Quel Fiore lo conoscevo bene

Cari amici e lettori, scusatemi l’insistenza sull’opera neonata, La leggenda di Fiore. Ma prima di raccontarvi come ho incontrato Fiore vorrei dirvi che reputo molto importante questo romanzo spirituale, non solo per me, che la considero quasi il completarsi della mia opera. Penso che sia una boccata d’ossigeno in un clima irrespirabile, non solo per via del covid. Perciò l’affido nelle vostre mani e ai vostri cuori intelligenti… 👇

 
Quel Fiore lo conoscevo bene

Nel nuovo libro di Marcello Veneziani il protagonista attraversa esperienze sorprendenti, fa incontri decisivi, conosce sia l’amore sia la sua rinuncia. E la vita di un «illuminato». Eppure nel suo percorso si riconoscono elementi familiari (papi che si dimettono dal loro soglio, epidemie che tolgono it respiro). Una biografia straordinaria in cui si ritrovano, magistralmente, elementi delle esistenze di tutti. Qui la firma di Panorama presenta in esclusiva it suo personaggio ai lettori (da Panorama n. 15).

In una sera stellata di primavera conobbi Fiore. Arrivò con una lieve brezza di vento, si sentiva nell’aria un profumo di viole e mi parve come uno Zarathustra, un Siddharta, o un San Francesco. Era vestito con una tunica rossa, i sandali e un cappello a forma di cono, portava un bastone e al polso aveva una corona del rosario. Distante da lui lo seguiva un daino. Aveva lo sguardo penetrante di Padre Florenskij, quel fiore russo di santa sapienza, e la sua rada barbetta; nei suoi occhi scintillavano al sole due granelli dorati.

Fiore era un avventuriero spirituale, in cammino verso l’Oriente, traversando mari, terre, deserti e altipiani, da sud a sud. Era il settimo e ultimo figlio, tardivo, di una famiglia che viveva d’agricoltura. Dopo un’infanzia alla luce del sole e un’adolescenza di mare e di terra, di scoperte e di studi, non a scuola, Fiore lasciò la casa famigliare senza più farvi ritorno. La lasciò con dolore, ma per lui il miglior modo per tener vivi gli amori è coltivarli nell’assenza, da lontano, conservando il loro prezioso ricordo che resta inalterato nella distanza. Visse per tutta la vita il dono della nostalgia.

Fiore viaggiò per il mondo, dall’Isola delle Donne all’Oriente dove visse a lungo spingendosi fino all’estremo, e poi navigò fino al più lontano Occidente; cavalcò asini e cavalli, cammelli ed elefanti e soprattutto cavalcò la tigre per non essere sbranato; abitò nel paese Senzanome e sugli altipiani, ebbe incontri con figure speciali: nella terra estrema del tramonto incontrò un ex-papa, “il santo padre che volle farsi fratello”, dimessosi come il suo predecessore e ritiratosi nella foresta del sud. Con lui ebbe un dialogo serrato sulla fede cristiana. Nel suo cammino Fiore dispensò versi, pensieri, precetti e trovò perfino seguaci, anche se riuscì a seminarli perché non voleva discepoli.

La svolta della sua vita avvenne dopo un’epidemia nella lunga navigazione, che lo portò sul punto di morire: restituito alla vita, Fiore fece un patto con l’angelo. Durante una crisi respiratoria, capì perché respirare ha la stessa radice di spirito. Da lì cominciò, dopo il risveglio in convento, la sua ricerca dello Spirito e del Fiore d’oro, come gli era stato insegnato in Oriente da un monaco monocolo, detto il Rinoceronte.

Dal priore del convento dove fu soccorso, Fiore ebbe in consegna il libro segreto di Gioacchino da Fiore, citato da secoli e mai ritrovato: il De Unitate seu essentia Trinitatis. L’eremita dei sette sigilli aveva annunciato la salvezza con l’avvento dell’età dello spirito: tramontata l’età del Padre, che fu l’antichità, eclissata l’età del Figlio, che fu la modernità, prima cristiana e poi tecnologica, verrà l’età dello Spirito santo, l’età dell’essere in cui confluiscono tutte le visioni metafisiche e religiose e cessa il culto dell’io. Sulla tomba di Gioacchino ebbe la rivelazione, il vero significato dell’apocalisse.

Cominciò allora la sua vita nuova, andò a vivere in un trullo, smise gli abiti normali, visse da santo e da asceta, tra digiuni di cibo e di parole. Suonava uno strano strumento amato da Gioacchino, il salterio, a dieci corde; praticava l’alchimia ma non voleva farlo sapere, captava il canto delle stelle, pregava, parlava coi morti, rideva con gli dei, brillava al buio e secondo taluni, quando esponeva la sua visione, si sollevava da terra. Ma lui risolutamente negava queste dicerie fantasiose. Scrutava nel futuro con un caleidoscopio sferico e riviveva il passato attraverso un album di ricordi: erano per lui i tappeti volanti per viaggiare nel tempo. Indossava una tunica scura, di lana pesante, per l’inverno; una tunica rossa, di lana leggera, per la primavera; una tunica bianca, di lino, per l’estate.

Fiore s’innamorò di tre donne nella sua vita, una da ragazzo nell’Isola delle donne, l’altra in Oriente ed era folgorante come il cinabro che gli donò; l’ultima in età avanzata, che fioriva i davanzali del suo trullo e accarezzava i fiori. Solo molti anni dopo scoprì di aver avuto da loro tre figli che andranno infine a trovarlo, turbando la sua vita da eremita.

Ebbe una vita pensierosa e una morte spensierata. Morì sorridendo, mentre il suo bastone fioriva. La sua vita si concluse dolcemente nello stesso giorno in cui era iniziata, a cavallo fra la fine e l’inizio dell’anno. Per curiosità, cercai quando fosse il giorno di san Fiore: era proprio il 31 dicembre, nascosto sotto il più famoso San Silvestro. Questa coincidenza mi spinse a conoscere meglio la sua storia e seguire le sue tracce. Vissi in simbiosi con lui. Raccolsi la sua leggenda ma fui latore, non autore, del suo romanzo spirituale; trovai alla fine delle pagine, tra l’ultima e l’indice, un fiore secco ma integro, come quello che lui aveva trovato nel libro segreto di Gioacchino da Fiore. Di Fiore in Fiore.

L’incontro con Fiore cambiò la mia vita, penso che trasformerà quella di molti che vorranno conoscere la sua leggenda e magari seguirlo nel suo cammino.

MV