Una settimana da raccontare…

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Una settimana da raccontare…ovvero la Settimana Folkloristica: le origini.

Ogni anno, da più di una decina di lustri ormai, si ripropone  l’ennesima edizione della Settimana Folkloristica di Pontelandolfo, rigorosamente con la “k” inglese, anche se la traslitterazione italiana ne consentirebbe la sostituzione con la “c”. Evidentemente nella mente dell’ideatore(e che ideatore!!!) vi era la recondita prospettiva di rendere la manifestazione, di respiro  internazionale, a ragion veduta e col senno di poi, in una crescita progressiva. Il bilancio complessivo è stato altalenante, per le varie vicissitudini intervenute. Oggi quel desiderio sembra essere declinante ancorchè non si arrenda al suo destino, grazie alle persone che comunque vi si dedicano. Sarà l’incedere dei tempi, le modifiche economico-sociali, ma tant’è, senza infamia e senza lode per tutto e per tutti. Questo è Pontelandolfo e questa è la sua gente nel bene e nel male! Poi si potranno condividere o meno certe scelte, ma quello che conta è pensare che quelle persone “donano un po’ del loro tempo alla comunità” e non vi è nessuna preziosità al mondo che possa ripagare quelli, del loro tempo donato agli altri. Un assunto che vale per tutte le cose della vita, a prescindere, ma che spesso si dimentica, perché la riconoscenza è solo per le persone di specchiata intelligibilità.

L’ideatore della Settimana Folkloristica fu l’allora parroco di Pontelandolfo, Don Emilio Matarazzo da Foglianise. L’ispirazione del nome gli venne mettendo insieme due tradizioni locali: la prima, fu quella di rendere più funzionale al richiamo turistico le tante festività che animavano la comunità nel corso della stagione estiva a dedizione dei tanti santi patroni e compatroni; la seconda legata alla valorizzazione della cultura locale e in primis del gruppo folkloristico che aveva riscoperto e rilanciato. Si arrivò alla Settimana, perché prima del 1964, anno della prima edizione, Pontelandolfo cadenzava i suoi festeggiamenti con le celebrazioni degli otto santi venerati in Chiesa e con le strade che pululavano di gente raccolta tra le fiere e le varie processioni. Oggi tutto questo non si vede più come una volta, vuoi perché sono dimunite le occasioni processionali per i santi non più celebrati come nobili decaduti, ma anche per l’emorragia sociale in corso che l’emigrazione ha decimato ed in parte perché evidentemente il richiamo, la dedizione, non sono più quelli di un tempo fa. Negli anni dell’avvio della celebrata Settimana Folkloristica, si emigrava soprattutto per necessità economiche, in quanto le condizioni locali non erano in grado di soddisfare le aspirazioni e i desideri di tutti i compaesani. Gli Stati Uniti, il Canada e l’Australia erano i porti di approdo dei nostri compaesani con la mitica valigia di cartone allacciata dagli spaghi e con il cuore in gola. Quella nostalgia se la portavano sempre con loro, tanto che in quelle terre lontane nascevano associazioni di conterranei con lo scopo di rivivere la vita che si erano lasciati alle spalle. In quei tempi si emigrava per mettere insieme un po’ di fortune con la prospettiva di ritornare al paesello, magari per costruirsi una casa per la vecchiaia. Tante volte si lasciavano al paesello mogli(vedove bianche) e figli, con la consapevolezza sempre del ritorno. Nel corso degli anni erano tante le occasioni per ritornare: il Natale, il Carnevale per il formaggio e l’estate per le feste. Quelle prospettive, poi, purtroppo sono cambiate: si emigra e si resta lì dove si è approdati, mentre i ricordi restano solo nostalgie riposte in quella valigia di cartone. E quello che è più grave, rispetto al passato, sebbene vi siano ragioni di sottordine economico, perdiamo le risorse migliori e soprattutto intellettuali e la comunità continua a depauperare l’enorme patrimonio umano e culturale. Come fare per richiamare le pecore all’ovile? Mi preme ricordare un aforisma del Dalai Lama che ben risponde al quesito e si sposa con gli obiettivi che si era dato Don Emilio all’epoca e che sono tragicamente più validi ancora oggi:”Dona a chi ami, ali per volare, radici per tornare e motivi per rimanere”! Il discorso si fa interessante e si snoderebbe in tanti rivoli che si ricompongono in un unico letto fluviale che riprenderemo nel prosieguo.

Dando un minimo di contemporaneità ai fatti ed ai personaggi di questo racconto, ho trovato delle affinità elettive col grande successo di Alfredo Antonio Carlo Buongusto, in arte Fred Bongusto, Tre settimane da raccontare. Svelato il perché di questo titolo per raccontare di una nostra tradizione verace, parafrasando un testo mitico scritto da uno dei parolieri più grandi del panorama musicale italiano; quell’Alberto Testa autore di successi anche internazionali come Quando, quando,quando con Tony Renis, o il Grande,grande,grande scritto per Mina e così via. Il mio scrittore elettivo per fede e capacità, Massimo Gramellini, lo ha definito il poeta della triplice ripetizione ed è per questo che le settimane da raccontare divennero tre. Affidare poi quella canzone a Fred Bongusto, campobassano di nascita(1935) con parenti a Morcone,ma pur sempre un sannita pentro, fu un’intuizione geniale e ci rende fieri. Il nostro cantante confidenziale per eccellenza ne fece un successo indimenticabile qualche anno più tardi (1973) dalla nascita della nostra, di settimana da raccontare.Del resto tutto ciò ben si coniuga con l’argomento che trattiamo. In fondo i festeggiamenti si celebrano con i cantanti, le canzoni e la musica. I brillanti sparsi sono i nostri santi da celebrare e la Settimana venne fuori uscendo come Venere da un’onda grazie a Don Emilio.E nel corso degli anni è stata bella da far rabbia ai rivali di sempre, ancorchè più avanti solo nel tempo.

Nel corso del 1960, inizio del decennio del boom economico e demografico,viene eletto sindaco di Pontelandolfo il Cav. Roberto Perugini mentre a Morcone si celebra già la IV edizione dell’Estate Morconese ed il 15 di agosto ospitano Aurelio Fierro, Betty Curtis, Nunzio Gallo e Grazia Grevi. La citazione è opportuna e prodromica a quanto diremo più avanti. L’Arcivescovo di Benevento era S.E. Agostino Mancinelli che venne affiancato come coadiutore da S.E. Raffaele Calabrìa, proveniente da Otranto con diritto di successione. A Pontelandolfo si erano celebrate le feste singole con ognuna il proprio comitato festeggiamenti. Si cominciava il 7 e 8 maggio con San Michele Arcangelo e San Nicola di Bari, poi si proseguiva col patrono Sant’Antonio di Padova il 13 giugno; poi venivano il S.S.Salvatore e San Donato il 6 e 7 agosto; il 16 agosto seguiva San Rocco con la celebrazione del Palio di Pontelandolfo; la Madonna degli Angeli la seconda domenica di settembre e si finiva il 7 ottobre con la Madonna del Rosario. Ad ogni festeggiamento corrispondeva una fiera ed una processione. Lì dove i santi erano contigui nei festeggiamenti uscivano insieme nella processione lungo le strade di Pontelandolfo. Le uniche processioni che non avevano festeggiamenti dedicati erano quelle di Santa Rita da Cascia, del Corpus Domini e della Via Crucis col Santo Sepolcro nella Settimana Santa(sembra una ventura per la nostra comunità, quella della settimana).In occasione della processione di San Donato, il santo andava a prendere nella sua Cappella, San Rocco per portarlo alla Chiesa Madre, per farvi ritorno il 16 di agosto. L’altra particolarità era la processione della Madonna del Rosario che chiudeva tutti i festeggiamenti e le fiere locali, in quanto tutti i santi venerati uscivano insieme in processione le strade del paese a guardia della Madonna. Oggi tutto questo non sarebbe possibile per mancanza di portantini e di materiale umano. E’ stata aggiunta il 13 maggio, la processione della Madonna di Fatima, mentre sono stati mandati in pensione San Michele e San Nicola, nobili decaduti.

Il 19 agosto 1960 venne rappresentato il Dramma Sacro di Santa Giocondina col Prof. Michele Rossi nei panni del padre-senatore Merio, Pellegrino Santopietro in quella dell’Imperatore, il mitico Mastro Giuseppe Rinaldi, più comunemente noto come Peppino Zrlin’nei panni del diavolo, e, infine, Maria Forgione nei panni della Santa. Fu un trionfo, nonostante sette atti e 4 ore di durata. In quel tempo si facevano due rappresentazioni: una, diciamo, tarda mattutina e l’altra serale. La tradizione voleva che si celebrasse questo dramma sacro ogni sette anni. Quindi la precedente doveva essere del 1953, mentre la successiva doveva essere fatta nel 1967. Qui vi sarebbero tanti aneddoti da raccontare, ma questo è un altro film che speriamo di raccontare in altra occasione. Si racconta,invece, che lo spigoloso Don Emilio aveva avuto un animato confronto con il Diavolo di Santa Giocondina, a suo dire troppo veritiero e troppo diavolo, per essere solo un’interpretazione. Si sapeva che uno dei miei precettori di ideali pontelandolfesi, il mitico Peppino era comunista acclarato e dichiarato e forse per questo richiamato all’aspro confronto dal Parroco, salvo poi rispettarsi successivamente come era solito fare Don Emilio che sapeva riconoscere i meriti delle persone e chiedergli scusa senza infingimenti. Comunque l’episodio in questione ci torna utile per stabilire che il nostro personaggio era divenuto Parroco di Pontelandolfo in quell’anno, salvo errori ed omissioni. La certezza che fosse già a Pontelandolfo nel 1961 ce l’abbiamo dalle cronache giornalistiche del tempo. Fu un anno particolare il 1961, in quanto oltre a celebrarsi il Censimento della Popolazione che registrò 6217 abitanti per Pontelandolfo, una delle punte demografiche, ancorchè non assoluta, di residenti, era anche il centenario dell’Unità d’Italia e dell’eccidio della Città Martire. Fu l’anno nel quale giurava presso  il Tribunale di Benevento il neo-avvocato Pasqualino Vessichelli ed “Il Mattino” scriveva il martedì 8 agosto di quell’anno:”E’ un paese Pontelandolfo che, specialmente nelle belle giornate di primavera e d’estate sembra accogliere con un ampio sorriso sulla bocca i forestieri…” e nel corpo dell’articolo si dichiarano i 12000 raggiunti in quel di Waterbury in USA per effetto della migrazione. E mentre s’innalza il muro di Berlino, a Telese il 22 agosto viene presentato il film di Mario Camerini “Briganti Italiani”, l’Italia politica tenta di consolidare le libertà democratiche nell’anno del centenario dell’Unità. Il 1962 purtroppo per la nostra comunità divenne un anno tragico perché il 22 agosto vi fu un grave terremoto che distrusse gran parte del paese, si aggrava la crisi dell’artigianato che sosteneva il tessuto economico, letteralmente e metaforicamente, dando un nuovo grande impulso all’emigrazione. Il fenomeno fu talmente sentito che nel giro di un decennio Pontelandolfo perde più di 2000 unità, riducendosi a 4279 abitanti,pari al -31,17%.Don Emilio parte e va negli Usa per racimolare un aiuto dai compaesani per aiutare la popolazione locale e ricostruire la Chiesa Madre che aveva subito gravi danni dal terremoto. Nell’agosto del 1963 venne inaugurata la ristrutturata Chiesa Madre, il nuovo asilo che il sottoscritto sotto la direzione di Suor Concetta frequentò. L’opera di aiuto e di ricerca di Don Emilio fu infaticabile in quegli anni ed il fascino che la nostra cultura esercitò su di lui fu decisiva. Ed Il Mattino del  6 agosto del 1963 titolò:”All’ombra di un tiglio che non esiste più…rinasce il Folclore a Pontelandolfo”.Don Emilio aveva rifondato il Gruppo Folkloristico col nome di La Torre, prendendo il simbolo di questa comunità.

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NICOLA DE MICHELE

 

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