Brigante per gelosiia

Le Rubriche della Meridionalità | Uomini e Donne del Sud (14) BRIGANTE PER GELOSIA.
di Valentino Romano (*)

Tuoro di Sessa Aurunca, ottobre del 1863

Molte furono le cause del darsi alla macchia, all’indomani dell’unificazione del Paese, di migliaia di contadini nelle terre del Sud. Ma, amici, tranquilli: non m’imbarcherò qui nella querelle sull’argomento che contrappone le tante scuole di pensiero; troppe sono, infatti le pubblicazioni che (molto spesso con inutile sciupio d’inchiostro e carta) si affannano a promuovere or l’una or l’altra tesi, perché possa lontanamente pensare di affliggervi sull’argomento anche io. Ognuno può scegliersi con comodo quella che vuole, da solo. Oggi io ve ne propongo una che tanto singolare – per chi frequenta gli archivi – non appare: le gelosie d’amore. Non ci credete? E, allora, state a sentire!
Pasquale Perrotta è un contadino ventiquattrenne di Tuoro: come tanti giovani della sua età ha una ragazza con la quale progetta d’impalmarsi. A spiegarcelo è proprio lui, nel corso di un suo interrogatorio: “… io amoreggiava con la nubile mia compaesana Gaetana Esposito”. È un ragazzo tranquillo, senza grilli per la testa, lavora duramente nei campi e si tiene prudentemente lontano dalla tempesta dei tempi. Insomma la pubblica Autorità non gli può addebitare alcunché; epperò Pasquale nel giugno del 1863 si dà improvvisamente alla macchia e incoccia nella banda di Francesco Tomasini che lo arruola: con una dozzina di briganti, sopravvivendo alla giornata, si dirigono verso Caspoli. Qui incontrano la banda di Ciccio Guerra (il marito della più famosa Michelina Di Cesare) che li aggrega alla sua formazione.
Guerra, che scorre la campagna autonomamente, ma unendosi spesso con Fuoco e Pace, si muove lungo il confine tra l’ex Regno delle Due Sicilie e lo Stato Pontificio, operando nel primo e rifugiandosi nel secondo. È vita dura quella alla macchia, la latitanza rende particolarmente costosa ogni cosa, dall’approvvigionamento dei viveri alla complicità dei fiancheggiatori. E Ciccio Guerra si arrangia come meglio può: così, una decina di giorni dopo l’arruolamento della banda di Tomasini, dice “di volersi indennizzare di ducati mille e duecento che aveva speso – depone Pasquale – per il nostro vitto”. Il che, naturalmente può avvenire solo se Tomasini e compagni commettono qualche “piccolo furto”: questi, però sono solo poveracci travolti dalle circostanze, non autentici briganti e se la svignano con il pretesto di “visitare i nostri parenti”…
Così Pasquale e gli altri continuano a girovagare per le campagne e, in cerca di cibo, l’otto settembre cercano di penetrare in un casolare di Fontanafredda; ma la casa è vigilata e sono costretti a fuggire. Per giunta, Pasquale si ammala ed è costretto a rifugiarsi in una grotta vicino a Tuoro. Decisamente la vita brigantesca non fa per lui e per questo nell’ottobre si costituisce al locale Delegato di Pubblica Sicurezza.
Per lui si aprono le porte del carcere e inizia la trafila degli interrogatori: le Autorità vogliono sapere tutto, i nomi dei componenti la banda Guerra, quelli dei manutengoli, i rifugi; insomma, tutto ciò che può essere utile a sdradicare la mala pianta del brigantaggio nella zona.
Pasquale balbetta le poche risposte che è in grado di dare, ma non basta: gli inquirenti insistono, vogliono sapere anche il motivo per il quale si è dato alla latitanza, chi è che ve lo ha eventualmente indirizzato, di quali mene reazionarie è stato complice. E il giovane – che nulla sa di trame e complicità, di reazionari e liberali, di Francesco e di Vittorio – ammette candidamente che è fuggito nelle campagne per …gelosia.
Infatti, racconta come nel “mese di agosto ultimo venne in congedo l’altro compaesano Andrea Turcoletti, bersagliere Nazionale. La Gaetana mi tradì e nella sera del diciotto agosto, avendoli incontrati uniti presso l’abitazione, per far paura alla Gaetana, le sparai contro una pistola carica a piccoli proiettili senz’aver idea di offenderla, ed infatti non colpii.”
I rozzi inquirenti stentano a credere che Pasquale non avesse veramente in animo di uccidere la Gaeta: non sono in grado di capire che, quando si è amata veramente una persona, non si può poi odiarla al punto di farle del male. E che, se anche si preme un grilletto, quasi sempre non è per rabbia ma per delusione.
Ma le Autorità devono colpire i briganti, tutti, anche quelli che lo sono diventati per amore e lo condannano.
Però detto tra noi e senza giustificare in alcun modo la violenza contro una donna, su una cosa, amici, dobbiamo convenire: Gaetana proprio con un bersagliere Nazionale doveva cornificare un contadino del Sud e, per giunta, nel bel mezzo di una guerra civile?
E per questa settimana, amici miei, è tutto.
Anzi no: mi resta ancora il piacere di augurarvi, more solito, buona domenica!

(*) Promotore Carta di Venosa