Vita intima della classe abbiente

COPERTINE 640RICERCA EFFETTUATA SU “GOOGLE LIBRI” DAL LIBRO ” SCENE DALLA VITA NAPOLETANA- DI DAVID SILVAGNI ” -Roma-1872

pag.62-79

CAPITOLO IV.
Vita intima della classe abbiente.

Persuaso che per dare un giudizio coscenzioso di un paese, conveniva anzitratto conoscere quali fossero i costumi e le abitudini delle famiglie, io mi posi a studiare la vita intima della popolazione napoletana, e non isdegnai di prender conto di quei menomi atti dai quali appunto si può’ rilevare in che modo sia costituita una famiglia in tutti i suoi rapporti della vita fisica e della vita morale. Ora adunque invece di riassumere il risultamento delle mie indagini, mi proverò di condurre il lettore in una casa di Napoli, abitata da una famiglia agiata, che vive però senza lusso di sorta, e sta tanto lontano dalle morbidezze principesche quanto dalle privazioni delle famiglie di proletari.
Questa casa che io scelgo come tipo è in Napoli comunissima, e può dirsi essere il modello di tutte le case di famiglie civili, ossia di onesti borghesi, che compongono la grande falange dei modesti possidenti, avvocati, negozianti, commercianti, magistrati, artisti, ecc. ecc. Le case di questa classe, che a Napoli si dicono palazzi, sono grandi fabbricati, in media di quattro piani, non compresi il piano terreno o bassi, come essi li dicono. Ognuno di questi piani è diviso in due o più appartamenti. Il portone è grande e si penetra con la carrozza nel vestibolo che mena in una corte, la quale dà lume alle stanze interne. Di faccia, nel fondo, si apre la scala, per solito larga e comoda, che riceve lume da grandi veroni sulla corte. Appena entrato vi si fa innanzi un guardaporte, che con garbo vi dice: « Signorino che volete?»
E poi se la persona che ricercate, è in casa, vi soggiunge: « Salite fino al terzo piano, porta a sinistra: » poi egli suona una campanella che è appesa alla parete, e dà tre rintocchi per avvertire la famiglia, che dovete visitare, del vostro arrivo: voi salite la scala, di cui i gradini sono un poco alti, e trovate gli usci degli appartamenti chiusi da una porta a cristalli opachi che vi si apre dinnanzi, prima che voi abbiate dovuto afferrare il cordone del campanello per suonare.
II domestico o la domestica che vi viene innanzi vi domanda chi ricercate, e v’interroga del vostro nome, e poi con garbo vi soggiunge:
« Signorino, favorite in galleria, che vado ad avvertire la Signora. » Voi entrate in una anticamera netta e luminosa, poi in una sala, e quindi nel salotto che a buon dritto s’intitola galleria, perchè ha le pareti coperte di bei quadri ad olio o a pastello. Il salotto è elegante, i mobili pulitissimi, il pavimento colorato e diligentemente incerato. Sopra un tavolo trovate giornali, album di ritratti o di disegni, libri ecc.
La signora si fa attendere un poco; poi compare vestita senza ricercatezza ma sempre linda e benissimo pettinata, e senza tante cerimonie vi fa sedere vicino a lei, vi fa posare il cappello, si congratula con voi che vi siate risoluto di venire a veder Napoli, vi assicura che vi divertirete; e mentre voi state con quella ritrosia od imbarazzo che nasce sovente da una prima visita, essa vi parla con tale ingenua famigliarità, e risponde così ripetutamente, voi al vostro lei che finalmente vinto da questa cortese dimestichezza smettete il lei, e siete indotto quasi senza avvedervene a dirle voi. La signora intanto ha chiamato la sua figlia maggiore, che si presenta graziosanente, vi dà la mano e vi domanda della vostra salute. Il figlio maggiore è al Liceo. il secondò è all’Istituto, ossia alla scuola elementare privata, e l’ultimo che è un bel bimbo biondo e rubicondo (a Napoli non tutti i ragazzi hanno i capelli neri) si presenta in salotto con un balocco in mano, e viene a darvi subito un bel bacio e vi dice che il babbo è allo studio. Voi vi accomiatate, lasciando alla signora una delle commendatizie di cui eravate munito nel venire a Napoli, e la sera rientrando all’albergo trovate un biglietto del marito della signora che si duole di non essersi trovato in casa al momento della vostra visita, e vi prega di tornare l’indomani per desinare con la famiglia alle 3 o alle 4 pomeridiane. Dopo qualche giorno da che avete avuto un pranzo sontuoso, voi che avete continuato a frequentare la casa siete ammesso nella intimità di questa egregia famiglia napoletana e potete, come ho fatto io, visitare minutamente l’appartamento, potete andarvi in qualunque ora del giorno e studiare le loro abitudini, ed i costumi di questa onesta Società.
Non vi dispiaccia se d’un tratto dal salotto vi conduco in cucina, che certamente non è un luogo disprezzabile dell’appartamento. Appena entrato, vi colpisce la vista, la nettezza dell’ambiente, la lucentezza delle stoviglie, lo splendore dei rami ed il vestito bianco del cuoco. Il pavimento è di maiolica e di maiolica sono le pareti fino all’altezza di un uomo. Il camino è ampio, vi è un forno, parecchi fornelli e degli scaldavivande, ecc, V’è un acquaio vicino, e talvolta col beneficio di un’acqua perenne. Una finestra si apre sopra una corte ove trovasi un pozzo dal quale facilmente si attinge l’acqua con una fune a cui sono appese due secchie. L’acqua si conserva in cucina in un vaso coperto; le carni od il pesce in un salvavivande, ed infine vi trovate tutto ciò che si è saputo inventare per cucinare e conservare i cibi, e mantenere la nettezza.
Passiamo ora in una camera da letto. Questo di solito è in ferro, circondato da ogni lato da ampio cortinaggio di bianca mussolina, e difeso nella state da un drappo in maglia finissima, o zanzeriere. Non vi descrivo l’arredamento, perchè vi sono tutti i mobili necessari per una camera di tal genere. Il pavimento è rosso ed incerato. Vi sono tappeti presso il letto ed i sofà da sedere, o le comode poltrone. In un gabinetto vicino, quando se ne abbia la comodità, voi trovate tutto quanto è necessario alla toeletta, non esclusa una bagnaruola, acqua odorosa per lavanda, saponi in copia, biancherie finissime e candidissime, ecc. ecc.
Queste cose minute ho voluto dirvi per disingannarvi, se ancora lo credeste, sulla sudiceria dei napoletani, che in vece sono, nella grande maggioranza, nettissimi e profumati. E se vi piacesse convincervene, basterebbe che di buon mattino vi recaste presso la famiglia cnosciuta. Trovereste i domestici o le domestiche, difese da grembiali colorati, spazzar camere e mobili, armati di granate, di spazzole lunghe e corte, di pennacchi, di code di volpe di segatura, e di grandi spugne, per nettar tutto diligentemente, e fregare ed allustrar pavimenti e mobili, spazzolare persiane e porte, stropicciar cristalli e fare lucidi a specchio gli ottoni che guarniscono le porte.
Poi penetrando più dentro, trovereste il barbiere che rade la barba al vostro amico, così omai chiamo il padrone di casa, e la pettinatrice che leggiadramente e rapidamente acconcia i capelli alla signora e alla signorina, e la, cameriera che veste i ragazzi. E poiché state in casa, fate un po’ di colazione in famiglia. Sono le nove, e quindi potete mangiare; ma intendiamoci, non un risotto, nè una costoletta ai ferri, e neppure dei maccheroni; ma caffè, latte, ova, burro e cioccolatte. Tutto questo per voi, che siete abituato a mangiar molto; perchè i padroni di casa prendono un poco di caffè con due o tre taralli (piccolissime ciambelle) e soltanto i bimbi li inzuppauo in un poco di latte. Detto fatto, i due ragazzi vanno alla scuola, ed il vostro amico va pei suoi affari, e sicome siete entrato con lui in grande dimestichezza, vi aggiunge prima di lasciarvi in istrada: Vieni con noi a desinare, se ti cotenti del nostro pranzo di famiglia.
Un poco prima delle tre voi siete,in casa dell’amico, il quale vi ha preceduto, e che appena vi vede entrare, dà ordine che si appresti il pranzo. La sala da pranzo già la conoscete,è grande, pulitissima, con un bell’armadio a cristalli, ohe racchiude delle splendide porcellane, e bottiglie e bicchieri di limpidissimo vetro.
La tavola è semplicemente imbandita. Avete innanzi a voi il coperto, con un doppio bicchiere, uno per l’acqua, l’altro pel vino. Non vedete in tavola che una sola bottiglia di vino. La signora non beve che acqua, e così i ragazzi. Il vino è per voi, che ne bevete certamente, per il padrone di casa ed il figlio maggiore.
La signora, arrossendo un poco, protesta che non troverete che quello stesso pranzo quale era stato apprestato per la famiglia, e che perciò sarete sagrificato. Voi non lo credete, e non sognate neppure che essa vi dica una terribile verità. Infatti, mangiati i soliti maccheroni, voi avete dinnanzi alquanto salume e burro ; poi viene servito un piatto di carne o ragù, ed appresso un abbondante piatto di erbe cotte. Dopo vengono le frutta con un bel caciocavallo freschissimo, ovvero alcuo deliziose mozzarelle, che altro non sono che latte di bufalo coagulato e non salato. La padrona di casa, che ignorava l’invito fatto dal marito, e che non fu in tempo ad apparecchiarvi un pranzo più lungo (non dico migliore, perchè il vostro fu eccellente) estrae dalla dispensa una quantità di cose che vi trattengono a tavola anche per qualche tempo. Sono frutta secche, e odorosi mandarini e torroni di Casapulla, e mostaccioli di Napoli, e vino del Vesuvio e stomatico di Bari (alchermes); colle quali cose voi fate un secondo pranzo, e finite coll’aver la pancia piena. Durante il pranzo si sono fatti allegri discorsi, ai quali hanno preso parte modestamente i due figli più grandi. I più piccoli tacevano e si facevano servire chetamente dalla cameriera che stava ritta, dietro di loro.
E’ una bella giornata di primavera ; sono appena le 4 1/2 e perciò si passa sul terrazzo a prendere il caffé. Il terrazzo, in parte coperto con ampia tenda, è circondato da grandi vasi di agrumi, alternati da verbene e da rose. Vi sono molte erbe odorose, ed un profumo non meno gradevole viene da un sottoposto giardino.
La signora v’invita a fumare, ma essa non fuma. Fuma il marito ed il figlio maggiore. I due ragazzi che stettero quietissimi a pranzo, fanno chiasso sul terrazzo, si corrono dietro, vi urtano, gridano, cadono ; e voi vi divertite moltissimo osservando quei due monelli tanto allegri, ed in cuor vostro notate che a quell’età, in cui l’educazione non ha ancora impresso una maschera sul volto dell’uomo-infante, i bambini sono uguali a Napoli, a Firenze ed a Torino, per quanto sia grande la diversità dei climi, e la Concettina, fanciulla di 15 anni, già bella di tutto lo sviluppo di una donna leggiadra, vi fa mille domande di Firenze e di, Milano, ed è lietissima nel sentire che voi adorate le canzoni napoletane. Allora, senza farsi punto pregare, essa rientra nel salotto con la madre e si siede al pianoforte per suonare le più recenti canzoni; ed ove lo possa, le canta. Poi tutti vi parlano cortesemente e senza affettazione, e parlano tra loro a voce alta. Voi seguite le loro parole, e con vostra non lieve sorpresa, vi avvedete che anche nella più stretta intimità, anche nel dialogo famigliare tra fratello e sorella, non si parla che l’italiano, e difficilmente vi riesce di sorprendere di quando in quando, qualche frase, o qualche parola di dialetto.
V’è ancora un’ora di giorno, e vi viene proposta una passeggiata con tutta la famiglia. La accettate di buon grado ed uscite dando il braccio alla signora, e tornato in casa ad un’ora di notte, siete pregato di passar lì la serata con loro e voi consentite subito. Giungono alcuni amici ed amiche della casa, e si mette su una partita al mediatore ; non conoscendo il giuoco, voi passate la serata vicino alle signore ed alla fanciulla che scorre sul pianoforte alcuni pezzi di musica tedesca, più o meno noiosa, fortunatamente alternati da ridenti mottetti napoletani. Finalmente vi vengono offerti dei gelati, giunti lì per lì dal caffè di Benvenuto, così deliziosi da meritare un viaggio a Napoli apposta per sorbirne, e voi circondato da, carezze, da cortesie, e da belle signore, non vi accorgete che l’ora è tarda se non quando vedete che il giuoco è finito. Allora prendete commiato, e ve ne partite incantato di questa affettuosa ospitalità. Una sera andate un po’tardi a far visita alla medesima famiglia, che però vi riceve colla stessa cordialità. Non v’è alcuno estraneo alla famiglia, che è tutta riunita nel salotto, salvo i due ragazzi che sono già coricati. La signora legge il Pungolo di Napoli, senza del quale, ella ve lo dice ingenuamente, non potrebbe prender sonno; il padrone di casa è assiduo lettore della Patria. La Concetta con suo fratello, dopo aver terminato i propri lavori, si deliziano leggendo la cronaca spiritosa, ma onesta, del Piccolo Giornale di Napoli. Frattanto si apparecchia la cena, e voi siete invitato a far compagnia alla famiglia.
Protestate che sono appena due ore che avete finito di pranzare, ma essendo pregato di voler almeno assistete alla modestissima cena vi consentite. La cena consiste in una freschissima insalata mischiata, in un pezzo di carne arrosto, e delle frutta.
Durante la cena si parla, si ride, si scherza, si pongono in campo le più singolari questioni politiche, e la signora, che giura sulla fede del Pungolo, e vi assicura che è imminente la rottura delle ostilità fra la Prussia e la Francia, la quale è anche minacciata da una rivoluzione interna che sbalzerà Napoleone dal trono in punizione del suo secondo intervento in Roma (1).
Il marito che in ogni altra cosa è d’accord colla moglie, in questo le sta assolutamente con¬tro, e le due metà si fanno in politica una guerra accanita. Voi vi rendete mediatore fra le due potenze belligeranti, e fate osservare quanti punti di contatto vi sono nelle notizie fra il Pungolo e la Patria ; e quando avete riconciliato gli sposi date a tutti la buona notte, augurando loro di ratificare subito la pace che avete stipulata.
Quanto avete veduto, assistendo a queste scene di famiglia vi ha dato certamente una idea soddisfacente dei costumi della borghesia napoletana. A voi non è sfuggito come regni l’ordine e la pulizia nella famiglia, e l’armonia fra i coniugi, e tra i figli ; come siano coltivati gli studi e, pregiate le arti belle ; avrete notato come sia costume della famiglia di riunirsi la sera passando le ore in geniali conversazioni. Avrete pure osservato come la cena riunisca di nuovo e necessariamente la famiglia ed obblighi il capo della casa a ritirarsi ad ora conveniente, e non passare in bagordi le ore notturne in compagnie dísoneste, o quanto meno, di gente spensierata. Ma sopra tutto vi avrà colpito la sobrietà nei cibi di una famiglia agiata, la quale per nutrirsi convenientemente, non si crede obbligata a mangiare cinque o sei piatti, e rovinarsi lo stomaco con salse eccitanti, e camangiari succolenti forse necessari in climi più freddi, ma contrari alla sanità di chi vive nell’Italia meridionale.
Il pranzo e la cena a cui avete preso parte è il vitto ordinario delle famiglie agiate, ma che conservano come quasi tutte i costumi del paese ; naturalmente quei piatti che ho descritti sono alternati con altre vivande secondo le stagioni, e talvolta sono intramezzati da pesce eccellente. Così una o due volte la settimana si lasciano i maccheroni per sostituirvi una zuppa di erbe al brodo, ed allora la minestra è seguita da tre piatti non essendosi mangiati i maccheroni che sono certamente un cibo nutriente e sanissimo.
Voi avete conosciuto anche l’orario della famiglia, e vi sarete avveduto che si consacrano al lavoro sei o sette ore del giorno e qualcuna della sera se ve n’ha bisogno. Nella, state, dopo desinato, si riposa una o due ore, poi si passeggia nelle ore vespertine, ed occorrendo, si torna la sera al lavoro. Ma la mattina voi vedreste tutta la famiglia levata, alle 5 o alle 6 ant. e condursi ai bagni di mare fino alle 8, per poi tornare in casa a far colazione, e recarsi ciascuno agli instituti o agli affari. Nè si può comprendere agevolmente perchè sforzando abitudini secolari basate sopra, motivi igienici ragionevolissimi, siansi obbligati gli impiegati a recarsi in ufficio una o due ore più tardi per tenerli poi al lavoro nelle ore caldissime, in quelle ore cioè, in cui è impossibile di applicarsi con attenzione ed assiduità, essendo ciascuno vinto dalla stanchezza o dal sonno.
L’egregio autore della Storia di un boccone di pane fa rilevare quanto sia pernicioso per gl’inglesi il continuare come fanno molti a mangiare e bere nelle Indie al modo stesso come si fa a Londra o ad Edimburgo. E perchè volete voi obbligare un napolitano, e peggio un siciliano, ad adottare i costumi di Torino e di Milano, dimenticando che a Napoli nel verno il termometro non scende mai sotto lo zero, e ,che Siracusa ha una latitudine più equatoriale di alcune coste dell’Africa? Prima di criticare un costume, converrebbe conoscerne le cagioni che lo fecero adottare, e se non piace di abbracciarlo a chi viene dall’alta Italia, si lascino almeno i napolitani mangiare, vestire o lavorare a modo loro.
Dalla sobrietà deriva naturalmente la buona salute e sono quasi tutti di umor gaio ed allegro. La loro passione per la musica, e specialmente per quella di genere comico, rende assai allegre le loro brigate, e chiunque abbia un fil di voce e buon orecchio, canta senza complimenti, e vi fa smascellare dalle risa quando accompagnandole col gesto, e con strani contorcimenti della bocca e degli occhi, vi ripete le più comiche ed insieme le più affettuose canzoni popolari.
Perciò il divertimento prediletto è il teatro, e siccome affittato il palco, secondo un lodevole costume napolitano, è libero a tutte le persone che vi sono invitate di accedervi senza pagare l’ingresso, così quelle ampie loggie del teatro San Carlo accolgono tutta la famiglia non solo,ma anche gli amici della famiglia, di guisa che si trasporta in teatro tutta la società della sera.
Naturalmente voi siete invitato a teatro nella sera in cui la famiglia dispone di un palco; e poi andate ogni otto giorni alla loro serata in cui ricevono un maggior numero di persone. Il salotto è illuminato, ma senza fasto; si chiacchiera, si declama qualche poesia, si fa musica vocale e istrumentale, e talvolta si balla. Durante la serata si distribuiscono confetti, o altri dolci, ed in estate si danno bevande gelate e sorbetti. Nel verno si usa prendere il cioccolatte nel quale s’inzuppano dei biscotti, e qualcuno, meno amante delle vecchie consuetudini, vi darà anche il thè. Voi non lo preferite a quell’ eccellente tazza di cioccolatte che i nostri padri sorbivano tanto volentieri: accettando il thè lo mescolate soverchiamente col latte, per dare una prova luminosa che codesta bevanda tanto gradita, nei climi umidi e freddi, non è fatta per noi, che la troviamo buona unicamente per farci credere avvezzi alla haute société, e per darci un’ aria un po’ straniera: singolare vanità !
Dopo aver fatto tutti questi elogi dei costumi e della moralità dei napolitani, si vorràe concludere che questo è un popolo senza difetti? No, dei difetti parlerò nel capitolo futuro, dopo che vi avrò parlato delle abitudini della classe più elevata della società; ma fin d’ora possiamo notare alcuni nei di quella che abbiamo descritta. Per esempio, nel parlare famigliare, e tra amici si trascende facilmente a parole o motti indecorosi, che tolgono quello scambievole rispetto che si deve serbare anche nella più stretta intimità. Questo sistema, che è proprio anche della classe più elevata della società, è cagione di facili risse, e toglie dal dialogo famigliare le fine allusioni, le frasi spiritose, per sostituirvi delle parole grossolane, che usano le persone più abbiette. Voi trovate gli uomini in generale colti; le donne meno che mediocremente. Queste non escono, salvo per andare alla messa, che in carrozza; dal che ne deriva che la carrozza è un lusso tanto comune, che sta innanzi alle ricche vesti, ed ai comodi appartamenti delle famiglie agiate. Ammettonsi nelle famiglie facilmente i giovani che amoreggiano con le oneste fanciulle, e poi per futili motivi se ne allontanano senza sposarle.
Di ciò non si fa gran caso, dacchè la parola di un fidanzato non è ritenuta sacra come in altri luoghi. Gli uomini non lavorano molto, e confondono in uno stesso vocabolo il modesto e leggiero lavoro con la pesante fatica. Non è difficile l’udire in un banco od in un officio da qualche impiegato « ho fatto molta fatica », cioè ho copiate cinque o sei lettere. Questa classe che abbiamo descritta, sente un certo sprezzo per le classi più elevate o della nobiltà, ritenendo che questa le sia inferiore per intelligenza e per istudii; ma nutre insieme con lei un dispregio ingiusto verso la plebe che avrebbe obbligo di emancipare dall’ignoranza e dalla servilità. Avendo poi dato un valore diverso dal vero al vocabolo galantuomo, che a Napoli è sinonimo di persona civile, o decentemente vestita, essa ha dovuto adottarne un altro, che è molto elastico ed alquanto superbo, cioè quello di gentiluomo.
Discorreremo in appresso degli inconvenienti che derivano dall’abuso che si fa di questa parola, e peggio poi dall’aver negato quello più esplicito di galantuomo ad ogni cittadino che non riveste la mano di guanti e che non porta un vestito a larghe falde. Per ora contentatevi di aver conosciuto questi pochi difetti che non oscurano troppo le solide qualità della classe che avete conosciuta.