La maschera di Marzo

La maschera di Marzo

Il Carnevale volge alla fine. Ancora qualche ruzzolata, la mascherata dei bambini di martedì grasso nella palestra di via Municipio e cala il sipario sulla festa. Se il Carnevale ci saluta e ci dà appuntamento al prossimo anno, Marzo, il mese più bizzarro, bussa alle porte. Per la serie delle tradizioni dimenticate, a Pontelandolfo un tempo, un uomo che vestiva grosso mantello di colore celeste, una tuba bianca, di forma conica, buffamente piantata sulla testa, un cravattino lungo e sottile a pois legato stretto in gola, la faccia dipinta di bianco, comodamente seduto in una botte opportunamente fissata su due assi di legno e trasportata da quattro energici volontari, brandendo minacciosamente un grosso bastone, la tipica piròccula, nel corso della serata che precedeva il primo giorno del mese di marzo, accompagnato, in un corteo festoso, da una moltitudine di gente, si recava presso le case del paese minacciando avversità atmosferiche se non fosse stato accolto adeguatamente, ed inneggiando alle caratteristiche fecondative del mese. Mentre i convenuti si sbizzarrivano in lazzi, battute e sfottò, Marz’ invitava i presenti a prestargli attenzione, “pena la morte”, urlando a gran voce la temuta filastrocca inneggiante il mese pazzerello. Marz’ concludeva la serietà del momento quando, alla fine, chiedeva al padrone di casa, dapprima supplichevole un po’ di salsiccia, poi energicamente, assumendo un aspetto tenebroso, lanciava, forte, la temuta maledizione: se non gliela avesse data, la “salsiccella” si sarebbe dovuta guastare. E così, salsicce e boccali di vino rosso, a quel punto, non si contavano fino a tarda sera. Trasportatori e accompagnatori partecipavano avidamente, tra grida e sollazzi, al banchetto. Quando la gelida voce del silenzio della notte metteva a tacere ogni essere vivente, l’uomo vestito di celeste, stanco, infreddolito e un po’ bevuto, mal fermo sulle gambe prendeva la via di casa. Era in grado di percorrere l’angusto sentiero finanche ad occhi chiusi, conoscendone a memoria anche il più piccolo anfratto. Nella speranza di essere riuscito ancora una volta ad esorcizzare le bizzarrie del temuto mese di marzo, l’uomo vestito di celeste auspicava in cuor suo un futuro migliore anche per se stesso.

Gabriele Palladino