Benevento sottacqua

BENEVENTO SOTTACQUA| Stato di calamità umana
GIANCRISTIANO DESIDERIO
Giancristiano Desiderio

Gli elementi naturali danno la vita e danno la morte. Benevento è finita sottacqua e tra fango e danni, lacrime e sangue, si è resa conto che è la città di ben due fiumi. Sembra impossibile, ma finora non lo sapeva. La sua vita civile si è sempre svolta al di là del bene e del male dei due corsi di acqua che l’attraversano come arterie di sangue. Benevento in ogni sua espressione ha sempre e sistematicamente ignorato il Sabato e il Calore e oggi il Sabato e il Calore che scorrono ogni santo giorno proprio come la nostra vita si sono ripresi la città. L’acqua che dà la vita è la stessa acqua che dà la morte. Maledetta pioggia che è venuta giù a fiumi. Ma a che vale maledire il Cielo? Non è colpa della fortuna ciò che accade. In tanti hanno già detto: “Sia proclamato lo stato di calamità naturale”. Ma ciò che abbiamo sotto i nostri occhi, dentro le nostre case e sopra i tetti di fabbriche e condomini è uno stato di calamità umana.

Un fiume è molto di più di un fiume. Per chi lo sappia guardare è la condizione nella quale versa da sempre la nostra vita, sia individuale sia sociale. Machiavelli in quell’immortale capitolo XXV del Principe – che ogni politicante da strapazzo dovrebbe essere obbligato a mandare a memoria, altro che la Costituzione – dice che la vita è un fiume le cui acque vanno curate quando sono calme per non farsi trovare impreparati quando arriverà la piena. Le acque della vita, proprio come le acque di un fiume, vanno curate perché, anche se non si sa quando, prima o poi le acque si agiteranno, arriverà la piena e porterà tutto via se non incontrerà validi ostacoli, solidi argini, canali di sfogo. Purtroppo, le metafora di Machiavelli è diventata nella nostra sciagurata Italia che ha sempre le mani nel fango terroso e morale, e in una indolente Benevento sempre intenta ai massimi sistemi e agli antichi vizi, una naturalissima descrizione dell’incuria in cui versano la città e il suo territorio.

Il 2 ottobre 1949 l’alluvione colpì Benevento: 20 morti, 2000 sfollati, danni materiali e morali peggiori di un forte terremoto. Si salvò solo la Madonna delle Grazie che da lassù ha continuato a piangere invano sulle sciagure umane. Dopo sessantasei anni Benevento è nuovamente sott’acqua perché – che cosa magica – ha piovuto per una notte intera. L’Italia, di cui Benevento è oggi la sineddoche, è diventato il paese in cui non può piovere una notte e un giorno senza avere il fango in casa, le auto sui tetti, morti e dispersi. E’ il paese che non cura le acque quando sono calme e conta i morti e i danni dopo l’ennesimo disastro umano, troppo umano. Politici e istituzioni, così simili a sepolcri imbiancati, si precipitano a chiedere e proclamare lo stato di calamità naturale. E’ un alibi. La città, messa in ginocchio davanti alla Madonna delle Grazie, proclami lo stato di calamità umana, politica e civile, si lecchi le ferite e impari a curare con dignità e senza retorica le acque quando sono calme. Perché prima o poi la piena ritornerà.