Una toccatina pericolosa

UNA TOCCATINA PERICOLA.
di Valentino Romano (*)

Arce, novembre 1863

Amici, la storia di oggi è ancora una di quelle che muove al sorriso. L’ho scelta perché, in qualche modo, umanizza una delle parti in causa nella sporca guerra contadina che caratterizzò il difficile nascere della Nuova Italia: riguarda i soldati (non gli ufficialoni, intendiamoci) di quel Regio esercito che dilagò nelle contrade del Meridione, uomini come gli altri, come gli avversari sul campo, vittime anche loro di una guerra che altri combattevano a tavolino. Proprio partendo da questa considerazione non mi sono mai unito al coro di quanti sfogano oggi i propri rancori e le proprie frustrazioni contro gli attuali reparti dell’Esercito in virtù dei torti subiti da quelli di ieri. Questa scelta non piacerà ai pasdaran del lamento e della recriminazione sul perduto Eden? Non piacerà ai “separatisti” da tastiera? Beh, scusate il francesismo, ma …chissenefrega! Non ci leggessero … hanno i loro testi sacri e seguissero questi.
Veniamo alla storia.
È giovane e esuberante il Luogotenente Piazza della 13ª Compagnia dell’8° Reggimento Granatieri impegnata ad Arce. Anzi, a dirla tutta e se si vuol dar credito al parere del suo capitano, è proprio uno scavezzacollo. La divisa deve stargli alquanto stretta perché non tralascia occasione per dare grattacapi ai suoi superiori: conduce infatti una vita che, se non si può propriamente definire sgretolata, non appare del tutto conveniente per un ufficiale del Regio Esercito. A Siena, dove il suo battaglione è stato di stanza, si è rifiutato di pagare il fitto dell’appartamento nel quale alloggiava, onorando il debito solo quando il proprietario ha reso pubblica la cosa, provocando disdoro all’intero esercito; amante della bella vita, ha contratto diversi e cospicui debiti “piuttosto indecorosi” con commilitoni; punito con gli arresti semplici nei suoi alloggi per un’altra mancanza, se n’è andato tranquillamente a pranzo nella stessa locanda frequentata dagli altri ufficiali e, scoperto dal suo capitano, si è beccato gli arresti di rigore. Non si è nemmeno fatto scrupolo di mettere in cattiva luce un sottotenente, accusato falsamente, di aver abbandonato la propria postazione. Insomma, un soggetto che, alla lunga e sempre secondo il suo capitano, “è immeritevole di più oltre rimanere al corpo”.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è un episodio che ha messo a serio rischio i rapporti di buona convivenza tra militari e popolazione civile (quella “per bene”, capiamoci, non certo il popolaccio ribelle). Racconta infatti il capitano che, di passaggio per Picinisco, “fui invitato in uno co’ miei ufficiali a passare la sera in una famiglia civile di colà, nominata Lauri.
Si sa come vanno le cose in queste circostanze: gli ufficiali indossano la loro miglior divisa e si mostrano gentili con gli ospiti; questi ricambiano, intrattenendoli con le migliori attenzioni possibili. Un buon liquore, pasticcini fatti in casa, sigari, quattro chiacchiere sul più e sul meno, sulla situazione dell’ordine pubblico, sulle fatiche del servizio militare…
Ma a novembre le serate sono lunghe e in casa Lauri evidentemente la conversazione langue, visto che si decide di passare a un sano gioco di carte che coinvolga tutti. Detto fatto, ci si siede tutti intorno a un tavolo: sfortuna vuole che il luogotenente Piazza “trovavasi casualmente accanto ad una giovane signora”.
Per i due, è proprio il caso di dirlo, galeotte furono le carte, dal momento che l’irrequieto ufficiale si permette di “addivenire ad atti sconvenienti ed avvilenti l’uniforme”.
Ohibò, cosa sarà mai accaduto? Vediamo di farcene un’idea, sempre utilizzando il rapporto dell’integerrimo capitano: “Si posero a giuocare alle carte e combinazione volle che il predetto Piazza si trovasse seduto vicino ad una damigella nipote del padrone di casa”.
Qui va precisato che la fanciulla si trovava da poco tempo a soggiornare a Picinisco e che “fosse colà per stringere contratto di matrimonio col fratello del padrone di casa”. Si badi bene che, come precisa il capitano, la ragazza “tiene già i suoi venti anni”; non è quindi una bambina ed è perfettamente responsabile delle sue azioni, sembra voler dire l’ufficiale. Per di più è “anche corteggiata da un altro ufficiale”: accidenti, in una sola serata ha fatto colpo su molti! Verrebbe, a questo da chiedersi cosa ci stesse a fare in tutta la comitiva il …nubendo, ma questo non è affar nostro e andiamo avanti: “ … incominciato il giuoco il §piazza divenne socio della damigella, la conversazione si animò ed il contatto che da prima venne involontario da gamba a gamba, prese un carattere di condiscendenza della damigella”.
Insomma, il gioco si faceva duro “al punto che il Ten. Piazza fingendo di non accorgersi che vi fossero persone che li sorvegliassero, senza ritegno alzò la gonnella alla ragazza e giunse a toccare con la mano le cosce!”. Insomma, dal classico “piedino” … alla pomiciata (quasi sicuramente reciproca) sotto il tavolo. Altro che un noioso gioco di carte!
Il pudico capitano, magari deludendo la prurigine dei suoi superiori (e forse pure vostra e mia), non si dilunga in ulteriori particolari, né dice per quanto tempo il palpeggio consenziente si sia protratto. Precisa unicamente che “sul finire della serata non so se l’emozione della ragazza o il non curarsi più degli altri, il fatto sta, che “solo al momento di alzarsi in piedi il Piazza si accorse di avere dietro di sé …sì la madre che il promesso sposo”.
Senza ulteriori sviluppi la serata finisce e gli ufficiali – primo fra tutti il Piazza- ringraziano educatamente. La faccenda sembra chiusa. Il mattino successivo, però, la madre della ragazza va a trovare una sua amica che ha a pensione uno degli ufficiali (guarda caso, proprio quel Rossi con il quale il Piazza aveva antica ruggine). La donna ha bisogno di sfogarsi con l’amica ma finisce col raccontare tutto all’ufficiale: chiede il massimo riserbo, non vuole che sulla famiglia scenda l’onta del disonore.
Naturalmente, dal momento che non diventa mai nulla di più manifesto di ciò che si vuol tenere nascosto, la notizia viene subito a conoscenza di tutti gli altri ufficiali che, riunitisi a bella posta, decidono di chiudere la faccenda senza sollevare uno scandalo nocivo al buon nome del corpo al quale appartengono: viene approntato un rapporto riservato, ad uso interno, che – passando da superiore a superiore – raggiunge il comando del corpo. E, come spesso accade, alla fine della fiera, rischia di farne le spese il comandante del battaglione, reo di aver cercato di occultare il tutto: per lui viene proposta la perdita del comando e i trasferimento ad altra sede con altro incarico.
L’altro ufficiale non ci sta proprio, però, a pagare per le colpe dei suoi subalterni e minaccia di rivolgersi direttamente al generale La Marmora.
La storia, almeno nelle carte d’archivio, finisce qui.
E a me che ignoro se il Comandante della VI Armata abbia poi saputo dell’episodio resta un dubbio atroce: ammesso che ne sia venuto a conoscenza, con tutto il da fare che ritrovava per eliminare i briganti a destra e a manca, avrà pure avuto il tempo di occuparsi di una pur sconveniente pomiciatina con una fanciulla, peraltro … consenziente?
Vi confesso, amici, che avrei voluto saperne di più di questa storia più o meno boccaccesca. E non per pruderie, ma unicamente perché mi incuriosiva il ruolo del fidanzato della fanciulla che era lì presente: sarà stato … consenziente anche lui? Boh! Di certo nelle sue vene non doveva scorrere puro sangue meridionale … Non siete d’accordo?
Questa storia è una delle tante conservate nell’Archivio dello Stato Maggiore dell’Esercito, quello stesso Archivio che qualche lamentoso complottista, non essendoci mai passato nemmeno nelle vicinanze, si ostina a contrabbandare sui social come “segretato”.
Ma va bene così, è storia vecchia come il cucco: più si è disinformati, in mala fede e a corto di argomenti …più successo si ha. Tra i …”semplici”, s’intende!
Buona domenica, amici.

(*) Promotore Carta di Venosa