerie che scopriamo quotidianamente. So che si tratta, in larga parte, di velleitarismo, ma bisogna comunque che qualcuno lo faccia per tenere accesa la fiamma del pensiero critico autonomo. Formalmente siamo tutti contro la guerra ma poi vediamo oggi moltitudini di personaggi, come sulla curva di uno stadio, dividersi pro Russia o pro Ucraina. E non è solo questo il dramma, il vero problema è che (se ottieni udienza) e provi ed esporre un’analisi “problemista” così come ha ben fatto lei nella domanda precedente, alludendo agli otto anni di guerra civile nel Donbass (praticamente rimossi in qualsiasi contraddittorio), vieni subito catalogato fra le due “sole” categorie che il pensiero unico ammette. Ecco riscoprire la possibilità di pensare in autonomia sapendo che – e vale soprattutto per le giovani generazioni – gli strumenti coerenti di approfondimento ci sono ed è anche facile trovarli. Ai tempi della mia gioventù era tutto terribilmente più complicato, legato a consigli di difficile reperimento e a strumenti non alla portata di tutti; oggi è tutto più semplice, ma parrebbe, per citare Brecht, che si tratti della “semplicità difficile a farsi”. Gli Stati uniti d’Europa saranno possibili solo se si terrà conto dei popoli, degli esempi concreti di comunità che la storia – soprattutto quella italiana – nel tempo ci ha consegnato e che oggi sono riproposti da diversi intellettuali e ne cito uno per tutti: Murray Bookchin. Leggendo i suoi libri ritrovo, attualizzato in maniera brillante, il pensiero di Carlo Cattaneo che così tanto influenzò il federalismo democratico di Gaetano Salvemini.

andrea-vitelloAndrea Vitello
Andrea Vitello è nato nel 1992 a Empoli in provincia di Firenze, dove vive. Si è laureato in filosofia e in scienze storiche all’Università di Firenze. Ambientalista e pacifista da sempre. Segue e si interessa di politica da molto tempo con particolare attenzione ai diritti umani. E’ stato capo ufficio stampa del Filosofestival, il festival della filosofia di Firenze. Ha contribuito a l’Enciclopedia dei Giusti di Gariwo la foresta dei Giusti, fondazione con la quale collabora. A febbraio 2022 è uscito il suo libro “Il nazista che salvò gli ebrei. Storie di coraggio e solidarietà in Danimarca” (Le lettere, Firenze). Il libro ha la prefazione di Moni Ovadia e la postfazione di Gabriele Nissim, Presidente di Gariwo. Scrive su Ecologica.online e Pressenza.

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