Cappella monumentale del Tesoro di S. Gennaro

RICERCA EFFETTUATA SU “GOOGLE LIBRI” DAL LIBRO “ARCHIVIO STORICO PER LE PROVINCE NAPOLETANE ” ANNO TERZO fasc.I -napoli-1878
Da pag.401 A 409

Guida storico-artistica della R. Cappella monumentale del Tesoro di S. Gennaro. Compilata dal Cav. Luigi Stabile professore onorario dell’ Istituto di Belle Arti di Napoli.
Napoli, Stabilimento Tipografico del Cav. Francesco Giannini, 1877 in 8.° gr. di pag. 328 numerate.

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Questo libro, bellissimo per edizione, à in fronte una tavola in litografia eseguita maestrevolmente con gusto ed arte, in cui vedesi il busto del Santo protettore della nostra città, in medaglione, tempestata tutto di grandi e piccole preziosissime pietre di ogni più rara specie. Le armi de’cinque sedili dei Nobili e quelle del Popolo Napoletano tra loro congiunte con graziosi fermagli e frammiste ad una larga ghirlanda di alloro, ornano il medaglione: poi nella parte estrema inferiore sta un poggiuolo su cui vedesi un grande libro chiuso unito al bastone episcopale, e le due ampolle col sangue del Santo fra le palme del martirio.
Dopo la dedica, a’ Deputati della Real Cappella di S. Gennaro segue una breve prefazione e la Nota della Real Deputazione e impiegati, cioè lo Elenco de’12 Deputati e del Sindaco della Città di Napoli, che ne è di diritto il presidente.

L’autore principia la GUIDA con un Cenno storico della vita di S. Gennaro, vescovo e martire, che forma il Capitolo primo. In breve ragiona della famiglia Gianuaria da Roma passata nella città di Napoli; di S. Gennaro creato vescovo di Benevento nell’anno 304, e poi nella persecuzione di Diocleziano martirizzato alla Solfatara nell’anno 305, e del suo corpo sepolto nella terra di Marciano presso Napoli, di dove nell’anno 386 fu trasportato a Napoli e riposto nella chiesa di S. Gennaro extra moenia. Narra come nell’ anno 832 Sicone duca di Benevento stando in guerra co’ Napoletani e stringendo di assedio la città, s’impadronì del corpo del Santo, che nel giorno 23 del mese di ottobre dell’anno medesimo menò a Benevento e con solenne pompa ricevuto in quella chiesa cattedrale, gli fu edificato un sontuoso monumento. Che nell’anno 1240 prima che l’imperadore Federico II assediasse la città di Benevento e la mettesse a rovina, l’arcivescovo mandò il sacro corpo a custodire nel monastero di Montevergine, di cui l’abate era suo fratello, e dove fu fabbricato in luogo segreto; quale segreto religiosamente serbato da que’cenobiti, con essi scese nella tomba, e perciò rimasero dimenticate quelle reliquie. Che nell’anno 1480 avendo il Pontefice Sisto IV data in commenda la badia di Montevergine al cardinale Giovanni di Aragona figliuolo di re Ferrante I, quel porporato volle restaurarne la chiesa e rifacendovi l’altare maggiore, si scoprì l’urna contenente le ossa del Santo; le quali, dopo ottenutane licenza dal pontefice Alessandro VI, furono trasportate a Napoli il giorno 13 del mese di gennaio dell’anno 1497 e depositate nel Duomo con grande solennità. L’autore finalmente mette termine a questo primo capitolo dicendo che il cardinale Oliviero Carafa, devoto del Santo, nel mese di ottobre dello stesso anno fece principiare ad edificare in onore di S. Gennaro la bellissima cappella, volgarmente chiamata Soccorpo, che sta sotto l’altare maggiore del Duomo, il cui disegno fu eseguito dall’insigne architetto Tommaso Malvita, e che fu terminata nell’anno 1506 con la spesa di 15mila ducati.

Nel secondo capitolo tratta l’autore della origine della Cappella denominata TESORO DI S. GENNARO; degli artisti e de’loro lavori. Dice che per voto fatto dalla cittadinanza Napolitana in occasione della peste, che tanto orribilmente flagellò la città nell’anno 1527, si decretò dal Municipio la costruzione di questa Cappella, la quale però non principiò ad edificarsi prima del giorno 18 di gennaio dell’anno 1608, e fu menata a termine nell’anno 1637, sul disegno e sotto la direzione del padre teatino Francesco Grimaldi nativo di Oppido in Calabria.
Accenna alla prava condotta di Francesco Ribera, detto lo Spagnoletto, e di Belisario Corenzio, i quali volendo che ad essi solamente fossero affidati tutti i lavori di pittura, con minacce violenti spaventarono il Cav. Giuseppe Cesare denominato il Cav. d’Arpino, il quale lasciati i suoi cartoni a Montecasino fece ritorno a Roma, e Guido Reni, che lasciati i principiati dipinti si ritirò a Bologna sua patria. Allora il Ribera ed il Corenzio rimasero soli, e con essi venne per terzo Giovan Battista Caracciolo ; ma non piaciuti troppo i loro dipinti a’ Deputati, fu chiamato Domenico Zampieri da Bologna denominato il Domenichino, al cui arrivo in Napoli furono licenziati il Corenzio ed il Caracciolo. Le insidie però del Ribera e del Corenzio furono tali e tante, che in breve di dolore e di timore se ne mori il Zampieri, e per supplirlo fu invitato il parmigiano Giovanni Lanfranco. Dice poi che questa Cappella terminata, nel giorno 16 del mese di dicembre dell’anno 1616 fu consacrata con solenne cerimonia dal vescovo di Calvi Fabio Maranta, e che le reliquie della Testa e del Sangue del Santo furono riposte nella nicchia appositamente costruita e foderata tutta di lamina di argento.

Il capitolo terzo è la Descrizione delle opere di arte esistenti nella cappella del Tesoro di s. Gennaro.
L’autore qui ragiona intorno a’ lavori di Giuliano Finelli da Carrara, del francese Cristofaro Corset, del Fansaga, di Biagio Monte, di Orazio Stoppa, di Tommaso. Montani, dei fratelli Monterossi, di Francesco Solimena, di Giov. Domenico Vinaccia, di Domenico Marinelli, di Filippo Iodice, di Onofrio d’Alessio, del Domenichino, del Ribera, di Cesare d’Auria, di Giov. Lanfranco, di Giovanni Cestaro, di Niccola M.a Rossi, di Luca Giordano, di Paolo di Maio, di Vincenzo Frate, del Cav. Farelli, e di Massimo Stanzioni. E termina con un giudizio comparativo intorno alle pitture a fresco e ad olio, in questo capitolo descritte.

Nel quarto capitolo tratta degli oggetti preziosi custoditi in questa Cappella, denominata Tesoro di S. Gennaro. Il valore di tutti questi oggetti, comprese le 48 statue di argento dei diversi Santi, dice l’autore essere di ducati 216636:93, che corrisponderebbero alla moneta corrente di lire 920705, oltre gli arredi sacri in pianete, piviali, mantellette ec. ec. ricchi di ricami in oro e pregevolissimi pel disegno e pel merito artistico. Qui l’autore dà bellissime ed interessanti notizie. Egli descrive molto distintamente il famoso imbusto del Santo e poi tutti que’doni preziosissimi offertigli da sovrani e’da altri. Di questi doni fo cenno qui appresso solamente di quelli de’ sovrani.Una Croce offerta da Carlo III di Borbone re di Napoli del valore di ducati 3245, con 13 brillanti, tra quali i due primi del prezzo di ducati 1200, e 6 rubini, il primo di essi del prezzo di ducati 500 -una Crocetta con 63 brillanti donata dalla regina Maria Amalia Walburga moglie di Carlo III di Borbone, del valore di ducati 2400 – Un Calice di oro con 260 brillanti, 216 brillanti gialli e 110 rubini, del valore di ducati 4988:83, donato da re Ferdinando IV di Borbone-Una Croce con collana di 111 brillanti ed un grosso zaffiro del valore di ducati 1949 donata dalla regina Maria Carolina d’Austria moglie di Ferdinando IV di Borbone – Una Croce con collana di oro con 93 brillanti e 13 smeraldi, del valore di ducati 1560, donata dal re Giuseppe Napoleone Bonaparte – Una sfera di argento dorata, tempestata di rubini del valore di 220 ducati, regalata dal re Gioacchino Murat – Una Ciappa con 167 brillanti ed 8 zaffiri, del valore di ducati 2891, offerta dal re Francesco I di Borbone – Una Pisside di oro con 510 brillanti, 274 rose di Olanda, 40 zaffiri, 100 rubini ed 8 smeraldi del prezzo di ducati 4333, regalata dal re Ferdinando II di Borbone – Una Savignè con 4 grossi smeraldi, de’quali uno di 14 carati del prezzo di ducati 800, con 242 brillanti e 64 rose di Olanda, del valore di ducati 3682, donata dalla regina Maria Cristina di Savoia moglie di Ferdinando II di Borbone – Una sfera di argento dorato con brillanti, rubini e smeraldi, del valore di ducati 5mila, fu offerta dalla regina Maria Teresa d’ Austria seconda moglie di Ferdinando II di Borbone – Un Calice di oro con patena di argento dorato, del valore di ducati tremila donato dal pontefice Pio IX – Un Calice con patena di argento dorato del valore di ducati mille, offerto dal re Francesco II di Borbone – Un Crascià con Croce tempestati l’uno e l’altra di crisoliti, di brillanti e di diamanti, del valore di duc. 2800, dono del re d’ Italia Vittorio Emmanuele II.
L’ Autore resta dubbioso di quale metallo sia l’imbusto di S. Gennaro, se di finissimo oro a getto la testa e parte delle spalle, o di argento rivestito di oro ; propende però per questa ultima opinione; e segue il Fusco, il quale stabilisce la spesa fatta da re Carlo II di Angiò, che fece costruire quell’imbusto a ducati antichi 943 e grana 26, che dice corrispondere alla moneta de’nostri tempi di ducati 1978, grana 9 e cavalli 10 circa. Io però con documenti della Cancelleria Angioina del nostro Archivio di Stato ho dimostrato in altro mio lavoro, pubblicato nel rendiconto dell’ Accademia Pontaniana dell’anno 1863, che l’imbusto di S. Gennaro è tutto di argento dorato, e che importò la spesa di once 432, tari 17 e grana 6 uguali a ducati antichi 2160 tari 17 e grana 6, che calcolati secondo il calcolo del Fusco a moneta de’nostri tempi, alla ragione di carlini 20, grana 9 e cavalli 10 per ogni ducato antico sono ducati moderni 4532:40, a’ quali aggiunti i tari 17, ognuno calcolato a ragione di grana 41 10/12 di moneta moderna, danno ducati 7:13 5/12, e le grana 6 calcolati ciascuna con moneta moderna a grana 2 1/12 ed uno ottavo di centesimo, danno grana 12 6/12 e sei ottavi di centesimo, perciò in tutto la somma complessiva di ducati moderni 4539:65 11/12 e 6/8 di centesimo, pari a lire 19293:55.

Il quinto capitolo tratta della origine delle famiglie nobili appartenenti ai sedili di Napoli ; e quindi si ragiona del blasone, delle armi e delle insegne e degli stemmi; de’Sedili della città di Napoli; della loro abolizione, e della formazione del Libro d’Oro. Questo capitolo è lavorato debolmente.

Il sesto ed ultimo capitolo è la platea delle famiglie patrizie napoletane ascritte al Libro d’Oro. Principia colla p. 99 e termina a p. 325.
Questa parte del libro, che ne occupa oltre due terze parti, è redatta con poca cura e pochissima esattezza. L’autore forse , ebbe il pensiero di pubblicare la PLATEA ossia il LIBRO D’ORO originalmente con gl’individui ivi ascritti innanzi all’ anno 1807, e poi nello stesso tempo registrare i nomi di tutti quelli che ànno o potrebbero avere diritto di esservi ascritti in supplemento, come rappresentanti delle antiche famiglie nella detta PLATEA originale comprese. Invece questo pensiero é stato malamente messo in atto. Innanzitutto si è alterata l’intitolazione della PLATEA, che nell’ originale é cosi : Platea delle Famiglie Patrizie Napoletane ascritte al Libro d’oro. Su-premo Tribunale Conservatore MDCCCVII.
Nella Guida poi questa intitolazione si legge ampliata, come qui appresso : Platea delle Famiglie Patrizie Napoletane ascritte al Libro d’ Oro. Formata nel 1807 pei soli individui viventi a quell’epoca. Supremo Tribunale Conservatore MDCCCVII. E famiglie Patrizie Napoletane viventi nell’ anno 1877.

Con questo ultimo frontespizio si deve intendere che tutti gl’ individui in questo Libro, ossia Guida, notati, siano ascritti al Libro d’Oro, tanto quelli viventi nell’anno 1807, quanto tutti gli altri viventi nell’anno 1877. Ma non è così. Nella PLATEA suddetta originale sono notati non solo i viventi nell’anno 1807, ma ancora i morti; difatti al nome degli individui morti, in parentesi dopo il nome sta scritto così (morto). In quanto poi a’ viventi nell’ anno 1877 non vi sono ascritti che pochissimi ; mentre nella PLATEA stampata nella Guida non solo sono riportati questi, ma altri 518 individui per nulla notati nè menzionati nella originale PLATEA ossia LIBRO D’ORO. Tutti i suddetti 518 individui avranno diritto di farvisi iscrivere, ma non possono riportarsi come iscritti senza la indispensabile procedura di presentarsi alla Commissione Araldica, del Regno con i necessari documenti, in forza de’quali ottenendo il pronunziato di quel Tribunale Nobiliare, farne eseguire la iscrizione; procedimento praticatosi per lo addietro presso la già nostra Commissione de’Titoli di Nobiltà da molti di que’ patrizi napolitani, che sono stati diligenti a farsi riconoscere rappresentanti delle rispettive famiglie in quella PLATEA registrate. Se l’autore avesse voluto formare il notamento non solo degli ascritti al Libro d’Oro, ma pure de’loro discendenti, benchè non ascritti; non mai avrebbe dovuto formare una siffatta confusione, ma serbare intatta la PLATEA senza la menoma alterazione; e poi nello stesso tempo con altro distinto notamento registrare tutti i nomi delle singole Famiglie aventi diritto alla iscrizione. Oltre di ciò si vede notata nella Guida l’epoca di nascita per taluni individui, note che mancano nell’originale, ed invece omette quelle che nell’originale sono registrate per altri. In moltissime famiglie nella Guida si legge ESTINTA, ed anche si nota in quale Casa sia estinta, cose che assolutamente non si trovano neppure una sola volta nella PLATEA originale.

Di più si osservano nella Guida vari errori di date nelle ascrizioni moderne; per esempio a pag. 107 nella famiglia Albertino l’ascrizione di Alberto Giorgio e di Carlo Luigi è del 30 aprile 1856 e nella Guida sta il 20 aprile. A pag. 193 nella famiglia Coppola nota l’ascrizione di Francesco figlio di Gaetano a 24 maggio 1854, mentre nell’originale è del 24 marzo. A pag. 220 nella famiglia Liguoro di Andrea de’principi di Presicce nota l’ascrizione di Andrea nato nel 1827 e di Ercole nato nel 1833 nel 17 di luglio 1856, mentre nell’originale sta al 14 di agosto di quell’anno ; ed a Gioacchino nato nel 1811 ascritto nel 17 di luglio 1856 trascura di notarvi questa data della sua ascrizione. A pag. 226 nella famiglia Mari l’ascrizione di Francesco Paolo e di Giuseppe nell’originale è notata al 10 dicembre 1834 e nella Guida sta al 25 di quel mese. A pag. 245 nella famiglia Pescara nella Guida si legge l’ascrizione di Giuseppe nato nel 1802 e di Carlo nato nel 1809 figli di Gio. Battista ascritti con la data del 26 di febbraio 1841; nell’originale però sta registrato Giuseppe nel primitivo notamento di quelli viventi innanzi l’anno 1807, ed il solo Carlo è iscritto non già colla data del 26 di febbraio, ma del 30 aprile dell’anno 1841. A pag. 262 nella famiglia Riario nota Raffaele nato , nel 1803 come ascritto nel 22 aprile 1836, mentre nell’originale é registrato tra gli antichi innanzi all’anno 1807. A p. 309 1’ascrizione della famiglia Lottieri d’Aquino la registra a 28 novembre 1850, mentre nell’originale sta colla data del 9 di settembre di quell’anno. A pag. 310 nella stessa famiglia la Guida omette l’ascrizione di Tommaso nato nel 1847, che nell’originale è registrata con la data del 15 giugno 1857 e così anche per altri. A pag. 182 nella famiglia Carmignano trascura di notare Monsignore D. Saverio nato nel 1748, il quale è registrato nella PLATEA originale. A pag. 283-284 nella famiglia Serra di Cassano la Guida non registra l’ascrizione di Salvatore, nato nel 1843, eseguita il 9 di giugno 1860, come leggesi nell’originale. Per amore di brevità si tralasciano altri errori di simile natura.

Che in questa Guida si siano notate 518 persone non ascritte nella PLATEA ossia nel LIBRO D’ORO è chiara la dimostrazione. Nella PLATEA sono registrati 1218 individui, mentre nella Guida se ne trovano notati 1736, cioè 518 dippiù. Difatti la PLATEA originale di tutte le diverse famiglie del Sedile di Capuana registra soli 385 individui, e la Guida ne riporta 563, cioè 178 non ascritti. Nel sedile di Nido la PLATEA ha 402 persone e la Guida 567, con una esuberanza di 165 non ascritti. Nel Sedile di Montagna dal LIBRO originale si hanno 92 nomi e nella Guida se ne trovano 152, cioè 6O non registrati. Del Sedile di Portanova soli 164 leggonsi nella PLATEA, e nella Guida con un accrescimento di altri 57 non registrati se ne contano 221. E finalmente nella PLATEA trovansi registrati 109 individui del Sedile di Porto, mentre la Guida con uno accrescimento di 50 nomi, ne riporta 159.
Corretta questa parte nobiliare, l’opera è pregevole e di non poca utilità.

Camillo Minieri Riccio

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